L’allevamento di bovini è una delle attività umane che contribuiscono maggiormente alla crisi climatica e ambientale, a causa dell’elevato consumo di risorse, dell’impulso alla deforestazione e delle sproporzionate emissioni di gas serra, che sono molto più alte rispetto ad altri tipi di carne e decine di volte superiori a quelle delle proteine vegetali.

Le critiche si concentrano soprattutto sull’allevamento industriale, in cui gli animali sono alimentati con mangimi, mentre quello all’aperto è spesso promosso come un’alternativa meno dannosa per l’ambiente.

L’idea è che i bovini allevati al pascolo si nutrono di erba cresciuta in modo “naturale”, e che in questo modo favoriscono il sequestro di carbonio nel suolo.

Ma uno studio pubblicato su Pnas contraddice decisamente questa tesi, concludendo che almeno negli Stati Uniti l’allevamento al pascolo ha emissioni addirittura superiori a quello industriale, perché è meno efficiente: i bovini che si nutrono di erba crescono più lentamente e raggiungono dimensioni minori, quindi per ottenere la stessa quantità di carne servono più animali e più risorse.

Anche negli allevamenti al pascolo più efficienti, le emissioni per chilogrammo di carne sono dal 10 al 25 per cento più alte rispetto agli allevamenti industriali, un margine troppo elevato perché possa essere compensato dagli effetti positivi sul sequestro di carbonio nel suolo, che sono minimi.

L’allevamento al pascolo può essere preferibile per altri motivi, in primo luogo il benessere degli animali, e può avere un impatto minore sull’ambiente locale, a condizione che i pascoli non siano ottenuti distruggendo aree naturali.

Ma dal punto di vista delle emissioni, i ricercatori non hanno dubbi: l’unica soluzione per ridurre la propria impronta di carbonio è limitare al minimo il consumo di carne bovina.

Questo testo è tratto dalla newsletter Pianeta.

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