Uno dei primi scienziati ad accorgersi che c’era qualcosa di strano nei laghi del Kenya è stato il geologo Simon Onywere. Si era interessato alla questione per caso. Tra il 2010 e il 2013 era andato a studiare il lago Baringo, il quarto in Kenya per volume. Le ossa delle persone che abitavano in quella zona s’indebolivano con una rapidità sospetta, e lui voleva capire se era dovuto ai livelli troppo alti di fluoruri nell’acqua. All’inizio del 2013, durante un incontro con i residenti di Marigat, una cittadina vicina al lago, un anziano si era alzato per dire: “Prof, non ci importano i fluoruri. Vogliamo sapere perché l’acqua è entrata nelle nostre scuole”.
Incuriosito, Onywere era andato a fare un sopralluogo alla scuola primaria locale, la Salabani, e aveva visto che le acque del lago lambivano i terreni su cui sorgeva l’istituto. Aveva tirato fuori una mappa che indicava le posizioni del lago e della scuola: com’era possibile che il lago si fosse avvicinato di due chilometri, senza che nessuno ne parlasse?
Poi Onywere era tornato a Nairobi e lì, insieme ai colleghi di varie università keniane, si era messo a studiare le immagini satellitari. Le foto mostravano che nel corso dell’anno precedente il lago aveva invaso tutta l’area circostante. Onywere aveva cercato anche le immagini dei laghi vicini: Bogoria, Nakuru e Naivasha. Tutti erano esondati. Ampliando il campo della sua ricerca, si era accorto che era aumentata l’estensione anche del lago Vittoria, il più grande dell’Africa. E del lago Turkana, il lago desertico più grande del mondo.
Scarsa attenzione
Nel settembre 2013, dopo ulteriori approfondimenti e rilevamenti, Onywere e i colleghi si erano fatti un’idea della gravità dei danni. A Baringo le scuole erano state allagate e gli abitanti avevano dovuto abbandonare l’area. Il lago Nakuru aveva completamente allagato il parco nazionale di cui un tempo faceva parte: la sua superficie era aumentata del 50 per cento.
Qualche mese dopo Onywere, il cui aspetto ricorda quello di un vecchio insegnante severo, incontrò, senza troppe aspettative, il governatore della contea di Baringo, Benjamin Cheboi. Il governatore era poco interessato, ricorda il geologo. Cheboi, invece, smentisce la ricostruzione e sostiene di non aver mai incontrato Onywere.
Dal 2010, per una decina d’anni, il livello dei laghi è lentamente cresciuto, costringendo decine di migliaia di persone a spostarsi. Poi, all’inizio del 2020, dopo un periodo di piogge particolarmente intense sugli altipiani keniani, l’espansione dei laghi ha accelerato.
Le acque del lago Turkana hanno circondato il complesso vulcanico chiamato Barrier, formato da quattro vulcani sovrapposti, che prima lo separava dal più piccolo lago Logipi. Il lago Baringo oggi include il meno noto lago 94, ed è avanzato verso l’entroterra di circa tredici chilometri, mentre il lago Oloiden è stato inghiottito dal Naivasha. Il lago Baringo, d’acqua dolce, e il Bogoria, salato, si sono avvicinati moltissimo tanto che rischiano di confluire in un unico specchio d’acqua, cosa che avrebbe effetti devastanti per i loro ecosistemi. Nel punto più vicino i due laghi distano appena sei chilometri.
Onywere è sconvolto da quanto poco ci si occupi del problema. Dopo lo scoppio della pandemia di covid-19 nel marzo 2020, il governo è sembrato ancora meno interessato. A parte le visite di circostanza dei funzionari pubblici nelle zone colpite, organizzate solo dopo le denunce dei mezzi d’informazione, i laghi e le persone che ci vivono intorno sono stati dimenticati.
Il Kenya è un paese di laghi. Se prendete un’immagine satellitare dell’Africa, vedrete una chiazza azzurra spiccare tra il verde delle foreste e il marrone dei deserti. Il lago Vittoria si trova a cavallo tra Uganda, Tanzania e Kenya. Spostatevi a est, verso il centro del Kenya, e avvicinate lo sguardo. Lì c’è una distesa azzurra: il lago Turkana, a nord, che si spinge fino in Etiopia; e il lago Natron, a sud, che arriva fino in Tanzania. In mezzo, una striscia di laghi più piccoli: Baringo, Bogoria, Naivasha, Nakuru, Magadi. Tutti si trovano nella parte keniana della Great rift valley, una depressione formata dalle placche tettoniche che si stanno allontanando, lunga settemila chilometri, dal Libano al Mozambico.
