La lunga strada delle donne giordane verso l’uguaglianza
Una disputa politica in parlamento è sfociata in rissa nel corso di una discussione per aggiungere la parola “giordane” a un articolo della costituzione sull’uguaglianza di diritti. Il nuovo emendamento, approvato il 2 gennaio con 94 voti su 120, ha modificato il titolo del secondo capitolo della costituzione in “Diritti e doveri dei giordani e delle giordane”, aggiungendo il femminile al urduniyat.
Alcune attiviste sostengono che l’emendamento sia inutile, semplicemente una via di fuga per evitare le reali modifiche legali di cui la costituzione ha bisogno per supportare davvero le donne. “Si fa finta di non vedere quello che è davvero importante”, dice Salma Nims, segretaria generale della Commissione nazionale giordana per le donne (Jncw), riferendosi alle rivendicazioni continuamente ignorate di chi chiede di aggiungere “sesso” all’articolo 6 della costituzione, che ora vieta le discriminazioni solo sulla base di “razza, lingua e religione”. Nims aggiunge che questo emendamento non è legalmente vincolante, perché il titolo di un capitolo della costituzione “non ha effetti legali”.
Il ministro degli affari politici e parlamentari Musa Maaytah ha dichiarato ai mezzi d’informazione di stato giordani che aggiungere “giordane” è stato un gesto di “onore e rispetto nei confronti delle donne”. Nims contesta questa posizione: “Cosa? Io non chiedo di onorarmi usando una parola. Qui non si tratta di onorare le donne, questa è una costituzione, si usa per scopi legali”.
Profonda divisione
Altri temono che la modifica avrà ripercussioni sul lungo periodo, influendo sulle leggi che regolano lo stato di famiglia in Giordania, basate sugli insegnamenti giuridici islamici e sulla legge sulla cittadinanza. Il timore è che possano ampliarsi i criteri di ammissibilità alla cittadinanza giordana. “L’aggiunta del termine ‘giordane’ è pericolosa nel lungo termine per la società e per la famiglia”, ha dichiarato Hayat al Musami, ex deputata ed esponente del partito Fronte di azione islamica (Iaf).
Al momento non è chiaro se gli effetti della modifica saranno di vasta portata o irrilevanti, ma il dibattito che ha suscitato rivela l’intensa politicizzazione delle donne, la profonda divisione del movimento femminile e i conflitti che scoppiano in Giordania quando ci sono di mezzo i diritti delle donne.
I diritti delle donne “oggi sono legati all’identità anti-islamica e anti-nazionale”, sostiene Oraib Rantawi, direttore del centro Al Quds per gli studi politici. “Quanto più il concetto si politicizza, e si lega all’islam e all’identità nazionale, tanto più la missione delle donne nel paese sarà difficile”.
In Giordania il movimento delle donne è spesso “demonizzato” e considerato parte di una strategia occidentale
La costituzione giordana delega tutte le questioni legate alla legge sullo statuto personale dei musulmani a dei tribunali specifici, che amministrano i casi legati alla famiglia sulla base di interpretazioni della legge islamica, o sharia. Questi tribunali islamici non considerano le donne uguali davanti alla legge, ha scritto l’attivista giordana Rana Husseini nel suo ultimo libro Years of struggle - The women’s movement in Jordan (Anni di lotta. Il movimento delle donne in Giordania).
Tuttavia alcuni ritengono che il trattamento delle donne debba essere valutato da questi tribunali sulla base dell’“uguaglianza” e non dell’“equità”. “Noi vogliamo mantenere la legge sullo statuto sociale così com’è, basata sulla sharia. Quello che chiediamo più che l’uguaglianza è l’idea di equità”, afferma Dima Tahboub, ex deputata e portavoce del Fronte di azione islamica. Tahboub fa presente il timore del suo partito che l’aggiunta del termine “giordane” porterà ad appelli internazionali per una “uguaglianza totale e assoluta”, in contrasto con la “discriminazione positiva” verso le donne presente nelle leggi islamiche e nella costituzione.
“L’idea dell’equità è dare a una persona con un determinato status sociale o economico la migliore opzione così che lui o lei possa svolgere al meglio il proprio ruolo nella società”, afferma Tahboub. E fa l’esempio del sistema delle quote per le donne nella legge elettorale giordana, e della legge sulla successione, “dove in alcuni casi le donne possono ottenere un’eredità maggiore degli uomini”.
Sauda Salem, avvocata con 37 anni di esperienza nei tribunali giordani, evidenzia i modi in cui le leggi islamiche “distinguono” le donne. Per esempio, secondo Salem la legge concede alle donne il diritto all’assegno di mantenimento “indipendentemente da quanto ricco o povero sia l’uomo, e stabilisce che è responsabilità dell’uomo provvedere alla donna”. Se l’uomo non riesce a farlo dopo la separazione, la responsabilità spetta al padre della donna, spiega Salem. Al Musami afferma: “Noi riteniamo che queste differenze siano un bene per la famiglia, per la comunità. Sono un bene per le donne e per il popolo arabo”.
I timori dei conservatori
In Giordania il movimento delle donne è spesso “demonizzato” e considerato parte di una strategia occidentale, che ha fomentato divisioni e ha ostacolato il progresso, afferma Nims: “Abbiamo un problema con il fatto di essere avvicinati alle ong, cosa che si verifica in tutto il mondo”.
