La situazione in Cisgiordania è vicina al “punto di ebollizione”, avverte il quotidiano Haaretz commentando gli eventi che negli ultimi giorni hanno portato a una nuova pericolosa impennata delle violenze. Il precipitare della situazione ha spinto il governo israeliano e l’Autorità nazionale palestinese (Anp) a tenere dei colloqui in Giordania per la prima volta da anni, a cui hanno partecipato anche funzionari statunitensi ed egiziani. In un comunicato congiunto pubblicato dopo la riunione del 26 febbraio ad Aqaba, sul mar Rosso, le due parti si sono impegnate a prevenire nuove violenze e a “lavorare verso una pace giusta e duratura”. Parole che suonano vuote e completamente scollegate dalla realtà sul terreno.

Mentre erano in corso i colloqui in Giordania, infatti, un palestinese ha ucciso due fratelli israeliani di 22 e 20 anni, Hillel e Yagal Yaniv, mentre si trovavano nella loro automobile nella cittadina di Hawara, vicino a Nablus. Il governo israeliano ha definito l’attacco come un “attentato terroristico palestinese”. Qualche ora dopo centinaia di coloni israeliani hanno fatto incursione nella città, hanno lanciato pietre contro le abitazioni palestinesi e incendiato edifici, cassonetti dell’immondizia e auto. È il più grave episodio di violenza dei coloni in decenni, definito da vari osservatori “un progrom”. Su Haaretz, Gideon Levy paragona l’inerzia dell’esercito davanti agli attacchi dei coloni israeliani alla strage di Sabra e Shatila del 1982, quando i militari non intervennero a fermare le milizie falangiste che uccisero tra i seicento e i duemila palestinesi nei campi profughi di Beirut, in Libano.

Un uomo di 37 anni, Sameh Hamdallah Aktash, è morto e altre cento persone sono state ferite. Il 27 febbraio Elan Ganeles, un israeliano statunitense di 26 anni, è stato ucciso in un presunto attacco palestinese mentre era nella sua auto su una strada vicino alla città di Gerico.

Le tensioni in Cisgiordania si sono inasprite il 22 febbraio, quando l’esercito israeliano ha ucciso undici palestinesi e ne ha feriti decine durante un raid a Nablus, il più sanguinoso dal 2005. I soldati hanno dichiarato di aver ucciso tre miliziani ricercati, che si stavano nascondendo all’interno di una casa nella città vecchia, ma la maggior parte dei morti sono civili, tra cui due persone anziane. Secondo un conteggio realizzato dall’Afp sulla base di dati ufficiali israeliani e palestinesi, dall’inizio del 2023 il conflitto è costato la vita a 63 palestinesi (tra cui esponenti di gruppi armati e civili, compresi minori) e a undici civili (tra cui tre minori) e un poliziotto israeliani, oltre che a una donna ucraina.

Amira Hass torna a interrogarsi sulle conseguenze dei sempre più frequenti raid dell’esercito contro le città palestinesi della Cisgiordania. In particolare, la giornalista israeliana sottolinea che rifiutando di arrendersi anche se la battaglia contro un esercito molto più numeroso e ben equipaggiato sia impossibile da vincere, i giovani combattenti palestinesi stanno inviando un importante messaggio collettivo: gli intrusi militari non sono graditi e la morte è preferibile all’ergastolo o all’accettazione e alla resa all’occupante.

Su Forward, uno dei più importanti giornali della comunità ebraica statunitense, Muhammad Shehada incolpa gli estremisti di destra al governo in Israele per l’aumento delle tensioni, di cui pagheranno un caro prezzo israeliani e palestinesi. “La portata, ampiezza e frequenza dei raid fatali di Israele sulle città palestinesi nella Cisgiordania occupata chiariscono come il governo di estrema destra, razzista e demagogico di Benjamin Netanyahu voglia vedere tutta questa terra in fiamme”. Secondo il giornalista palestinese, la brutalità di raid come quello condotto a Nablus, e come quello nel campo profughi di Jenin di appena un mese fa, è “un successo” per gli estremisti al potere, perché alimenta la stessa ondata di violenza che li ha portati al governo e giustifica le loro politiche a favore di una maggiore occupazione. E le cose, avverte Shehada, non faranno che peggiorare tra fine marzo e inizio aprile, quando coincideranno la festività araba del Ramadan e il Pesach, la Pasqua ebraica.

Il sito panarabo The New Arab riferisce che le violenze dei coloni sono andate avanti per giorni davanti all’indifferenza e alla compiacenza dell’esercito israeliano. Il sito israeliano +972 Magazine parla di “politica di eliminazione” per cancellare la presenza palestinese in Cisgiordania: portata avanti con una sequenza quotidiana di assalti dai coloni, è normalizzata dai politici e sostenuta dai soldati israeliani.

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Della situazione in Cisgiordania e dell’aggressione avvenuta ad Hawara parla il 1 marzo la scrittrice palestinese Suad Amiry a Il Mondo, il podcast di Internazionale.

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