Nei laboratori della Biblioteca Ambrosiana di Milano il restauratore Vito Milo ha appena applicato una piccola striscia di gel sul bordo di un disegno vecchio di 500 anni per sciogliere la colla che lo manteneva attaccato a una cornice di carta più grande. Poi con un bisturi sollevava il disegno, un millimetro dopo l’altro. Ho chiesto a Milo cosa ci fosse nel gel. Lui mi ha risposto in italiano con una lista di ingredienti a cui ho risposto con una traduzione da uomo della strada: “Salsa speciale”. Lui ha annuito sorridendo. “Sì, salsa speciale”.
Il disegno era una pagina del Codice Atlantico di Leonardo da Vinci e io ero stato invitato ad assistere allo scrupoloso processo del suo restauro. Una mattina dello scorso inverno sono sceso nel laboratorio dei restauratori, che occupa una stanza proprio davanti all’ingresso di vetro e acciaio che porta alla scintillante volta dell’Ambrosiana. In fondo alle scale sono stato bloccato da un addetto che mi ha tolto di mano una tazza di caffè per metterla via dove non potesse fare danni.
Il Codice Atlantico è una raccolta di 1.119 pagine di disegni ingegneristici e sogni tecnologici di da Vinci – macchine volanti, armi da guerra, dispositivi idraulici – accompagnati da righe e righe di commento scritte con una calligrafia minuta e precisa. È la più grande collezione di opere di da Vinci al mondo. I fogli, un tempo rilegati in un unico volume, oggi sono conservati in pagine singole. Quella su cui sta lavorando Milo – il foglio 885 recto, con il progetto di un ponte sospeso parabolico – è appoggiata sulla superficie in vetro di un piano luminoso a led. L’inchiostro marrone di da Vinci risalta sullo sfondo illuminato. Guardando da vicino, a pochi centimetri dalla pagina, riesco a intravedere lo schizzo di un omino a cavallo sul ponte, reso con pochi tratti, un’aggiunta giocosa per mettere in evidenza la scala del disegno.
Manoscritti di qualità
Mi sono ricordato di questa visita all’Ambrosiana quando ho visto l’annuncio della mostra dedicata a da Vinci con il titolo Imagining the future, alla Martin Luther King Jr Memorial Library di Washington. Dodici fogli originali del Codice Atlantico sono stati messi in mostra, ed è la prima volta che le pagine del Codice hanno viaggiato fino agli Stati Uniti. La mostra, che si concluderà il 20 agosto, ha giustamente ricevuto moltissima attenzione: tutti sanno cosa significhi “da Vinci”, il suo nome è conosciuto al livello mondiale.
Lo stesso però non si può dire per l’Ambrosiana.
La Biblioteca Ambrosiana è uno dei grandi musei meno conosciuti al mondo. Magari non dagli studiosi, ma di sicuro dal grande pubblico. Occupa un bellissimo edificio antico di quattro secoli, a pochi isolati dalla famosa cattedrale di Milano, ma riceve solo 180mila visitatori all’anno, praticamente lo stesso numero che visita ogni settimana i Musei vaticani di Roma. La Biblioteca Ambrosiana è stata fondata nel 1607 dal cardinale Federico Borromeo, arcivescovo di Milano, che l’ha intitolata a Sant’Ambrogio, patrono della città, dotandola della sua vasta collezione di libri, manoscritti e opere d’arte.
La sensibilità da collezionista di Borromeo era culturale e cosmopolita, non religiosa e provinciale
I dipinti in possesso dell’Ambrosiana sono pochi ma di ottima qualità: Botticelli, Caravaggio, Tiziano, Bruegel e lo stesso da Vinci. Il disegno preliminare appena restaurato eseguito da Raffaello in preparazione della sua Scuola di Atene (alto 2,7 e lungo 8,1 metri) occupa l’intera parete di una delle gallerie: uno studio monumentale in carboncino e biacca su carta grigia, che trasmette emozioni molto più vivide rispetto all’affresco finale. In altre gallerie sono conservate sotto vetro strane reliquie: una ciocca di capelli di Lucrezia Borgia, i guanti indossati da Napoleone mentre guardava il suo esercito soccombere per mano del duca di Wellington nel 1815.
