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Minsk non riesce a far tacere le note della libertà

Minsk, Bielorussia, 6 settembre 2021. Maksim Znak e Marija Kolesnikova in tribunale. (Anadolu Agency/Getty Images)

La prigione ha notevolmente arricchito la letteratura mondiale. Ci sono memorie carcerarie, prosa carceraria, poesie carcerarie. In Bielorussia poi non manca il materiale per mettere insieme un’antologia delle ultime parole pronunciate dagli imputati davanti ai giudici. Perché dall’agosto del 2020 nei tribunali bielorussi sono già stati processati più di mille prigionieri politici. E a detta delle autorità i procedimenti penali in corso per estremismo sono più di quattromila. Quindi ci saranno molti altri imputati che pronunceranno le loro ultime parole. Ne verrà sicuramente fuori una raccolta in più tomi.

La flautista Marija Kolesnikova e l’avvocato Maksim Znak le hanno pronunciate nel tribunale di Minsk dopo la richiesta del pubblico ministero di condannare entrambi a 12 anni di detenzione. Scoprire le parole esatte o i passaggi dei loro discorsi però non sarà tanto facile: il processo si è svolto a porte chiuse. I loro avvocati, una volta fuori dall’aula, sono comunque riusciti a rendere l’idea, destreggiandosi al meglio per non infrangere l’accordo di segretezza a cui sono vincolati. L’avvocato Vladimir Pylčenko ha affermato che il discorso di Maksim Znak è durato tre ore, un tempo sufficiente per permettere al giovane giurista bielorusso di distruggere per l’ennesima volta e con altissima precisione tutti gli argomenti dell’accusa (ancora una volta, perché aveva fatto lo stesso durante l’intero processo). Marija Kolesnikova ha parlato meno e con più emozione: non delle false accuse e della propria innocenza, ma ha fatto un discorso sulla scelta morale, sull’amore per gli altri, sul futuro della Bielorussia. Ha ringraziato gli avvocati che durante le indagini sono stati privati della licenza e di conseguenza del diritto di esercitare la professione. Come ha fatto acutamente notare, questo processo, indipendentemente dal suo esito, entrerà nella storia.

Ed è vero. Indipendentemente dal verdetto finale, questo sarà davvero un processo storico. Esattamente come i processi a Viktor Babariko, Sergej Tichanovskij, Nikolaj Statkevič, alle giornaliste del canale televisivo Belsat Katerina Andreeva e Daria Čultsova, alla cittadina svizzera Natalia Hersche, al ventenne con disabilità Dmitrij Gopta, che disperato chiedeva alla madre di riportarlo a casa. Questo meccanismo ha già schiacciato nei propri ingranaggi molte centinaia di bielorussi. E ne schiaccerà altre migliaia.

Secondo l’ufficio del procuratore generale bielorusso, dall’agosto dello scorso anno sono stati avviati 4.600 procedimenti penali per “estremismo”.

I condannati finora sono poco meno di un migliaio. Ma i tribunali non lavorano ancora a pieno regime, non hanno nessuna fretta. Le persone aspettano in prigione – e ai funzionari piace così. A loro che importa se un detenuto è in un centro di detenzione preventiva o in una colonia penale? Tanto, in ogni caso, davanti ha anni di reclusione.

Ora in Bielorussia le carceri sono talmente piene che in ogni cella ci sono prigionieri politici