Eccellenze keniane
Il mio immaginario di bambino era dominato dai laghi del mio paese. Sono cresciuto a Kisumu, sulle rive del lago Vittoria, e ricordo l’emozione che provai quando scoprii che era il secondo lago d’acqua dolce più grande del mondo, e il terzo più grande in assoluto. Ecco una cosa in cui noi keniani eccellevamo, pensavo: i laghi! Di tanto in tanto, io e la mia famiglia andavamo a passare un pomeriggio all’Impala park, per fare un picnic sul lago circondati dalle gazzelle al pascolo. A Hippo point, invece, facevamo delle gite in barca per avvistare gli ippopotami. Tiravamo i sassi sul pelo dell’acqua e contavamo i rimbalzi.
A un certo punto i bambini hanno cominciato ad agitarsi. Un ippopotamo! Indicavano l’acqua: si vedeva la testa
In Kenya i laghi sono indispensabili per la popolazione, per l’economia e per l’ambiente. Alcuni sono salati e alimentano una fiorente fauna marina e aviaria – tra cui fenicotteri, gru e alcune specie di aquile e avvoltoi a rischio di estinzione –, oltre a varie industrie locali. Il lago Magadi fornisce più carbonato di sodio (usato per produrre i detersivi, il vetro ma anche generi alimentari) di qualsiasi altro posto in Africa. Altri bacini – Turkana, Baringo e Naivasha – sono d’acqua dolce, e garantiscono il sostentamento di quasi un milione di persone che ci vivono intorno. Il lago Naivasha ha permesso anche l’espansione della floricoltura: il Kenya è il terzo esportatore al mondo di fiori recisi, e il 70 per cento di questi fiori finisce in Europa.
Negli ultimi dieci anni, però, a causa delle esondazioni, i laghi sono stati un motivo di allarme, più che di orgoglio. Centinaia di migliaia di persone hanno dovuto abbandonare le loro case, e potrebbe essere solo l’inizio. Secondo un recente rapporto delle Nazioni Unite sul lago Turkana, gli allagamenti, che prima erano considerati rari, “probabilmente diventeranno più regolari” se non si prenderanno misure per contenerli.
La situazione nelle scuole
Nel 2021 ho attraversato in lungo e in largo il Kenya per vedere con i miei occhi come stanno i laghi. Dalla capitale, Nairobi, sono partito in auto verso Nakuru, 160 chilometri a nordovest, e sono sceso lungo una serie di ripide scarpate per addentrarmi nella Great rift valley. Da lì ho continuato per cento chilometri a nord e sono arrivato a Marigat, la città più vicina ai laghi Baringo e Bogoria, dove Onywere aveva cominciato la sua ricerca.
Nel mio primo giorno in città ho incontrato George Okeyo, il responsabile delle scuole della zona. L’espansione del lago Baringo, mi ha raccontato, è cominciata nel dicembre 2019. Quella era una zona desertica, ma per circa tre mesi, fino al marzo 2020, ci sono state piogge intense. Quando ha smesso di piovere la gente del posto pensava che il lago si sarebbe ritirato. Invece ha continuato a crescere. Nello stesso periodo è scoppiata la pandemia e sono state chiuse le scuole in tutto il paese. Sono state riaperte sette mesi dopo, e a quel punto undici istituti di Marigat erano completamente allagati.
In una scuola, gli studenti seduti ai loro banchi riuscivano a vedere gli ippopotami che andavano a spasso. Okeyo mi ha raccontato che due bambini che stavano giocando in una scuola ancora chiusa sono stati uccisi dai coccodrilli. Per allontanare gli animali, sono stati piantati degli alberi spinosi e velenosi. Ma ci sono stati numerosi casi, riportati anche dai mezzi d’informazione, di attacchi di coccodrilli e ippopotami.
Alcune scuole locali hanno ricevuto donazioni dal governo e dalle associazioni di beneficenza, ma Okeyo ha detto che da loro sono arrivate solo qualche tenda e qualche lamiera per costruire nuove aule. All’inizio del 2021, quando Okeyo è andato al ministero dell’istruzione a Nairobi, i registri ufficiali mostravano che a ciascuna delle scuole secondarie intorno al lago Baringo erano stati destinati dieci milioni di scellini keniani (79mila euro) e alle scuole primarie quattro milioni (31.500 euro). “Il funzionario con cui ho parlato mi ha detto che i soldi erano stati inviati”, ha detto Okeyo, ma nessuna scuola aveva ricevuto un centesimo. Una parte dei fondi è arrivata mesi dopo la mia visita, a più di un anno dall’esondazione.