Ci sono libri e manoscritti provenienti da tutto il mondo: la sensibilità da collezionista di Borromeo era culturale e cosmopolita, non religiosa e provinciale. L’Ambrosiana ha aperto le sue porte a chiunque fosse in grado di leggere e scrivere, ed è stata una delle prime biblioteche a farlo in Europa. Non assicurava i libri con una catena, come altri archivi, ma preferiva un altro sistema di sicurezza: la punizione per il furto, incisa a chiare lettere su una targa in marmo che si può vedere ancora oggi, era la scomunica.
Nel corso degli anni la collezione è stata arricchita, in particolare con l’acquisizione del Codice Atlantico nel 1637. Da Vinci era morto più di un secolo prima e aveva lasciato i suoi disegni e i suoi appunti a uno dei suoi studenti. Molti di questi fogli sono stati poi raccolti e rilegati dallo scultore tardorinascimentale Pompeo Leoni in un volume le cui dimensioni hanno dato il nome al Codice (atlantico fa riferimento a un grande formato di carta di solito utilizzato per gli atlanti). Da lì in poi il Codice ha vissuto varie avventure ed è finito nelle mani di un nobile milanese che in seguito l’ha lasciato in eredità all’Ambrosiana.
L’evento più traumatico
I fogli, che fanno riferimento a un periodo di 40 anni dell’attività di da Vinci, sono coperti non solo da schizzi e schemi, ma anche dalla singolare “scrittura speculare” di Leonardo, che essendo mancino scriveva da destra verso sinistra. Non si tratta solo di testi di natura tecnica. In un punto da Vinci ha scarabocchiato alcune parole per ricordare a se stesso di comprare il carboncino che gli serviva per disegnare. Il Codice Atlantico contiene il suo ultimo appunto di cui si ha notizia, datato al 1518: “Il 24 giugno, nel giorno di san Giovanni, ad Amboise nel palazzo di Cloux”. Da Vinci sarebbe morto ad Amboise l’anno successivo, all’età di 67 anni.
L’evento più traumatico nella vita dell’Ambrosiana è stato l’arrivo di Napoleone. Dopo aver valicato le Alpi nel 1796, scendendo lungo la penisola riempì carrozze piene di bottino da spedire a Parigi. Le centinaia di dipinti e statue sottratte all’Italia – il gruppo del Lacoonte preso a Roma, la Venere de’ Medici a Firenze, i cavalli di San Marco a Venezia – avrebbero potuto costituire un museo tra i più importanti al mondo. E così è stato, con la nascita del Louvre. Napoleone ha preso anche libri e manoscritti. Gran parte degli archivi vaticani lasciò Roma diretto a nord. Stessa sorte per il Codice Atlantico.
Nel 2006, una curatrice del Metropolitan museum of art di New York aveva lanciato un allarme: forse c’era della muffa sulle pagine del Codice Atlantico
Dopo la sconfitta di Napoleone, in teoria i tesori che aveva saccheggiato in tutta Europa avrebbero dovuto essere rimandati nei loro luoghi di origine. Per alcuni è andata così, per altri no. Il Vaticano non si poteva permettere di riportare in sede tutti i suoi archivi; molti documenti sono stati venduti come carta straccia e usati a Parigi per fabbricare carta o per confezionare carne o formaggio. La Francia si è tenuta molti oggetti. Alla fine solo la metà di quello che era andato perduto a causa delle spoliazioni napoleoniche è stato restituito. Il Codice Atlantico è uno di questi oggetti. Da allora si trova al sicuro custodito nell’Ambrosiana.