Ma il processo a Marija Kolesnikova poteva non tenersi affatto: il regime le aveva dato la possibilità di lasciare il paese. Anzi, non è esatto dire possibilità: Marija Kolesnikova era stata letteralmente espulsa dalla Bielorussia, come a suo tempo lo scrittore Aleksandr Solženitsyn dall’Unione Sovietica. Il 7 settembre dello scorso anno, Kolesnikova è stata arrestata per strada, caricata su un minibus con su scritto “Comunicazioni” e portata via. Qualche mese prima (a giugno per l’esattezza) era stato arrestato uno dei candidati presidenziali, Viktor Babariko, nel cui quartier generale Marija era una delle figure chiave. La stessa sorte che era toccata all’altro candidato Sergej Tichanovskij (arrestato il 31 maggio). Svetlana Tichanovskaja, al momento dell’arresto di Kolesnikova, aveva già lasciato la Bielorussia, dove era in corso una tacita epurazione delle basi operative degli ormai ex candidati. Alcuni sono stati incarcerati, ad altri è stato offerto con insistenza di lasciare immediatamente il paese. Chi accettava l’esilio veniva direttamente condotto alla frontiera in veicoli operativi di modo che all’ultimo momento non avesse a tornare indietro. Espulsi sotto scorta, quasi un onore.

Anche Kolesnikova era stata trasportata al confine bielorusso, quello con l’Ucraina, insieme ai suoi colleghi dello staff di Babariko: Ivan Kravtsov e Anton Rodnenkov. Come hanno detto in seguito Kravtsov e Rodnenkov, Maria era stata costretta a entrare nella loro auto che si trovava già in territorio neutrale. Ma poi ha strappato il suo passaporto ed è corsa verso la Bielorussia. Lì è stata nuovamente caricata in un minibus, questa volta senza la scritta “Comunicazioni”, e condotta in un centro di detenzione preventiva. Dopodiché è stata accusata di aver organizzato rivolte di massa e di aver cospirato per prendere il potere. Poi nessuno l’ha più vista, fino al processo.

La cosa strana è che ora in Bielorussia le carceri sono talmente piene che in ogni cella ci sono prigionieri politici. Così, grazie all’elevata densità di “politici”, qualche informazione trapela sempre all’esterno. Per esempio la dirigente del Press-klub (Club della stampa), Julia Slutskaja, in otto mesi di detenzione preventiva si è ritrovata insieme alla dirigente dell’Unione dei polacchi in Bielorussia Anželika Boris, all’attivista per i diritti umani dell’ong Vjasna (Primavera) Marfa Rabkova, ai dipendenti dell’ex portale indipendente Tut.by (chiuso dal regime lo scorso maggio, oggi continua l’attività qui) Lyudmila Čekina e Alla Lapatko, e alla giornalista Olga Lojko. Attraverso le lettere, attraverso gli avvocati, attraverso quelli che sono usciti, di solito è possibile tracciare gli schemi dei trasferimenti dei prigionieri politici. Ma di Marija Kolesnikova non c’era nessuna traccia, nessuno l’aveva mai incrociata. O era tenuta in isolamento o i suoi vicini erano accuratamente selezionati tra quelli destinati a una reclusione a tempo indeterminato.

Tuttavia, prima dell’inizio del processo a porte chiuse, i giornalisti dei mezzi d’informazione di stato sono stati ammessi in aula per diversi minuti. E hanno diffuso un breve video di pochi secondi sui propri canali Telegram. Si vede Kolesnikova – non più bionda, ma bruna, sempre con lo stesso taglio di capelli ultra corto – che balla in cella con un vestito nero. Poi il canale Telegram della base operativa di Babariko ha riferito che durante il trasferimento da e per il tribunale, Marija avrebbe cantato qualcosa agli agenti dеlla scorta, un medley di brani dei Beatles e di Ella Fitzgerald, pare. E gli avrebbe anche dato lezioni su Haydn, Bach e Šostakovič. Dicono di lei: espressiva. E senza dubbio lo è. Ma è anche la personalità più straordinaria della campagna presidenziale dello scorso anno e delle successive proteste, a cui praticamente non ha mai partecipato. È apparsa alle marce solo diverse volte e poi se ne è subito andata. Ma è stato sufficiente: è bastata la sua presenza a rendere la città più luminosa. Minsk si svuota ogni giorno che passa. Alcuni se ne vanno in prigione, altri all’estero. Sembra che non ci siano altre opzioni per i bielorussi.

