E alla fine si riapre. Prima ancora di quanto ci si aspettasse. La necessità di dare respiro a un’economia in affanno ha prevalso, e il governo ha deciso di prendere un “rischio calcolato” e di riaprire, ben oltre gli standard della zona gialla, già dal 26 aprile. Quali siano questi calcoli, e su che dati si basino, non ci è dato sapere, ma immagino di non essere il solo a voler capire un po’ meglio di quali rischi si tratti e come siano stati stimati.
In un articolo pubblicato pochi giorni fa su Nature Medicine, un gruppo di ricercatori di Trento, Milano e Pavia, basandosi su una modellizzazione a comportamenti, ha tracciato un quadro potenzialmente molto preoccupante, avvisando che la coincidenza di riaperture precoci con vaccinazioni lente potrebbe portare a una mortalità ancora molto elevata per molti mesi. Per cercare di tranquillizzarmi, e senza pretendere di arrivare alle previsioni sofisticate del modello, ho provato a fare quattro semplici considerazioni sulla base degli andamenti che emergono dai dati pubblici più recenti.
La prima cosa da notare è che l’approccio italiano è in totale controtendenza rispetto agli altri grandi paesi europei. La Germania, con un’incidenza simile all’Italia, è sostanzialmente in lockdown e sta discutendo le misure che saranno in vigore fino al 30 giugno a livello regionale, tra cui la chiusura delle scuole quando l’incidenza supera i 160 nuovi casi per centomila abitanti a settimana, un inasprimento rispetto alla prima versione della bozza di legge in cui la soglia era di 200 nuovi casi per 100.000 persone a settimana. In Francia, dove l’incidenza è più che doppia rispetto all’Italia in percentuale alla popolazione, gli spostamenti sono limitati a dieci chilometri intorno alla propria abitazione e le scuole sono tutte chiuse dal 2 aprile, il 26 aprile è prevista la riapertura delle sole scuole materne ed elementari. Nel Regno Unito ci si interroga se le riaperture a maggio non siano premature, con un’incidenza che è quasi un decimo di quella italiana e quasi il triplo di dosi di vaccino somministrate. Su cosa si basa il rischio ragionato allora?
Se i contagi salissero come accaduto da metà febbraio in avanti, arriveremmo a quasi 700mila casi attivi a inizio giugno
Febbraio è stato l’ultimo periodo durante il quale la gran parte d’Italia è stata gialla. All’epoca la variante inglese non era ancora dominante; ciò nonostante, nel giro di tre settimane l’incidenza è quasi raddoppiata e l’indice Rt è salito fino a superare 1,5. In particolare, i casi attivi sono saliti da circa 380mila il 19 febbraio a oltre 570mila il 21 marzo (un aumento del 50 per cento), livello a cui sono rimasti per due settimane per poi abbassarsi di circa il 12 per cento nelle ultime due settimane. Assumendo che scendano ancora a questo ritmo nelle prossime due settimane, arriveremmo a inizio maggio con circa 450mila casi attivi, un livello quindi leggermente più alto di quello di febbraio. Se i contagi salissero come accaduto da metà febbraio in avanti, arriveremmo a quasi 700mila casi attivi a inizio giugno.
Quali sono i fattori che potrebbero evitare questa risalita o contenerla? Il primo fattore sono le vaccinazioni. A oggi, circa il 19 per cento della popolazione italiana ha ricevuto almeno una dose di vaccino e quasi l’8 per cento ha completato la vaccinazione. Assumiamo, in ciò che segue, che tutte le persone che a oggi hanno ricevuto almeno una dose siano protette dal vaccino per l’inizio di maggio, quando sono previste le riaperture. Si tratta di un’ipotesi ottimistica perché diversi studi condotti sul campo hanno mostrato che sia per Pfizer sia per AstraZeneca la protezione contro le infezioni sintomatiche si instaura dopo tre o quattro settimane dalla prima dose ma raggiunge valori massimi solo a qualche settimana dalla seconda dose. Assumiamo poi che il vaccino dia immunità totale, cioè sia efficace al 100 per cento nell’evitare sia la malattia sia l’infezione asintomatica. Sotto queste ipotesi, si potrebbe sperare di vedere una riduzione nell’Rt del 19 per cento circa, quindi intorno a 1,2. In realtà questa assunzione è molto generosa, perché, in primo luogo i vaccini che abbiamo a disposizione, seppure estremamente efficaci, non danno immunità completa e, in secondo luogo, sono stati somministrati in massima parte alla popolazione anziana, che è sì più fragile, ma è anche meno attiva socialmente e quindi contribuisce meno alla diffusione del virus.
Stando a questo ragionamento, e considerato che le aperture pianificate sono ben più significative della zona gialla, il rischio che i contagi aumentino di nuovo è molto alto. È vero che forse la pressione sulle strutture sanitarie sarà minore, visto che il 75 per cento degli over 80 ha già ricevuto almeno una dose di vaccino, ma questa percentuale scende di molto tra i settantenni e i sessantenni e l’impatto di una quarta ondata potrebbe essere comunque molto serio.
Rimane la grande incognita della stagionalità. In effetti, nella scorsa primavera il virus era quasi scomparso dall’Italia. Ma si erano fatte sei settimane di lockdown nazionale totale, e la percentuale di tamponi positivi sui nuovi casi testati all’epoca della riapertura dei bar (metà maggio) era circa il 2 per cento. Adesso siamo intorno al 10 per cento. Penso (e spero) che la stagionalità avrà un effetto, ma non sono convinto che possa abbattere l’Rt di un ulteriore 20 per cento (che sarebbe necessario per evitare una quarta ondata). Del resto, negli Stati Uniti, dove la soppressione del virus nella prima ondata non è stata uniforme, non si sono viste diminuzioni così importanti dell’incidenza durante la stagione estiva.
Insomma, pur facendo stime estremamente ottimistiche, non trovo conforto nei numeri. Certo il disagio sociale di alcune categorie non può essere trascurato. Ma con queste riaperture mi sembra molto probabile che arriveremo a inizio estate ancora con una grande diffusione del virus. A quel punto, i nostri amici d’oltralpe quasi sicuramente sceglieranno un’altra destinazione più sicura per le loro vacanze (per esempio la Spagna o la Grecia dove l’incidenza è molto inferiore). Rischieremmo dunque di sacrificare la stagione estiva per aprire in bassa stagione. Forse anche questo fa parte del rischio calcolato.
Questo articolo è stato pubblicato sul sito Scienza in rete.
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