La Cina valuterà i cittadini in base a come si comportano online
Nel tempo impiegato per scrivere questo articolo, ho mandato cinque messaggi con il servizio di messaggistica WeChat (e un paio con WhatsApp) e ho ricevuto un aspirapolvere acquistato sul sito di e-commerce JD.com, il rivale di Alibaba, che subito dopo mi ha spedito attraverso la stessa app con cui avevo comprato l’apparecchio un messaggio per chiedermi di dare un voto al servizio: da zero a cinque stelle per l’integrità dello scatolone, la velocità di consegna e l’attitudine al servizio del kuaidi, il corriere.
Gli ho dato cinque stelline rosse, in fondo è tornato a riconsegnarmi il pacco un’ora dopo non avermi trovato in casa. È pur vero che prima l’avevo aspettato tutto il giorno, per cui ho dato solo tre stelline alla voce “velocità di consegna”. Non mi aveva trovato perché il frigorifero era vuoto ed ero andato a fare la spesa dove, non avendo abbastanza contanti, ho pagato sempre attraverso WeChat, che accede direttamente alla mia carta di credito se per caso non ho abbastanza soldi accumulati con gli scambi reciproci di denaro tra amici (come quando si esce a mangiare: uno ci mette i contanti e gli altri lo rimborsano con soldi virtuali via smartphone).
Ripensandoci, mentre scrivevo questo articolo ho fatto tantissime cose contemporaneamente. Chissà che bel voto avrò preso.
Fiducia elastica
Sulle nostre attività online si basa infatti un sistema di rating che, giorno dopo giorno, traccia, cataloga e quindi assegna un voto a tutti i cittadini e alle entità collettive cinesi, come le imprese.
La storia non è nuova, era stata annunciata già il 14 giugno 2014 da un documento del consiglio di stato chiamato “Pianificazione per la costruzione di un sistema di credito sociale”. Recentemente Wired ci è tornato con una lunga ricostruzione dei passi avanti compiuti da questo grande fratello che per certi versi ricorda Nosedrive, una puntata della serie Black mirror in cui ogni interazione sociale è basata sul punteggio che ognuno assegna all’altro.
In Cina, il sistema si basa su un concetto piuttosto elastico di “fiducia”: sei affidabile se non truffi quando compri o vendi merce, ma anche se posti messaggi “positivi” sui social e non remi contro il socialismo con caratteristiche cinesi che entra nella nuova epoca.
Quando sarai online, comprerai, comunicherai, sarai valutato e quindi premiato o sanzionato, qualunque sia la piattaforma che userai
Nella migliore tradizione dell’uovo e della gallina, non si sa se sia stato il governo a dare il via o se abbia semplicemente messo il timbro su qualcosa di già esistente. I giganti di internet sono infatti all’opera da tempo: QQ (chat) di Tencent e Alipay (pagamenti online) di Alibaba decidono se sei una persona “affidabile” o meno in base alle tue attività online e alle tue abitudini al consumo.
Due delle grandi sorelle del web cinese – la terza è Baidu – hanno creato sistemi simili, forti degli 850 milioni di utenti di QQ e dei 450 milioni di Alipay. Entrambi prevedono regali e promozioni per chi si comporta bene, quindi non stupisce che dei volontari entusiasti siano accorsi a testare il sistema di rating lanciato da QQ l’estate scorsa, mentre il Sesame credit di Alipay esiste fin dal 2015. Il governo cinese intenderebbe unificarli in un unico “sistemone” entro il 2020, realizzando il progetto distopico di un controllo esercitato sia dal “libero mercato” sia dallo stato. Il primo fornisce i dati, il secondo tira le somme e ti mette in riga.
Quando sarai online, comprerai, comunicherai, sarai inesorabilmente valutato e quindi premiato o sanzionato, qualunque sia la piattaforma su cui ti troverai. Come vasi comunicanti, i diversi sistemi dovrebbero a quel punto lavorare da enorme apparato di valutazione e retribuzione.