Un poeta del diritto
Maksim Znak è una personalità totalmente diversa: brillante avvocato, burocrate, a tratti pedante. In cella Kolesnikova ha musica, flauto, emozioni, risate, balli. Znak ha paragrafi, emendamenti, commi e sottocommi. Ma non si può dire che sia una persona arida: nel tempo libero dai codici, Maksim scrive poesie e canzoni. E fino all’arresto era anche professore associato di diritto commerciale alla facoltà di giurisprudenza dell’Università statale bielorussa. Gli studenti di Znak raccontano che durante le sue lezioni si risolvevano problemi e ci si esercitava facendo processi improvvisati. Inoltre Znak si rivolgeva ai suoi studenti in un solo modo: li chiamava colleghi.

La scorsa estate Maksim Znak ha semplicemente cercato di mostrare a tutti i bielorussi come dovrebbe funzionare la legge, e per questo è finito sotto processo. Questa è l’opinione dei suoi studenti. Una giovane che quest’anno si è laureata in giurisprudenza, Ekaterina Vinnikova, alla consegna dei diplomi, pronunciando parole di gratitudine agli insegnanti, ha anche menzionato Maksim Znak. Poco tempo dopo si è ritrovata, invece che al ballo di laurea, in prigione, dove ha passato 15 giorni con l’accusa di “picchettaggio attraverso l’espressione di opinioni sociopolitiche”. Questo è solo un esempio per far capire il tipo di reazione che oggi il cognome Znak è in grado di innescare tra i funzionari di qualsiasi rango.

Maksim, tra l’altro, nell’ottobre dello scorso anno era presente all’incontro che Lukašenko ha voluto organizzare con i prigionieri politici nel centro di detenzione preventiva del Kgb. Secondo l’avvocato Ilja Salej (a Salej avevano mosso le stesse accuse, ma ad aprile è stato rilasciato su cauzione e ha lasciato rapidamente la Bielorussia), Znak avrebbe cercato di convincere Lukašenko della necessità di liberare le persone dal carcere, perché questo avrebbe contribuito a smorzare la tensione nella società. Avrebbe detto: “Guardi quanta gente c’è in piazza”. E Lukašenko: “Sì, erano 46mila all’apice della mobilitazione, li abbiamo contati tutti”. Non si è fatto mancare neanche la stoccata finale: ha ricordato al giurista Znak che la Bielorussia è uno stato in cui vige lo stato di diritto, in cui non ci sono prigionieri politici.

Marija Kolesnikova e Maksim Znak l’anno scorso sono stati tra i primi cento prigionieri politici bielorussi (non parlo delle migliaia di prigionieri “amministrativi” che sono passati per il carcere di via Okrestina) a essere giudicati. Altri processi penali sono stati apparecchiati rapidamente, abilmente, senza sosta. Il caso di Znak e Kolesnikova andava costruito con particolare attenzione, affinché non si concludesse con un lieto fine, come quello delle due giornaliste del canale televisivo polacco Belsat, condannate a soli due anni per aver filmato le proteste a Minsk il 15 novembre scorso. Serviva una bella condanna a 10-12 anni di campo di lavoro. E così, dopo un anno di paziente lavoro, è fatta!

Siamo già al 41° tomo di ultime parole. Che siano uno o cento o mille non importa. L’importante è che Maksim componga poesie anche in carcere. E che Marija in cella sia sempre la stessa dell’estate scorsa, con le mani giunte a forma di cuore. Anche se da molto tempo a Minsk non ci sono più cuori, questo è diventato il suo marchio di fabbrica. Nostalgico, come un assolo di flauto.

(Traduzione di Alessandra Bertuccelli)

Il 6 settembre 2021 Marija Kolesnikova e Maksim Znak sono stati condannati rispettivamente a 10 e 11 anni di colonia penale.

Questo articolo è uscito sulla rivista Novaja Gazeta.

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