Il jihadismo in Tunisia è una minaccia di lunga data
“Vorrei che i tunisini capissero che siamo in guerra contro i terroristi e che queste minoranze barbare non ci spaventano”. La sera del 18 marzo, poche ore dopo l’attacco al museo del Bardo a Tunisi, il presidente tunisino Béji Caïd Essebsi ha tenuto un discorso alla nazione in cui ha promesso una “lotta spietata al terrorismo”. La questione non è certo una novità per le autorità tunisine, che devono fare i conti con il jihadismo da ben prima dello scoppio della rivoluzione del 2011. L’attentato al museo del Bardo ha richiamato subito alla mente quello del 2002 contro la sinagoga della Ghriba, a Djerba, dove l’esplosione di un furgone imbottito di esplosivo uccise 21 turisti, in gran parte stranieri. L’attacco fu rivendicato da Al Qaeda.
Ma è stato soprattutto negli anni successivi alla rivoluzione, con l’aumento dell’instabilità e lo sgretolamento delle strutture del regime, apparati di sicurezza inclusi, che in Tunisia si sono moltiplicate le azioni terroristiche: dagli omicidi politici (come quelli di Chokri Belaïd e Mohamed Brahmi nel 2013) alle numerose uccisioni di poliziotti e militari (come, nel luglio del 2014, la strage di quattordici soldati in un’imboscata sul monte Chaambi, al confine con l’Algeria).
Per lo studioso di Maghreb Jérôme Heurtaux, intervistato da Libération, l’attentato al museo del Bardo, in cui hanno perso la vita 23 persone, è quindi una sorpresa solo a metà: “Le modalità e il luogo scelto sono eccezionali, così come il bilancio delle vittime. Ma è da tempo che la Tunisia deve fare i conti con il terrorismo jihadista. Alcuni gruppi estremisti islamici occupano la zona del monte Chaambi e di recente hanno ucciso tre militari tunisini. L’attacco del 18 marzo è più ambizioso perché ha avuto luogo nella capitale, vicino a uno dei palazzi del potere, e ha preso di mira degli stranieri. E quando i terroristi attaccano i turisti, significa che vogliono mandare un segnale forte”.
Nelle ore immediatamente successive all’attacco sono stati svelati i nomi dei due attentatori rimasti uccisi nel raid delle forze di sicurezza per liberare i turisti rimasti intrappolati nel museo: Yassine Abidi, di Ibn Khaldoun, un quartiere popolare di Tunisi, e Hatem Khachnaoui, di Kasserine, una città povera dell’entroterra tunisino vicina al monte Chaambi.
Invece la rivendicazione da parte del gruppo Stato islamico è arrivata solo un giorno dopo. La polizia sta ancora cercando possibili complici e tiene sotto controllo i siti internet che hanno pubblicato commenti positivi e resoconti dettagliati dell’attacco al museo del Bardo. L’organizzazione guidata da Abu Bakr al Baghdadi non è infatti l’unica a minacciare la Tunisia. Ieri il portale tunisino Business News faceva notare che la tragedia al museo era stata preceduta da un appello al jihad contro i “trasgressori” lanciato su internet la sera prima da Ouanes Fékih, uno dei leader del movimento estremista islamico tunisino Ansar al sharia.
Questo gruppo è stato creato subito dopo la rivoluzione del 2011 da Abu Iyadh, un jihadista legato ad Al Qaeda. In un primo tempo le nuove autorità hanno tollerato il movimento ma hanno finito per metterlo al bando nell’agosto del 2013, dichiarandolo un’organizzazione terroristica. Secondo alcune fonti, Ansar al sharia sarebbe responsabile degli omicidi di Belaïd e Brahmi.
Tornando al gruppo Stato islamico,Libération scrive che negli ultimi mesi la Tunisia è stata più volte minacciata dai circa tremila cittadini che si sono partiti per combattere in Siria e in Iraq. Altri 1.500 jihadisti tunisini hanno superato il confine per andare ad addestrarsi in Libia e aspirano a tornare presto nel loro paese sfruttando gli scarsi controlli ai confini, scrive Al Monitor.
Infine, tra le organizzazioni jihadiste tunisine la più attiva e pericolosa rimane Al Qaeda nel Maghreb islamico, il cui raggio d’azione si estende dall’Algeria al Mali. Il suo ramo tunisino si fa chiamare brigata Ukba ibn Nafaa e ha la base sul monte Chaambi. La brigata è la principale responsabile dei numerosi attacchi contro i militari e i poliziotti in questa regione dell’est del paese e continua a rappresentare una grave minaccia nonostante i bombardamenti aerei e le operazioni terrestri delle forze tunisine contro le sue postazioni.