Nel secondo giorno a Marigat ho accompagnato Okeyo a visitare alcune scuole che erano state trasferite in una nuova sede. Alla scuola primaria Ng’ambo, dove con la pandemia gli iscritti sono passati da un massimo di cinquecento a una quarantina, le lezioni si svolgevano sotto gli alberi e all’interno di due tende della Croce rossa. Fuori da una delle due tende c’era la “sala docenti”, una panca dove gli insegnanti si sedevano per mettere i voti. In una classe all’aperto, una maestra insegnava agli alunni l’uso delle maiuscole in inglese. Intorno ai bambini pascolavano le capre. Il signor Parkolo, il rappresentante degli insegnanti, mi ha detto che le aule della scuola, a quindici chilometri di distanza, erano completamente allagate. Vedendo che avevo una macchina fotografica, ha chiesto ai colleghi di mettersi in posa per fare delle foto. Ai bambini ha detto d’indossare le mascherine, dopotutto eravamo ancora in piena pandemia.
Qualche ora dopo sono andato a visitare la vecchia sede della scuola secondaria Salabani. Il lago si era parzialmente ritirato, quindi siamo riusciti a entrare. Alcuni bambini, che non erano alunni della scuola, mi hanno fatto strada insieme al direttore e al suo vice tra i giacinti d’acqua galleggianti che infestavano l’edificio. Abbiamo visto impronte di ippopotamo e siamo saliti in una stanza al piano superiore che un tempo serviva da aula. Davanti a noi c’era il lago. Un gruppo di pellicani, bianchi e affamati, zampettava nell’acqua. Il direttore, Moses Chelimo, mi ha indicato quello che prima era il dormitorio maschile; si vedeva a malapena. Alle sue spalle c’era la fattoria della scuola: due ettari di terreni coltivati a mais per dar da mangiare agli studenti. Ma i campi erano coperti d’acqua. Uno dei bambini ci ha detto che un ippopotamo andava spesso a dormire vicino a una delle aule. Gli ho chiesto se l’aveva visto entrare. “Haizetosha mlango”, ha risposto un altro bambino: “Non passa dalla porta”. Siamo scoppiati tutti a ridere.
Alla mia destra si vedeva una distesa d’acqua, e poi una fila di aule con delle terrazze sopraelevate. Due pescatori stavano attraccando proprio lì. Per non fare troppo rumore e non spaventare i pesci, usavano una zattera spinta da remi di plastica.
A un certo punto i bambini hanno cominciato ad agitarsi. Un ippopotamo! Indicavano l’acqua: si vedeva la testa. Chelimo non si è impressionato: nei vecchi alloggi degli insegnanti c’erano un sacco di ippopotami che nuotavano tra le casette allagate. Lui e il suo vice, Kibet Zayako, continuavano a scrutare la superficie del lago perlustrando quella che un tempo era la loro scuola.
Dovunque andassi, tutti avevano una spiegazione per quello che stava succedendo. Una teoria diffusa era che fosse un fenomeno ciclico. “Ho sentito che è successo anche negli anni quaranta, ma non ero ancora nato”, mi ha detto un abitante di Ahero, vicino al lago Vittoria. Lawrence M Kiage, professore di geografia alla Georgia state university, negli Stati Uniti, e studioso della storia dei cambiamenti climatici nell’Africa orientale, dice qualcosa di simile: “Se andiamo indietro negli anni, i laghi della Great rift valley hanno già registrato livelli più alti. Il fenomeno a cui assistiamo oggi non è una novità”. Anche Sean Avery, un esperto di idrologia che vive in Kenya dal 1979, sostiene che l’attuale livello del lago Turkana non è più alto di quello degli anni settanta o novanta.
Altre spiegazioni si concentrano sulla posizione geografica: i laghi del Kenya dove si assiste a un innalzamento del livello dell’acqua sono quasi tutti situati sul ramo est della Great rift valley. Il ramo ovest si estende dal nord dell’Uganda alla Tanzania sudorientale, e anche lì il livello dei laghi si sta alzando, seppure più lentamente, e ha costretto decine di famiglie congolesi, burundesi e ugandesi ad abbandonare le loro case. Secondo molti osservatori non può essere una coincidenza: l’innalzamento del livello dei laghi dev’essere collegato all’attività tettonica. La Great rift valley si sta allargando di circa due millimetri all’anno, e tra qualche decina di milioni di anni l’Africa orientale si sarà staccata dal resto del continente. Secondo una teoria, con l’ampliarsi della faglia i laghi starebbero ricevendo acqua dolce da una falda acquifera finora sconosciuta.