Al riparo da predoni, ma non da tutto. Negli anni sessanta gli specialisti hanno smembrato l’enorme volume singolo del Codice e hanno incorniciato ciascuno degli oltre mille fogli con un moderno supporto di carta che lasciava visibili all’occorrenza entrambi i lati di ciascuna pagina. Dopo questa operazione, le pagine sono state rilegate di nuovo in dodici volumi più piccoli. Poi, nel 2006, una curatrice del Metropolitan museum of art di New York ha lanciato un allarme. Esaminando il Codice aveva scoperto dei puntini scuri sulle pagine, provocate probabilmente da muffa.
A seguito di un’indagine, è venuto fuori che i puntini non erano provocati da muffa, ma da sali di mercurio contenuti probabilmente nella sostanza adesiva usata per attaccare ciascuno dei fogli al suo supporto di carta. Per fortuna le macchie non avevano danneggiato i fogli, solo la carta usata per incorniciarli. I volumi del Codice sono stati smembrati. È stato necessario staccare ciascun foglio macchiato dalla sua cornice di carta e posizionarlo in una nuova cornice. Da lì in avanti, i fogli sarebbero stati conservati in pagine singole.
Il che ci riporta a Vito Milo al lavoro davanti alla volta dell’Ambrosiana. Indossa un camice bianco e guanti in latex bianchi. Il bagliore dorato che irradia dalla scatola illumina dal basso i tratti del suo viso. Mentre lavora, racconta di quanto sia diventata intima la sua connessione con da Vinci: dai fogli si vedono le sue cancellature, i suoi errori, le brevi note che scriveva per se stesso. Ci sarebbe voluto più o meno un mese per liberare questo particolare disegno dal suo vecchio supporto di carta. Poi Vito sarebbe passato al foglio successivo.
Una delle conseguenze dello smembramento del Codice è stata la possibilità di digitalizzare i fogli. Un’altra è che le singole pagine possono viaggiare ed essere esposte in mostre come quella in corso a Washington. Adesso anche all’Ambrosiana il pubblico può ammirare una selezione di una dozzina di pagine scelte e collocate a rotazione in teche climatizzate e antiproiettile. I protocolli sono molto rigidi: per impedire il deterioramento provocato dalla luce naturale, un foglio può essere esposto solo per tre mesi. Poi deve riposare al buio per tre anni.
L’Ambrosiana è ancora oggi un’istituzione ecclesiastica e Alberto Rocca, direttore della sua pinacoteca, è un prete cattolico. Ho avuto con lui un incontro di un’ora in un ufficio barocco al piano terra, con soffitti alti e scaffali piegati sotto il peso dei libri. Membro del collegio dei dottori, l’organismo dirigente dell’Ambrosiana, Rocca è responsabile non solo della pinacoteca, ma anche di una rete di programmi per studiosi sparsi in giro per il mondo. È ordinato e professionale. Se si togliesse il colletto ecclesiastico potrebbe confondersi con lo staff del Rijksmuseum o di Christie’s.
Abbiamo parlato di molte cose. Del passato: per esempio di quanto fosse insolita per l’epoca la prospettiva interculturale di Borromeo e il suo desiderio di rendere i libri accessibili al pubblico. Del futuro: della difficoltà di sostenere un’istituzione di questo tipo. La galleria d’arte dell’Ambrosiana è in grado di sostenersi da sola, al contrario della biblioteca di ricerca, con il suo milione di libri e i suoi 40mila manoscritti. Gli europei, sottolinea Rocca, non hanno la tradizione filantropica degli statunitensi.
Si dice che Napoleone in persona sia uscito dalla biblioteca con la copia di Virgilio che era stata di Petrarca sotto il braccio (alla fine è stata restituita). È certo che alcuni materiali di da Vinci non sono stati restituiti e probabilmente non lo saranno mai. Rocca però non ha voglia di rivangare il passato, anche se evidentemente Napoleone ha avuto molte responsabilità. “Se non altro”, si consola Rocca, “abbiamo i guanti che indossava quando è stato sconfitto a Waterloo”.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo è uscito sul sito del mensile statunitense The Atlantic.
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