Tutti parlano di Javier Milei
Javier Milei è nato a Buenos Aires nel 1970 da una madre casalinga e un padre che gestiva un’azienda di trasporti. In famiglia non sono mancati abusi e violenze verbali. Si è avvicinato al calcio e alla musica rock: suonava in una cover band dei Rolling Stones. Più tardi si è appassionato all’economia e si è laureato all’università privata di Belgrano, che non è una delle più prestigiose del paese. È diventato professore, ha tenuto delle conferenze e ha scritto alcuni articoli.
Nel 2016, ricorda il quotidiano Le Monde in un ritratto, è stato invitato a un programma televisivo e da quel momento è diventato un beniamino dei talk show. Con la sua giacca gessata, gli occhi di un azzurro penetrante e glaciale, i capelli sapientemente spettinati, Milei urla e insulta i giornalisti che lo intervistano.
Oggi, dopo aver vinto a sorpresa le primarie argentine del 13 agosto (nel paese tutti i partiti svolgono le primarie contemporaneamente e per gli elettori votare è obbligatorio), è il candidato in testa ai sondaggi per le elezioni presidenziali del 22 ottobre, quando si sceglierà il successore dell’attuale leader peronista Alberto Fernández. Come si legge in un articolo che abbiamo pubblicato qualche settimana fa su Internazionale, “Milei non ha voluto scendere a patti con nessuno. Il suo grido di battaglia è contro tutti: ‘La casta ha paura’”. Corre da solo, alla guida di un partito che ha chiamato La libertad avanza.
“Tutti parlano di Milei”, scrive il giornalista argentino Martín Caparrós in una column pubblicata sul País. “Però per me l’aspetto più duro da mandare giù non è lui, ma far parte di un paese in cui un terzo delle persone – forse perfino la metà – è disposta a consegnare il potere a uno sconsiderato. La cosa più terribile non è il candidato ma sono i votanti: otto o dieci milioni di argentini che lo sostengono”.
“Non so chi sono questi concittadini che potrebbero eleggere Milei al primo turno delle elezioni del 22 ottobre”, aggiunge Caparrós. “Capisco però che sono a ragione stanchi e disperati per la povertà e l’ingiustizia sociale, pur non comprendendo che non immaginino soluzioni migliori per risolverle. Capisco che i politici e la loro democrazia distorta li abbiano delusi nel profondo. Ma non capisco come possano credere che un uomo che parla con il suo cane morto, che propone di vendere organi e armi perché è il mercato che comanda e va in giro con una motosega sia l’opzione migliore – l’unica – a cui possano pensare. Vogliono distruggere tutto senza chiedersi come ricostruirlo”.
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Milei è contrario all’aborto e all’educazione sessuale nelle scuole, vuole dollarizzare l’economia e ha promesso la mano dura per combattere la criminalità organizzata. Soprattutto, accusa i precedenti governi, quello peronista di Alberto Fernández e quello di destra dell’ex presidente Mauricio Macri, di aver adottato politiche economiche sbagliate aggravando la crisi del paese.
La povertà è un tema centrale della sua campagna elettorale: oggi quasi il 10 per cento della popolazione è indigente e non ha abbastanza soldi per comprarsi da mangiare e pagare un affitto. L’inflazione ad agosto ha raggiunto la cifra record del 124,4 per cento su base annua e le mense popolari faticano a dare un pasto a tutti quelli che si presentano. Chiaramente questa situazione drammatica fa aumentare il risentimento e la rabbia dei cittadini, secondo i quali il candidato di estrema destra è l’unica speranza possibile di uscire dalla crisi economica che da decenni colpisce il paese sudamericano. Una crisi ciclica di cui non s’intravede la via d’uscita.
Questo testo è tratto dalla newsletter Sudamericana.