Da quando il regno nel 1992 ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (Cedaw) è andato incontro alle resistenze soprattutto dei conservatori, secondo i quali la convenzione viola la legge della sharia e impone un progetto politico occidentale. “Esiste un progetto politico internazionale basato sulla Cedaw, che implica la completa uguaglianza tra uomini e donne. Vogliono che in futuro non ci siano differenze tra i generi in alcuna legge”, afferma Al Musami. “Quello che chiedono renderà le nostre famiglie instabili”.
Ma Nims critica il ruolo del Fronte di azione islamica nel perpetuare la discriminazione di genere insita nelle leggi giordane. “Qual è il miglior modo di delegittimare queste rivendicazioni? Dire che si tratta di schemi occidentali”.
Rana Husseini, giornalista con oltre 25 anni di esperienza nella promozione dei diritti delle donne in Giordania e nella regione, afferma: “Qualunque cosa tu faccia, su qualunque cosa lavori, ti diranno che sei un agente dell’occidente”. Husseini commenta anche la divisione del movimento delle donne giordano: “Ho la sensazione che ci sia competizione, ciascuna vuole essere la persona, l’individuo che realizza il cambiamento”.
La questione palestinese
I conservatori temono anche che l’emendamento amplierà i criteri di ammissibilità alla cittadinanza e sposterà l’equilibrio demografico del paese in favore dei palestinesi. La Giordania diventerebbe così la “patria alternativa”, impedendo a migliaia di rifugiati di tornare nella Palestina occupata.
La legge sulla nazionalità del regno prevede che le donne giordane sposate a uomini non giordani non possono trasmettere la loro cittadinanza ai figli. Nonostante il mancato accesso ai servizi pubblici e le restrizioni del mercato del lavoro a cui vanno incontro migliaia di persone senza cittadinanza, la discussione per modificare la legge si fonde con la lotta palestinese. Il dibattito quindi è spesso alimentato dai timori che la decisione “possa contribuire ai progetti della destra israeliana di trovare per i palestinesi una patria sostitutiva in Giordania”, osserva Husseini nel suo libro.
“Io sono a favore della trasmissione della cittadinanza dalla donna ai figli, ma la Giordania è un caso particolare considerato il tema dei palestinesi e del diritto al ritorno”, dichiara l’avvocata e giurista Sauda Salem. “Anche se in molti paesi occidentali è così, questo non significa che debba esserlo anche in Giordania”. E continua affermando che con l’aggiunta del termine “giordane”, la donna ora è “uguale all’uomo, anche per quanto riguarda la cittadinanza”. “La cosa più importante è che la vecchia legge può essere cancellata”, afferma Salem, riferendosi al passaggio che stabilisce che la cittadinanza può essere trasmessa solo dagli uomini.
Nel corso del controverso dibattito sul recente emendamento i legislatori hanno aggiunto un comma che ora richiede un voto di due terzi del parlamento per cambiare la legge sulla cittadinanza, fa notare Nour Imam, avvocata ed esponente dell’ordine degli avvocati giordano.
Nims evidenzia “il crescente fanatismo nazionalista” in Giordania. “I discorsi di odio nei confronti dei giordani di origine palestinese fanno paura”, afferma, attribuendoli al rifiuto di modificare la legge sulla cittadinanza. “È umiliante nei confronti dei palestinesi accusarli di essere disposti a rinunciare al loro diritto al ritorno semplicemente acquistando un’altra nazionalità. Perché queste persone non si preoccupano degli uomini che sposano le donne palestinesi dandogli la cittadinanza? Se è una donna a diventare giordana va tutto bene?”.
Il movimento per i diritti delle donne in Giordania è spesso all’apice di un acceso dibattito. I giordani oggi vivono in una condizione di disoccupazione senza precedenti, e non hanno uno sfogo sano alla loro frustrazione. Così troppo spesso le donne fanno da capro espiatorio. “Per gli uomini che non riescono a esprimere la loro mascolinità attraverso un lavoro o la possibilità di prendere decisioni politiche e di manifestare la loro opinione, l’unico luogo rimasto per esercitare il potere è nella famiglia”, afferma Nims. E aggiunge: “’Lasciamo che si preoccupino del controllo sulle donne’, dicono”.
Rana Husseini sostiene che la controversia sulla recente modifica costituzionale è stata “un teatrino per sviare l’attenzione da altre cose”. Anche Nims sottolinea che per alcuni attivisti la modifica è stata una messinscena: “Erano tutti presi da cambiamenti che non hanno conseguenze, mentre su quelli importanti non c’è stata sufficiente discussione o analisi”.
Dema Matruk Aloun, attivista per i diritti delle donne e docente di diritto privato all’università hascemita, afferma che le modifiche sono servite solo ad “abbellire il quadro”, senza reali benefici per le donne. Ed evidenzia la necessità di affrontare i comportamenti sociali verso le donne profondamente radicati: “Gli uomini hanno paura delle donne forti. In Giordania è un dato di fatto che gli uomini vogliono stare un gradino sopra le donne. Il cambiamento deve cominciare dalla società stessa, dalle persone”.
Per quanto riguarda la modifica alla costituzione, per lei “è come se un incendio avesse distrutto una parte importante della tua casa e tu semplicemente mettessi un divano grazioso e ingombrante al centro della stanza. Non vedi le macerie intorno a te, non ne senti l’odore”.
“Ecco, senti quell’odore”.
(Traduzione di Francesco De Lellis)
Questo articolo è stato pubblicato sul sito di Al Jazeera.
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