Le conseguenze del coronavirus sul mondo della musica in Italia
In questi giorni il Covid-19, la malattia causata dal nuovo coronavirus, ha avuto un impatto non solo sulla salute dei cittadini italiani, ma anche sull’economia del paese. Il decreto approvato dal governo il 23 febbraio e le successive ordinanze dei governatori delle regioni più colpite (in particolare Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna) hanno stabilito una serie di misure per limitare il contagio che hanno messo in difficoltà le aziende, portato alla chiusura di scuole, bar, musei, locali notturni e alla cancellazione di eventi di diverso tipo. Il Salone del mobile di Milano, la più importante fiera mondiale per gli operatori del settore casa e arredamento, è stato rinviato a giugno. Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, ricordiamolo, rappresentano da sole circa il 40 per cento del prodotto interno lordo italiano.
Si è già scritto molto riguardo al possibile impatto negativo delle misure per contenere il Covid-19 sul turismo, l’industria, il commercio e i prodotti di esportazione. Tra i settori più colpiti però c’è anche quello della cultura e degli spettacoli dal vivo. Finora ne hanno sofferto i teatri, i cinema, le sale da concerto. Secondo le prime stime dall’Agis (Associazione generale italiana dello spettacolo), basate sui dati della Siae, in Italia nei giorni scorsi sono stati cancellati 7.400 spettacoli.
La musica, ovviamente, non fa eccezione. Molti artisti italiani e stranieri, da Ghali a Brunori Sas, dagli Algiers a Elettra Lamborghini, hanno dovuto cancellare concerti e impegni promozionali. I Pinguini Tattici Nucleari hanno fermato l’intero tour nei palazzetti, che era in programma tra febbraio e marzo.
Nel settore musicale è stata registrata una perdita di 10,5 milioni di euro
Assomusica, l’Associazione degli organizzatori e produttori di spettacoli di musica dal vivo, ha stimato che nel solo settore musicale è stata registrata una perdita di 10,5 milioni di euro e sulle città che avrebbero dovuto ospitare gli eventi cancellati c’è stata una ricaduta negativa di almeno 20 milioni di euro. “La vendita dei biglietti si è completamente fermata a livello nazionale a causa della situazione di panico dilagante. È evidente che quello della musica dal vivo sia uno dei settori più deboli sotto questo punto di vista, perché non dispone di alcun tipo di contribuzione e si trova a dover fronteggiare tutta una serie di difficoltà che gli altri settori dello spettacolo non hanno”, ha dichiarato il presidente di Assomusica, Vincenzo Spera. “Il rischio, in particolare, è che molte delle società e dei promoter attivi soprattutto sui territori locali e regionali subiscano un rapido crollo. Ogni anno portiamo a Milano più di un milione di persone dalle altre regioni, mentre a Verona ogni anno arrivano 500mila spettatori, e così via nelle varie realtà”, ha aggiunto Spera.
L’appello dei locali
Milano, Torino e Bologna sono le città dove la musica dal vivo è stata colpita in modo più evidente e dove gli addetti ai lavori si sono mossi subito per chiedere aiuto. Un appello comparso il 26 febbraio sulla pagina Facebook del locale milanese Santeria, e firmato da decine di altri centri d’aggregazione della città, è stato condiviso da centinaia di persone e ha innescato un acceso dibattito tra gli addetti ai lavori. Un messaggio simile è stato firmato dall’Arci di Torino insieme all’Hiroshima Mon Amour, lo Spazio211 e altre realtà culturali torinesi, oltre che dal mondo della cultura bolognese.
Dal 27 febbraio a Milano la situazione è leggermente migliorata: una nuova ordinanza della regione ha autorizzato i bar a riaprire dopo le 18 ma solo con servizio al tavolo, quindi costringendoli a seguire le stesse regole dei ristoranti. Per i locali che fanno musica dal vivo e per le discoteche però al momento non cambia niente. Dovranno restare chiusi fino al 1 marzo compreso, quando in teoria dovrebbe scadere l’ordinanza regionale.
“Il nostro appello è rivolto a Milano ma può valere in tutta Italia. Non è legato al presente, ma al medio e lungo termine”, spiega Lorenzo Rubino, responsabile della comunicazione del Circolo Magnolia, uno dei locali che hanno firmato l’appello su Facebook. “Il contenimento della crisi non si fa solo solo nel momento dell’emergenza. Bisognerà anzitutto riabituare la gente a uscire. E poi c’è una questione economica, che è quella più delicata. Qualsiasi locale che sta chiuso per 15 giorni su 30 va incontro a serie difficoltà, perché le spese fisse di un locale, come per esempio l’affitto, ovviamente non si fermano con la sua chiusura. Per questo abbiamo chiesto un sostegno al governo: servono ammortizzatori sociali e provvedimenti per azzerare gli impegni fiscali nell’immediato. Bisogna evitare un disastro in termini di fallimenti, posti di lavoro e riduzione del pil cittadino oltre che regionale. Il sindaco Giuseppe Sala, come dimostrano le sue dichiarazioni più recenti, è dalla nostra parte, ma molte cose non dipendono direttamente da lui”, aggiunge Rubino.
Gran parte della musica leggera in Italia si poggia sulle spalle dei privati, su quelle dei promoter, delle agenzie di booking e degli imprenditori proprietari dei locali dove si suona e si balla. Spesso gli addetti ai lavori non vengono ascoltati quanto vorrebbero dalle istituzioni e chiedono di poter aver accesso a contributi pubblici, come succede già a teatri e fondazioni.
“Siamo la patria della musica classica e dell’opera, e questa è una ricchezza indiscutibile, che è giusto coltivare. Ma anche i privati che si occupano di musica leggera e contemporanea producono cultura, ricchezza e posti di lavoro, anche se non hanno lo stesso riconoscimento a livello nazionale”, dichiara Rubino. E aggiunge: “Questo stato di emergenza provocato dal coronavirus, paradossalmente, potrebbe essere la scintilla che permette a tutti di prendere atto della difficoltà del nostro settore. O almeno lo spero”.
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