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Le conseguenze psicologiche della crisi climatica in Africa

I danni causati dalla rottura di una diga nel villaggio di Kamuchiri, nella Great rift valley, in Kenya, 29 aprile 2024. (Luis Tato, Afp)

Dopo una lunga e devastante siccità, negli ultimi mesi sul Kenya si sono abbattute delle piogge torrenziali che hanno avuto conseguenze molto gravi. Si calcola che da marzo siano morte almeno 179 persone in diversi incidenti. Nel più grave, scrive la Cnn, in 71 hanno perso la vita quando si è rotta una diga in un villaggio della Great Rift valley, che è stato sommerso dall’acqua e dal fango. Altre novanta persone sono date per disperse in tutto il paese, mentre duecentomila hanno dovuto abbandonare le loro case.

Molte altre sono state costrette a farlo dopo che il 30 aprile il presidente William Ruto ha ordinato l’evacuazione delle zone a rischio d’inondazione, mobilitando l’esercito. I bambini in età scolare perderanno almeno una settimana di lezioni, dopo che il governo ha rinviato la ripresa dell’anno scolastico perché molti istituti non sono in sicurezza. Infine, il maltempo ha colpito anche il settore turistico (principale fonte di valuta straniera insieme all’agricoltura e alle rimesse): secondo l’Afp, un centinaio di visitatori sono bloccati nella riserva del Maasai Mara a causa della piena di un fiume.

La situazione non è molto differente nei paesi vicini, dove il fenomeno meteorologico del Niño, cominciato a metà 2023 e destinato a durare per tutto maggio, accentua i cambiamenti climatici. La Tanzania ha registrato 155 morti a causa delle inondazioni e delle frane, in Burundi circa 96mila abitanti sono sfollati per il maltempo e anche l’Uganda è stato battuto da forti temporali.

Un rapporto dell’ong Human rights watch constata che il governo del Kenya non ha preso misure adeguate per evitare questi disastri, che hanno colpito maggiormente i quartieri poveri della capitale Nairobi, più fragili e congestionati, con costruzioni meno solide e servizi fognari e idraulici estremamente carenti. Uno dei rischi è che ora tra le persone rimaste senza casa si diffondano malattie portate dall’acqua, come il colera e la diarrea.

Non sono solo le ricadute sanitarie a preoccupare. Come scrive Le Monde Afrique, “il trauma psicologico creato dalla violenza di questi eventi e il sentimento di vulnerabilità rispetto al futuro non sono adeguatamente presi in considerazione nella risposta ai disastri climatici”. Gli operatori umanitari intervistati dal quotidiano riconoscono che, con i pochi mezzi che hanno a disposizione, la priorità è “salvare i corpi, non gli spiriti”.

Tuttavia, questo “volto nascosto del cambiamento climatico preoccupa l’Organizzazione mondiale della sanità”, che in una nota del 2022 ha sottolineato “l’urgenza di prepararsi a prevenire i disturbi mentali legati alla crisi climatica”, come l’ansia, la depressione e le tendenze suicide.

Purtroppo, sul piano della ricerca accademica, gli studi su questo fenomeno in Africa sono inesistenti. Gli unici tentativi di ascoltare le comunità africane colpite da eventi climatici estremi sono affidati alle ong. Tra gli esempi citati dal quotidiano francese, c’è quello dell’Iniziativa regionale per un sostegno psicosociale in Zimbabwe, lanciata dopo il passaggio nel 2019 del ciclone Idai, o l’intervento di Medici senza frontiere a Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo, dopo che a gennaio una frana ha causato circa trecento morti. Uno dei problemi di fondo è che mancano gli psicologi. In Burundi l’ong Psicologi senza frontiere cerca di formare dei nuovi specialisti, in un paese che ne conta cinque per 13 milioni di abitanti.

Questo testo è tratto dalla newsletter Africana.

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