Tra le “punizioni” previste per chi si dimostra “inaffidabile”, specifica il consiglio di stato cinese, ci sono sia limitazioni nei consumi – connessione internet più lenta, accesso limitato a determinati ristoranti, locali notturni o campi da golf (è divertente il riferimento a quest’ultima voce, sinonimo di status soprattutto per i funzionari governativi) – sia la negazione di alcuni diritti, come il libero accesso alle professioni – per esempio non potrai fare il giornalista – o la limitazione dei viaggi all’estero. E sono punizioni totalmente al passo con i tempi: la parallela negazione del consumo, del movimento e delle opportunità produce cittadini di serie A e di serie B.
Complicità tra controllore e controllato
Questo grande fratello elettronico riguarda fondamentalmente il ceto medio in crescita, ma i suoi effetti ricadono anche su altri.
Meng Qinglei lavora per Baidu WaiMai, una piattaforma per la consegna dei pasti take away. È anche lui un corriere espresso, ha 29 anni ed è un lavoratore migrante, con una moglie e un figlio che sono rimasti al paese d’origine. Racconta che per ogni consegna che fa, il cliente gli dà un punteggio attraverso l’app del cellulare, e in base a quello i suoi capi decidono il suo livello professionale: bronzo, argento, oro, diamante, “santo” e “mitico”.
In base a questa classificazione sono decisi sia il suo stipendio sia quanto gli spetta di commissione per ogni consegna. Lui è contento perché si è già posizionato al livello più alto – è un “mitico” – e spera di potersi mettere in proprio tra qualche anno per tornare a casa e aprire una stazione di Baidu WaiMai.
È come se fossimo contenti di essere giudicati in base a un’affidabilità decisa altrove, a patto che questo ci dia accesso a nuovi consumi
Ma il controllo non è solo elettronico. L’agenzia di stampa Xinhua recentemente ha raccontato il caso della prefettura di Jinhua, un’area rurale nella provincia dello Zhejiang, dove il locale credito cooperativo concede prestiti alle “famiglie civilizzate”, cioè quelle che hanno una buona reputazione nel villaggio.
Xinhua riporta la storia di un contadino che ha ottenuto 200mila yuan per estendere la propria coltivazione di loto, grazie al “prestito della buona famiglia”, un prodotto appositamente studiato per premiare “uno stile familiare buono, il rispetto della legge, onestà civile e altri asset intangibili”. Finora sono state premiate 8.052 “famiglie civilizzate” per un totale di 830 milioni di yuan. Tutto molto analogico, ma capillare come il sistema di rating informatico.
Questi esempi evidenziano una sorta di complicità tra il controllore e il controllato. È come se fossimo contenti di essere giudicati in base a una “affidabilità” che non decidiamo noi, a patto che questo ci dia accesso a nuovi consumi, nuove opportunità.
Il consumatore e il cittadino si identificano fino a confondersi. Se tu pratichi un consumo “virtuoso” – e si presume anche abbondante, perché se non consumi potresti essere considerato un asociale – e diffondi “energia positiva”, allora hai accesso a ulteriori consumi e, chissà, sali nella scala sociale. Questo ti fa felice o, al limite, ti fa stare tranquillo.
Quando si impone la “banalità del rating”, lo scivolamento verso il controllo politico diventa altrettanto banale. A Urumqui, nello Xinjiang, girava un adesivo rosso con una scritta bianca: Ping’an jiating, “famiglia sicura”, “non problematica”. I comitati di quartiere della città lo appiccicavano sulle porte di quei nuclei familiari uiguri che, sulla base di un credito sociale adattato alle condizioni locali, dimostravano di non praticare con troppa solerzia la religione islamica.
Sullo stesso argomento puoi leggere:
Discriminati da un algoritmo, The Atlantic
Come la Cina sta cambiando internet, The New York Times