La Francia è ancora la patria della libertà di espressione?
Emira, una bambina di 10 anni, è arrestata per “apologia di terrorismo” nel dipartimento della Savoia, nell’est della Francia, per avere espresso dubbi in classe sulla pubblicazione delle vignette su Maometto. Il presidente Emmanuel Macron telefona al New York Times accusando i mezzi d’informazione statunitensi di legittimare la violenza, mentre gli articoli che analizzano l’ideologia laicista dominante in Francia sono censurati su importanti giornali del paese. Infine, alcune modifiche al corpus delle leggi sull’istruzione fanno infuriare il mondo universitario, che si oppone all’idea secondo cui la libertà di ricerca è limitata dall’obbligo di rispecchiare “i valori della laicità”.
E se, come scrive Amnesty international, la Francia non fosse più la paladina della libertà di espressione che afferma di essere?
Dibattiti a scuola
In seguito all’omicidio di Samuel Paty, l’insegnante decapitato in un attentato terroristico il 16 ottobre, il ministero dell’istruzione ha invitato tutti i professori di storia della Francia a organizzare per una settimana dibattiti sulla libertà di espressione in classe. Per molti si è trattato di un compito difficile data la situazione tesissima nel paese, ulteriormente aggravata dall’attacco alla cattedrale di Nizza il 29 ottobre. Inoltre ora maestri e professori sono tenuti a segnalare eventuali “indizi di radicalizzazione”, una missione considerata ambigua dagli educatori.
Il 4 novembre, durante un dibattito nella sua classe, Emira ha espresso dubbi sulla questione delle caricature di Maometto. Il giorno dopo il direttore della scuola ha ricevuto delle minacce. Emira, proveniente da una famiglia di immigrati turchi, è stata prelevata a casa alle 7 di mattina da una squadra di poliziotti armati ed è stata arrestata, a 10 anni, per “apologia di terrorismo”. Insieme ad altri tre alunni della scuola, è stata interrogata per 11 ore. Una volta rilasciati, i quattro bambini hanno cominciato a soffrire le conseguenze del trauma: fanno la pipì a letto, hanno problemi con il sonno e attacchi di panico.
Alcune vignette pubblicate dal sito Mediapart ripercorrono la vicenda e concludono che solo un’amministrazione democratica “impazzita” è potuta arrivare a una simile violenza in nome della libertà di espressione.
Nel condannare l’arresto della piccola Emira, Amnesty international commenta che la Francia “non è la paladina della libertà di espressione che afferma di essere”. Ogni anno, ricorda l’organizzazione per i diritti umani, migliaia di persone sono condannate per “insulti all’autorità pubblica, un reato mal definito che le forze dell’ordine e le autorità giudiziarie usano indiscriminatamente per mettere a tacere l’opposizione pacifica”.
Legittimare la violenza è una delle accuse più gravi che si possono formulare contro i mezzi d’informazione
L’attacco di Macron ai mezzi d’informazione del “mondo anglosassone” è raccontato con umorismo da Ben Smith, editoralista del New York Times, in un articolo del 15 novembre, dove ricorda la chiamata ricevuta dal presidente francese un giovedì pomeriggio mentre era in ufficio. Macron accusava la stampa statunitense di “legittimare la violenza affermando che il cuore della questione è che la Francia è razzista e islamofoba”. Si riferiva in particolare a un articolo del Financial Times che l’aveva fatto infuriare, secondo il quale la reazione di Parigi agli attacchi terroristici stava aumentando l’alienazione della maggioranza di musulmani che odiano, anche loro, il terrorismo.
Ben Smith, poco impressionato dalla difesa dell’universalità francese del presidente, conclude: “Legittimare la violenza è una delle accuse più gravi che si possono formulare contro i mezzi d’informazione, e il genere di cose che il presidente statunitense ci ha più abituati a sentire, e a ignorare”. Macron avrà apprezzato il paragone con Donald Trump?
Dunque il Financial Times, Newsweek o il New York Times sarebbero diventati a loro volta pericolosi esponenti o sostenitori dell’islamo-gauchisme (il neologismo coniato per indicare le persone di sinistra accusate di essere troppo accondiscendenti nei confronti del fondamentalismo islamico)?
Contro le voci critiche
L’anatema è stato lanciato dal ministro dell’istruzione Jean-Michel Blanquer in un attacco senza precedenti alla libertà accademica. Dopo gli attentati di novembre, il ministro ha denunciato “la complicità intellettuale con il terrorismo” degli accademici francesi, definiti “islamo-gauchistes” e “portatori di un’ideologia che semina il caos nell’università”.
Fino a poco tempo fa l’espressione islamo-gauchisme era stata usata solo dall’estrema destra francese, ricorda Jean-Yves Pranchère, professore di teoria politica all’università libera di Bruxelles. Il termine fa riferimento al mito del bolscevismo giudaico degli anni trenta del novecento. In passato è stata usata anche la definizione “sinistra papista” per denunciare grandi figure della repubblica, come Jean Jaurès, che volevano lasciare un margine di manovra alla chiesa cattolica nel 1905, durante i dibattiti sulla legge per la separazione tra chiesa e stato.
Partito dai gruppuscoli di estrema destra, l’anatema tocca oggi chiunque critica il potere, in un bispensiero (doublethink) simile a quello teorizzato da George Orwell, come scrive la giornalista Hassina Mechaï su Middle East Eye: “Le leggi che garantiscono diverse libertà sono minate in nome della difesa della repubblica. Questa reazione è portata avanti in Francia contro le persone assimilate a un’identità musulmana, gli abitanti dei quartieri popolari, e si estende ormai più ampiamente contro tutti coloro che contestano questa visione”.
Farhad Khosrokhavar, uno dei più eminenti ricercatori di islam radicale, che ha recentemente pubblicato una ricerca di 700 pagine sulla diffusione dell’islamismo nelle carceri dopo anni di lavoro sul campo, ha denunciato la rimozione di un suo articolo poco dopo la pubblicazione sul sito del quotidiano statunitense Politico. Nel pezzo Khosrokhavar rifletteva sul fenomeno del neo-laicismo, diventato una “religione civile” e usato come strumento per attaccare i musulmani, che favorisce, insieme a molti altri fattori, la loro radicalizzazione.
Dopo la scuola e i mezzi d’informazione, è arrivato anche l’attacco alla libertà accademica. L’emendamento presentato in senato dopo l’omicidio di Paty prevede di modificare l’articolo 952-2 del codice dell’istruzione, che sancisce “la piena indipendenza e la completa libertà di espressione” dei professori universitari, aggiungendo la precisazione che “le libertà accademiche si esercitano nel rispetto dei valori della repubblica”.
L’intenzione della senatrice Laure Darcos è “sancire nel diritto che questi valori, primo tra tutti il secolarismo, costituiscono il fondamento su cui si basano le libertà accademiche e il quadro in cui si esprimono”. La Conferenza dei rettori delle università lo considera un modo per “mettere la museruola al mondo accademico” e ricorda che “le università non sono luoghi di espressione o d’incoraggiamento al fanatismo”. E dal mondo anglosassone arriva un’altra condanna al governo Macron con un “solenne appello alla protezione della libertà di ricerca in Francia” pubblicato dalla rivista Open Democracy a sostegno degli accademici ormai considerati dalla politica come “nemici interni”.