Nonostante il rapido sviluppo e la crescente competitività delle fonti rinnovabili, il nucleare sembra destinato a svolgere un ruolo sempre più importante nella transizione energetica.

Data per spacciata dopo il disastro di Fukushima del 2011 e la decisione della Germania di anticipare la chiusura di tutte le sue centrali ancora attive, e tuttora gravata dal problema dello smaltimento delle scorie, recentemente questa tecnologia è stata rivalutata per la sua capacità di produrre energia a bassissime emissioni e in modo continuo, compensando l’intermittenza delle rinnovabili.

All’ultima conferenza delle Nazioni Unite sul clima (Cop28), un gruppo di 22 paesi guidati dagli Stati Uniti ha sottoscritto un impegno a triplicare la capacità installata entro il 2050. Dati gli altissimi costi di costruzione delle centrali nucleari, uno dei maggiori ostacoli al raggiungimento di questo obiettivo è apparso subito quello del finanziamento dei progetti.

Per questo il 23 settembre a New York 14 delle principali banche e istituzioni finanziarie mondiali, tra cui Bank of America, Barclays, Bnp Paribas, Citi, Morgan Stanley e Goldman Sachs, si sono impegnate a sostenere finanziariamente la rinascita del nucleare. L’annuncio non contiene dettagli concreti, ma è un altro segno che la riabilitazione dell’energia atomica prosegue a pieno ritmo.

Questa tendenza coinvolge anche le grandi aziende tecnologiche, recentemente finite sotto accusa per gli elevati consumi di energia legati allo sviluppo dell’intelligenza artificiale e alla gestione dei data center, che hanno cominciato a puntare sul nucleare per rispettare le loro promesse di decarbonizzazione.

Il 20 settembre la Microsoft ha raggiunto un accordo ventennale con la Constellation energy per la riattivazione di un reattore nella centrale di Three Mile Island, in Pennsylvania, tristemente famosa per l’incidente del 1979, che dovrebbe coprire una parte del fabbisogno dell’azienda. Giorni prima la Oracle ha annunciato di voler costruire un enorme data center alimentato da tre reattori modulari di nuova generazione.

Il nucleare non è l’unica fonte a basse emissioni capace di garantire la stabilità delle forniture elettriche

Eppure il nucleare non è l’unica fonte a basse emissioni capace di garantire la stabilità delle forniture elettriche: oltre ai sistemi di accumulo di energia, altre soluzioni che non presentano gli stessi problemi di sicurezza, ambientali (smaltimento delle scorie) e geopolitici (dipendenza dalle importazioni di uranio) potrebbero essere presto disponibili.

Un esempio è l’energia geotermica. Finora questa fonte a impatto ambientale relativamente basso è stata limitata dalla scarsa disponibilità degli affioramenti di acqua calda e vapore dal sottosuolo, ma i sistemi geotermici migliorati (Egs), attualmente in fase di sviluppo, usano tecniche mutuate dall’estrazione degli idrocarburi per pompare acqua in prossimità del magma anche a grande profondità, permettendo di costruire centrali praticamente ovunque.

Recentemente l’azienda statunitense Fervo ha annunciato di aver ridotto drasticamente i costi e i tempi necessari per avviare lo sfruttamento di un sito, e ha raggiunto un accordo preliminare per la fornitura di energia a Google, scrive l’Economist.

Secondo uno studio pubblicato su Nature Energy a gennaio, i sistemi Esg potrebbero anche funzionare da sistema di compensazione per gli sbalzi di produzione delle fonti rinnovabili, pompando più o meno acqua nel sottosuolo a seconda del fabbisogno della rete.

Gli autori stimano che solo nell’ovest degli Stati Uniti ci sia il potenziale per produrre in modo economicamente sostenibile almeno cento gigawatt di energia, cioè più della capacità dell’intera flotta di centrali nucleari del paese.

Questo testo è tratto dalla newsletter Pianeta.

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