Chiedo anche a Onywere se i movimenti tettonici possono essere la causa dell’espansione dei laghi. Ma lui esclude l’ipotesi: anche il lago Vittoria si sta alzando, e non si trova su un ramo della Great rift valley. Quello che sta succedendo, spiega, è una conseguenza dei cambiamenti climatici. Sugli altipiani del Kenya e dell’Etiopia piove di più, e la portata dei fiumi è aumentata. Negli ultimi dieci anni le precipitazioni piovose in Kenya sono cresciute costantemente: nel 2010 la media era di 650 millimetri, ma poi è salita costantemente di anno in anno. Nel 2019 il Kenya ha registrato il terzo livello più alto di precipitazioni nella sua storia.
Il geografo Kiage ammette che la tettonica non spiega tutto, in particolare l’innalzamento del lago Vittoria. Ma allo stesso tempo non è convinto che l’origine del fenomeno siano semplicemente i cambiamenti climatici causati dagli esseri umani. “Non sto cercando di minimizzare il nostro ruolo”, dice. “È chiaro che le nostre azioni contano, ma non spiegano l’innalzamento improvviso”. Servirebbe un’indagine molecolare dell’acqua per determinare da dove viene, osserva Kiage.
Quando sono in fiore, le jacarande si riempiono di pesanti grappoli di fiorellini viola simili a campanelli. Là erano spoglie e brunastre
Onywere ha invitato il governo a studiare l’innalzamento del livello dei laghi per capire come aiutare le popolazioni colpite. Nell’ottobre 2020 è stato accontentato: il governo ha annunciato la formazione di una squadra di geologi e idrologi per indagare sul fenomeno. Onywere è stato nominato capo del team per il lago Turkana.
Nel mare di giada
Una torrida mattina di giugno, oltre la cresta di una collina sassosa, le sfumature verde azzurro dell’acqua brillavano al lato della strada: era la reazione del sole del deserto alla materia alcalina che dà al lago Turkana il soprannome di “mare di giada”. In un villaggio lungo la riva, le persone della comunità El Molo si lamentavano dell’esondazione del lago. Gli anziani mi hanno detto che con gli allagamenti erano stati costretti a spostare tutto il loro villaggio, Luyeni, sradicando le capanne e piantandole più lontano per metterle al sicuro dall’acqua. Mentre parlavamo, alcuni gabbiani planavano pigramente sull’acqua, sospinti dallo zefiro.
Gli anziani notavano che il lago era aumentato di dimensioni, e andando a pesca si erano accorti anche che era più profondo. Mi hanno parlato di una strada che era stata usata l’ultima volta dieci anni prima ma poi era stata sommersa. Prevedevano che, in poco tempo, anche la strada che avevo percorso per raggiungere Luyeni sarebbe finita sott’acqua. Sapevano che il fenomeno non riguardava solo il Turkana, ma anche altri laghi, fino a Kisumu. E avevano formulato delle teorie sulle cause dell’esondazione del lago, che nella lingua locale si chiama Mpaso. “Forse si è aperta una sorgente nel terreno e ha spaccato la roccia, perciò viene su l’acqua”, mi ha detto uno di loro. Forse la spaccatura era avvenuta nel fiume Omo, in Etiopia, ha suggerito un altro.
Aiuti dall’estero
Nell’agosto 2021 il ministero dell’ambiente dichiarava che il governo keniano, una volta pubblicata la relazione sull’innalzamento dei laghi, si sarebbe rivolto alla comunità internazionale per chiedere assistenza. Per contenere i danni nel breve periodo servono 3 miliardi di scellini (23,7 milioni di euro), nel lungo periodo altri 5 miliardi (40 milioni di euro).
Diversi esperti della squadra che sta preparando il rapporto, però, non sono convinti che il governo sia davvero interessato ad aiutare le vittime degli allagamenti. La vera motivazione della classe politica (notoriamente corrotta) del Kenya, osservano, sono le donazioni internazionali. L’innalzamento del livello dei laghi non è un segreto, va avanti da più di dieci anni. I politici del Kenya, però, hanno cominciato a occuparsene solo nel luglio 2021, quando il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) ha pubblicato un rapporto sul lago Turkana e la prospettiva degli aiuti internazionali è diventata più concreta. Molte persone con cui ho parlato si sono indignate quando hanno scoperto che gli aiuti sarebbero arrivati dalla comunità internazionale e non dal governo. Durante la nostra chiacchierata a Marigat, Okeyo mi ha detto che Nairobi non pensa alle piccole comunità che vivono intorno al lago Baringo.
