Il disinteresse di Donald Trump per l’Africa
Pensando al primo mandato di Donald Trump e all’Africa, la prima cosa che torna alla mente è la sua uscita sui “shithole countries”, paesi di merda. Era l’11 gennaio 2018 e alla Casa Bianca Trump stava parlando di un nuovo pacchetto sull’immigrazione con alcuni senatori. In particolare si discuteva della proposta di garantire protezione a immigrati provenienti da Haiti, El Salvador e vari paesi africani. A quel punto Trump era sbottato: “Perché lasciamo che tutte quelle persone provenienti da paesi di merda vengano qui?”.
Pochi mesi prima Trump aveva ordinato il molto discusso travel ban (divieto di viaggiare, nei fatti un divieto di soggiornare negli Stati Uniti per un lungo periodo) ai cittadini di sette paesi a maggioranza musulmana (tra cui Somalia e Libia), divieto che successivamente era stato esteso a chi veniva da Nigeria, Sudan, Tanzania ed Eritrea. Una volta Trump ha detto anche che i nigeriani, una volta arrivati negli Stati Uniti, “non se ne sarebbero più tornati nelle loro capanne” in Africa.
In quegli anni Trump si è interessato poco al continente – di cui non sembra avere una conoscenza approfondita, almeno a giudicare dalle sue dichiarazioni – e non ha mai compiuto una visita ufficiale in un paese africano. Anche il suo segretario di stato, Mike Pompeo, c’è andato solo due volte, in Senegal e in Etiopia.
Il presidente Joe Biden negli ultimi quattro anni non ha fatto di meglio: ha rimandato a dicembre, a fine mandato, la sua prima visita nel continente e ha scelto di recarsi in un paese, l’Angola, che non è esattamente un esempio democratico (però da lì passa una ferrovia molto strategica per gli Stati Uniti). La sua vice Kamala Harris, candidata sconfitta alle ultime elezioni, invece, c’è stata e ha scelto delle democrazie: Ghana, Tanzania e Zambia.
Reazioni contenute
Dopo la vittoria di Trump i leader di molti paesi africani – tra cui quelli di Sudafrica, Nigeria, Etiopia e Repubblica Democratica del Congo – gli hanno fatto le congratulazioni di rito. Ma il ritorno alla presidenza degli Stati Uniti suscita anche preoccupazioni, come testimoniato dal fatto che la moneta sudafricana, il rand, ha perso il 3 per cento del suo valore subito dopo l’annuncio dei vincitori delle presidenziali statunitensi.
Il timore, scrive il sito sudafricano Daily Maverick, è che con un senato controllato dal Partito repubblicano, si mettano in discussione gli accordi commerciali preferenziali con alcuni paesi africani (per esempio, quelli previsti dal trattato Agoa) o gli aiuti statunitensi al continente, cosa che avrebbe ripercussioni enormi.
L’Africa riceve la maggior parte degli aiuti esteri dagli Stati Uniti, che nell’ultimo anno affermano di aver versato 3,7 miliardi di dollari. Ma dall’America arrivano anche altri tipi di sostegno: il 7 novembre è stato annunciato inoltre che il 6 novembre gli Stati Uniti e la Somalia hanno firmato un accordo che formalizza la cancellazione di 1,14 miliardi di debiti accumulati dal paese africano verso Washington, una mossa che dovrebbe aiutare Mogadiscio a risollevarsi dagli strascichi della guerra civile.
Tornando in Sudafrica, dal punto di vista delle relazioni tra Pretoria e Washington, potrebbero esserci attriti visto che il Sudafrica fa parte dei Brics ed cerca di mantenere buoni rapporti con Russia e Cina. Allo stesso tempo, è il paese d’origine del miliardario Elon Musk, un importante sostenitore di Trump nella sua ultima campagna, che già in passato aveva promosso teorie complottiste come quelle del genocidio dei bianchi sudafricani (questo articolo di Eve Fairbanks su The Dial spiega bene il rapporto distorto di Musk con il paese in cui è nato). Ma il rischio più temuto è un braccio di ferro tra Stati Uniti e Cina, che potrebbe avere conseguenze importanti sia in Sudafrica sia nel resto del continente.
Allargando lo sguardo, ci si può chiedere anche come si contrapporrà la nuova amministrazione Trump alla Russia in Africa, che nel suo primo mandato non aveva ancora una presenza visibile nel Sahel e in altri paesi del continente. Offrirà più aiuti militari ai paesi minacciati dalle insurrezioni jihadiste che si sono rivolti al Cremlino, per contrastare l’avanzata russa nel continente? O lascerà fare? Per il momento è difficile fare previsioni. Come ha detto l’analista liberiano W Gyude Moore alla Bbc, “Trump è sempre poco ortodosso in tutto ciò che fa. Quindi bisogna prepararsi a essere aperti a cose nuove, non necessariamente buone, ma di certo diverse”.
Questo testo è tratto dalla newsletter Africana.
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