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Un’idea pericolosa per l’ambiente

La centrale a carbone di Peitz. (Krisztian Bocsi, Bloomberg/Getty Images)

L’obiettivo di limitare l’aumento delle temperature globali a 1,5 gradi in più rispetto alla media del periodo preindustriale, stabilito alla conferenza di Parigi del 2015, appare ormai chiaramente irraggiungibile. Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale, c’è un 80 per cento di probabilità che questa soglia sia superata in mondo permanente nei prossimi cinque anni.

Per questo motivo, nella diplomazia internazionale sul clima sta prendendo sempre più piede l’idea dell’overshooting (superamento), già delineata da un rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico del 2018, secondo cui, anche se il riscaldamento globale dovesse superare gli 1,5 gradi, in futuro sarà possibile invertirlo attraverso la cattura e il sequestro di anidride carbonica dall’atmosfera.

L’overshooting è particolarmente attraente per i governi, perché permette loro di evitare gran parte degli enormi costi che comporterebbe ridurre subito le emissioni di anidride carbonica a livelli compatibili con l’obiettivo degli 1,5 gradi. Se questi costi fossero affrontati in futuro, inoltre, sarebbero più sostenibili, perché assumendo che la crescita economica continui il loro valore assoluto si ridurrebbe.

Ma questa idea comporta enormi rischi, come sostiene uno studio pubblicato su Nature che ha analizzato nel dettaglio gli scenari di un superamento della soglia. Tanto per cominciare, i modelli climatici hanno ampi margini d’incertezza, e nelle previsioni un riscaldamento di 1,5 gradi è solo il valore più probabile di uno spettro che può andare da 0,8 a 3,1 gradi in più.

Con lo stesso livello di anidride carbonica atmosferica, c’è una probabilità su dieci che il riscaldamento superi i due gradi, un esito che comporterebbe conseguenze disastrose e che i firmatari dell’accordo di Parigi si sono impegnati a evitare in ogni modo.

Inoltre non c’è nessuna garanzia che l’aumento delle temperature si fermi una volta azzerate le emissioni nette di anidride carbonica. Il riscaldamento infatti potrebbe innescare cicli di retroazione capaci di alimentarlo ulteriormente, come la destabilizzazione dei ghiacci della Groenlandia o la scomparsa della foresta amazzonica.

Gli autori hanno calcolato che se le emissioni continueranno a seguire la traiettoria attuale, per tornare sotto la soglia degli 1,5 gradi bisognerà rimuovere fino a quattrocento gigatonnellate di anidride carbonica entro il 2100, l’equivalente di 80 anni di emissioni delle centrali elettriche statunitensi.

Molte delle tecnologie di rimozione dell’anidride carbonica non sono ancora state testate su una scala compatibile con un simile sforzo, e anche in futuro i loro costi potrebbero restare troppo elevati per essere sostenibili. Altre soluzioni ipotizzate hanno effetti collaterali potenzialmente disastrosi, come la produzione di biomasse da usare come fonte di energia in combinazione con il sequestro dell’anidride carbonica, che potrebbe favorire la deforestazione.

Anche assumendo che questi sforzi abbiano successo, per ottenere l’effetto desiderato ci vorranno comunque decenni, durante i quali la temperatura resterà stabilmente sopra la soglia degli 1,5 gradi. In questo periodo gli effetti del riscaldamento, come gli eventi meteorologici estremi e la perdita di biodiversità, continueranno. Molti ecosistemi danneggiati dal cambiamento climatico non potranno essere ripristinati, e le specie estinte non potranno essere riportate in vita.

In vista della conferenza delle Nazioni Unite che si terrà a Baku a novembre, commenta Nature, la conclusione è una sola: la soluzione più saggia per affrontare il cambiamento climatico è ridurre le emissioni di gas serra il più rapidamente possibile.

Questo testo è tratto dalla newsletter Pianeta.

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