Le famiglie dei detenuti siriani continuano a lottare
Osserviamo con orrore il regime siriano e i suoi alleati scatenare la loro immensa potenza di fuoco nella provincia di Idlib, ultimo bastione dell’opposizione armata. Quasi un milione di civili – uomini, donne e bambini – è ormai in fuga. I negoziati internazionali sono bloccati, mentre la Russia continua a intromettersi per regalare una vittoria totale a Damasco. Ma per me e per milioni di altri siriani la guerra non finisce qui, a prescindere dall’esisto di questa battaglia.
Nel 1992, molto prima dello scoppio della rivoluzione, il regime di Hafez, padre di Bashar al Assad, mi ha incarcerata a causa delle mie opinioni dissidenti. All’epoca mio marito Abdel Aziz al Khayyer, medico, militante e pacifista di sinistra, era già in prigione. Io sono stata scarcerata nel 1994, mentre Abdel Aziz, che per tutta la vita ha combattuto per la democrazia e la libertà, ha dovuto attendere il 2005, dopo quattordici anni passati in prigione.
Ma questa esperienza non lo ha fermato.
Senza notizie dal 2012
Con l’avvento della rivoluzione, nel 2011, mio marito si è unito ai giovani militanti che osavano sognare un futuro migliore per il nostro paese. Abdel Aziz credeva in una rivolta pacifica e nella democrazia in Siria. Con questo obiettivo aveva organizzato una conferenza che avrebbe dovuto riunire a Damasco gli oppositori che volevano una soluzione politica in Siria senza un intervento straniero.
Ma il 20 settembre 2012 è stato nuovamente arrestato, stavolta insieme a Maher, uno dei nostri figli, poco prima della conferenza. Abdel Aziz era appena rientrato da un breve soggiorno all’estero, e io avevo mandato Maher a prenderlo all’aeroporto internazionale di Damasco. Non ho più avuto notizie di nessuno dei due. Le autorità hanno negato più volte di essere responsabili della scomparsa di mio figlio e mio marito, ma io sapevo che il regime non aveva alcuna intenzione di permettere ad Abdel Aziz di continuare a lavorare per una soluzione pacifica. Bashar al Assad era perfettamente consapevole che l’unico modo che aveva di vincere era trasformare la ribellione in guerra.
Il regime siriano ha fatto sparire più di centomila persone nel corso degli ultimi nove anni
Da allora la mia vita è stata una battaglia permanente. I miei amici mi dicono che sono una donna forte, che la mia resistenza e la mia volontà sono impressionanti. Mi piace ridere e invitare le persone a casa. Dico a tutti che non ho scelta: non rinuncerò mai alla mia vita, alla mia famiglia e alla lotta per la libertà di tutti i detenuti siriani.
Insieme ad Abdel Aziz e Maher (che ha da poco compiuto 39 anni) il regime siriano ha fatto sparire più di centomila persone nel corso degli ultimi nove anni. Gli arresti non sono mai cessati. Nelle regioni tornate sotto il controllo di Damasco grazie alla strategia della terra bruciata, il numero delle persone scomparse è aumentato di centinaia di unità ogni mese. Hanno portato via anche persone che avevano firmato accordi prima di consegnarsi alle autorità e non avevano mai toccato un’arma in vita loro.
L’immobilismo della comunità internazionale
Il regime e i suoi alleati hanno infranto tutte le regole della guerra pur di distruggere il movimento rivoluzionario che si oppone alla dittatura di Bashar al Assad. Fatta eccezione per i rari barlumi di speranza dovuti all’intervento dei tribunali europei, la comunità internazionale è rimasta immobile, o peggio è stata complice di queste violazioni.
Eppure, come il mio amato Abdel Aziz, ho ancora fede in un mondo senza impunità, dove sarà possibile avere giustizia per tutti. Sono convinta che un giorno il sistema di detenzioni di massa, torture ed esecuzioni sommarie che caratterizza il regime di Assad sarà smantellato. Gli specialisti della Siria sanno che pochissimi detenuti sono usciti dalle prigioni del paese senza essere stati brutalmente picchiati, torturati e affamati. Molti, sia uomini sia donne, sono stati violentati nelle prigioni del regime e in quelle dei suoi sinistri servizi di sicurezza. La detenzione, in Siria, non ha solo l’obiettivo di strappare informazioni, ma vuole soprattutto punire le vittime e terrorizzare le loro famiglie per mettere tutti a tacere.
Ma è qui che il regime si sbaglia. Assad pensa che distruggendo i ribelli a Idlib metterà fine alla guerra, e i siriani che ancora vivono nel loro paese si arrenderanno. Ma una madre può mai dimenticare suo figlio incarcerato? Un fratello può dimenticare la sorella? Le famiglie siriane possono vivere in pace con questa disperazione addosso?
La nostra lotta per le persone che ci sono care è comune, a prescindere da chi sia responsabile della loro scomparsa
Non sono sola nella mia battaglia, ed è per questo che nel mese di febbraio del 2017 ho contribuito alla creazione di Families for freedom, un movimento gestito da donne siriane che si battono per la giustizia e la libertà dei loro cari. Siamo le madri, le mogli e le sorelle degli uomini e delle donne rinchiusi in carcere dal regime.
Alcune esponenti del movimento hanno visto i loro parenti portati via dal gruppo Stato islamico. Quando l’organizzazione jihadista è stata sconfitta militarmente, nessuno si è sforzato di portare alla sbarra i suoi ex combattenti o di scoprire cosa è capitato alle migliaia di persone che hanno ucciso o fatto sparire. Tra di noi ci sono anche donne che si sono unite al movimento dopo il rapimento dei loro familiari da parte di altri gruppi armati. Lavoriamo insieme, perché la nostra lotta per le persone che ci sono care è comune, a prescindere da chi sia responsabile per la loro scomparsa.
In questi anni di oppressione il regime ha inculcato in Siria una cultura del potere assoluto, imitato dai suoi rivali. Non permetteremo mai al regime né a qualunque altro gruppo armato di impedirci di agire, perché il nostro amore per le persone scomparse è troppo forte. Non possiamo rinunciare. Per la Siria non ci sarà un ritorno allo statu quo ante, non importa a quale livello di bassezza scenderanno il regime e il suo alleato russo sul piano militare e politico. Le ferite di molti siriani sono troppo profonde perché possano tacere.
Per me e per milioni di altre persone come me, non ci sarà tregua fino a quando Abdel Aziz, Maher e tutti gli altri non saranno liberati.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito su Orient XXI.