Nell’ottobre 2021 il governo ha finalmente pubblicato il rapporto. Pur ammettendo la possibilità che l’attività tettonica sia in parte responsabile dell’espansione dei laghi, il documento individua la causa principale nell’aumento delle piogge dovuto al cambiamento climatico. Altre forme d’interferenza umana con l’ambiente (per esempio, la deforestazione) hanno provocato frane e un maggior deflusso idrico, che a loro volta hanno contribuito all’innalzamento del livello dei laghi. Il rapporto sottolinea che quasi 400mila persone in Kenya sono sfollate e hanno bisogno di “assistenza umanitaria urgente”.
Le conseguenze sono state particolarmente gravi intorno ai laghi Vittoria, Naivasha e Baringo, che si trovano in aree densamente popolate. Sul Naivasha, a ottanta chilometri a ovest di Nairobi, sono andato a visitare l’insediamento di Kihoto, dove quattromila famiglie hanno dovuto andarsene. Ho incontrato Gideon, che dopo l’allagamento è rimasto nella zona per fare la guardia alle sue case, ora vuote. Mentre camminavamo in mezzo all’acqua, mi ha detto di aver sentito al telegiornale i rappresentanti del governo che sostenevano di aver mandato aiuti alimentari ai residenti di Kihoto. Lui, però, non aveva ricevuto niente, una lamentela che ho sentito ripetere in tutto il paese. A Loruk, in prossimità del lago Baringo, ho incontrato un uomo di nome Wesley Jeptumo. Raccontava che, a parte una squadra della Croce rossa venuta a fare delle foto, non era arrivato nessuno a dare una mano. Vicino al lago Vittoria, un conducente di mototaxi mi ha detto che quando gli abitanti del luogo avevano visto la mia auto pensavano che fossi Raila (Odinga), un noto politico keniano, finalmente arrivato per aiutarli. Immagino la delusione quando hanno scoperto che ero un giornalista freelance.
La mattina dopo il mio primo incontro con Okeyo a Marigat ho raggiunto in barca Kampi Ya Samaki, un centro ittico sulle rive del lago Baringo. I raggi del sole appena sorto filtravano dalle nuvole grigie. C’erano uccelli dappertutto. Un’aquila si è tuffata nel lago dalla cima di un albero ed è uscita con un pesce nel becco. Cormorani, gruccioni del Madagascar e martin pescatori se ne stavano appollaiati sui rami in cerca di cibo. Il comandante della barca, Evans Limo, mi ha indicato gli edifici invasi dall’acqua: case private, il centro sanitario, qualche chiesa. In un albergo mezzo allagato, gli struzzi, tenuti come animali domestici, si aggiravano nelle parti ancora asciutte della struttura.
La cosa più inquietante erano gli alberi in mezzo al lago, altissimi, marroni e senza foglie. Ovunque andassi, la vista degli alberi morti mi colpiva profondamente. All’interno del Dunga hill camp, un’area per picnic piuttosto frequentata vicino al lago Vittoria, pozze d’acqua circondavano le jacarande, piantate in epoca coloniale. Quando sono in fiore, questi alberi si riempiono di pesanti grappoli di fiorellini viola simili a campanelli. Là, invece, erano spogli e brunastri. Dai rami secchi spiccavano il volo gabbiani e aironi.
Circa 180 chilometri a est del lago Vittoria, nel parco nazionale del lago Nakuru, ho visto una foresta quasi completamente allagata. Gli alberi di acacia, un tempo verdi, erano stati lentamente soffocati dall’acqua, che si era spinta oltre i confini del parco, fino alla città di Nakuru. Dieci anni prima, mi ero arrampicato in cima al cratere Menengai, che domina la città, e dall’alto avevo osservato il lago, una distesa azzurra delimitata dal rosa dei fenicotteri, come se un bambino l’avesse disegnata con un pastello a cera. Tutt’intorno c’era il verde della foresta rigogliosa, dove si nascondevano leoni, bufali, leopardi e altri animali selvatici. Ma il lago ne aveva inghiottita una buona parte. Gli animali si erano spostati nelle zone ancora asciutte. Se l’acqua avesse continuato ad avanzare, il loro habitat naturale sarebbe stato compromesso.
Mentre guardavo le acacie giganti sommerse, Babu, la guardia forestale che mi accompagnava, mi ha mostrato le case dei dipendenti del Kenya wildlife service, la guardia forestale. Non riuscivo a vedere niente.
“Dove?”, gli ho chiesto. Babu le ha indicate di nuovo. Erano completamente sommerse. ◆ fas
Carey Baraka è un giornalista keniano freelance. Collabora con vari giornali e siti d’informazione internazionale, tra cui Guernica e Foreign Policy.
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Questo articolo è uscito sul numero 1457 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati