Il remake di Perfetti sconosciuti in arabo scatena le polemiche
Il primo film in lingua araba prodotto da Netflix ha scatenato un’ondata di polemiche in Egitto. Si tratta del remake del film italiano Perfetti sconosciuti, diretto da Paolo Genovese nel 2016. Il titolo in arabo è Ashab wala aaaz (I migliori amici del mondo), a dirigerlo è il regista libanese Wissam Smayra, al suo debutto, e tra gli interpreti ci sono attori di primo piano nel mondo arabo come la star egiziana Mona Zaki e l’attrice e regista libanese Nadine Labaki, famosa per aver diretto, tra gli altri, Caramel (2007) e Cafarnao (2018). Da quando è uscito su Netflix il 20 gennaio, il film è in cima alla classifica dei più visti nella regione ed è anche tra gli argomenti più discussi sui social network in Egitto, con il pubblico diviso tra sostenitori e critici.
Ma non solo. Il dibattito attraversa ormai tutti i settori della società dopo che il deputato egiziano Mostafa Bakry ha presentato un’interrogazione parlamentare sostenendo che il film offende i costumi della società egiziana e ha chiesto che Netflix sia bloccato nel paese. Gli ha fatto eco uno dei più importanti avvocati egiziani, Ayman Mahfouz, che ha minacciato di denunciare la ministra della cultura Enas Abdel Dayem se il film dovesse arrivare sui canali egiziani.
Commenti e insulti
La trama è la stessa dell’originale italiano, che peraltro è già stato riproposto in diverse versioni, tra cui il franco-belga Le jeu e lo spagnolo Perfectos desconocidos. Un gruppo di sette amici s’incontra a cena e decide di fare un gioco: lasciare il cellulare sul tavolo e condividere con gli altri chiamate e messaggi ricevuti. Ma la situazione sfugge di mano e vengono rivelati segreti, bugie, debolezze e gelosie di tutti i partecipanti, tra cui relazioni adultere, omosessualità nascosta, crisi coniugali.
Quanto basta per scatenare una valanga di commenti omofobi e insulti in rete, che hanno colpito in particolare Mona Zaki. Nel film l’attrice interpreta una donna sessualmente disinibita, a differenza dei suoi ruoli consueti che riflettono una visione più tradizionale della donna egiziana, modesta e conformista. A fare scandalo è stata soprattutto una scena in cui si toglie le mutande e le tiene in mano (senza mostrare niente del suo corpo). Un’utente su Twitter se la prende con lei e l’attore giordano Eyad Nassar: “Come si sentiranno i vostri figli dopo avervi visto in questo film moralmente e intellettualmente inappropriato?”. Un altro accusa Netflix di voler “diffondere idee devianti e costringerci a normalizzare queste false idee”.
Il 24 gennaio l’associazione degli attori egiziani ha pubblicato una dichiarazione di solidarietà a Zaki, promettendo di sostenerla in caso di azioni giudiziarie contro di lei a causa del suo ruolo nel film. Anche diverse colleghe si sono schierate al suo fianco. Tra loro c’è l’attrice egiziana Elham Shahin, 61 anni, che il 23 gennaio è intervenuta telefonicamente al popolare programma televisivo El Hekaya per difendere il film: “L’ho visto e non c’è assolutamente niente di sbagliato. Non c’è nemmeno una cosa profana”. In un’intervista l’attrice Laila Elwi ha commentato che il film “affronta coraggiosamente questioni sociali che non dovrebbero essere messe sotto il tappeto”.
In molti hanno difeso gli attori e il film anche sui social network. “Gli spettatori egiziani hanno difficoltà a controllarsi”, ha commentato su Facebook la scrittrice egiziana Mirna el Mahdy. Altri sottolineano che il film non è neanche ambientato in Egitto, ma in Libano, e Zaki è l’unica attrice egiziana, quindi è inutile cercare “l’essenza dell’Egitto” in un prodotto di Netflix. Altri ancora sottolineano che il film promuove “l’uguaglianza di cui c’è bisogno nella regione”.
Questo articolo è tratto dalla newsletter Mediorientale, che racconta cosa succede in Medio Oriente. Ci si iscrive qui.