A Jennifer Mohr piace cantare sotto la doccia, ma non vuole che nessuno la senta. “Non canto bene”, mi confida Mohr, una ventenne che studia scienze dell’informazione all’università Temple di Filadelfia. “Non voglio mai cantare quando c’è qualcuno in casa con me”. E quindi, prima di entrare in doccia, controlla l’app di condivisione della localizzazione Find my friends sul suo telefono per vedere se per caso i suoi coinquilini sono in casa, o se invece è libera di cantare a squarciagola come meglio crede.
Si tratta effettivamente di un utilizzo di nicchia per l’app Find my friends. Ma negli ultimi anni condividere la propria posizione con gli amici sugli smartphone è diventata la norma per alcuni gruppi sociali.
Find my friends, un’app di Apple, funziona solo su iPhone, ma Google Maps, Snapchat e Messenger hanno tutti un sistema integrato di condivisione della posizione (Swarm, uno spin-off di Foursquare, permette agli utenti di “registrarsi” in alcuni luoghi, ma non diffonde la loro posizione quando si muovono).
Anche se ad alcuni la cosa può apparire inquietante o inutile, per altri la possibilità di tracciarsi costantemente a vicenda è una caratteristica ormai normale, e perfino benvenuta, delle loro relazioni più strette. È qualcosa che può cambiare le dinamiche di un’amicizia in meglio o in peggio, in maniera superficiale o profonda.
Alcune app oggi permettono alle persone di condividere temporaneamente la propria posizione: Messenger consente di stabilire il tempo di un’ora, mentre Google Maps permette di personalizzare la durata. Su Find my friends è possibile notificare agli amici il proprio arrivo o partenza in o da un certo luogo, ma solo se in precedenza è già stata condivisa la posizione con loro.
Le applicazioni pratiche sono ovvie, come può testimoniare chiunque, per esempio, abbia cercato di localizzare un amico in un affollato festival musicale. Kelsey Ko, un’insegnante di 22 anni di Teach for America a Baltimora, ha attivato Find my friends per il gruppo di donne con le quali era andata a Puerto Rico per le vacanze di primavera, durante il suo secondo anno di università, in modo che potessero ritrovarsi se si fossero separate. “È stato comodo avere questa risorsa supplementare”, mi ha detto.
Costante di vita
Più di due anni dopo continua a condividere la sua posizione con loro. Il che ci porta al genere più curioso di condivisione della posizione: quella sempre attiva, che finisce per diventare una costante del proprio ambiente. Inizialmente la posizione degli amici è solo un’altra informazione su di loro, un altro punto di contatto, o una scusa per parlarci. Si può vedere se per caso sono vicini , e magari avere la possibilità di un incontro fuori programma. Si tratta di una possibilità molto comune nei campus universitari, dove è probabile che le persone si trovino all’interno di un’area piccola e delimitata.
La posizione di un amico può anche essere un modo di scoprire cosa sta facendo senza bisogno di chiederglielo. Bryan Radcliff, un consulente finanziario di 29 anni che vive a Wilmington, Delaware, fa l’esempio di un viaggio di vari giorni nella natura fatto con un amico lo scorso anno. Gli amici rimasti a casa “trovavano bello sapere cosa stavamo facendo nel corso della vacanza. Li faceva sentire partecipi del nostro itinerario”, mi ha spiegato. Anche a casa i sistemi di rilevamento della posizione possono fornire notizie interessanti. “Abbiamo preso in giro un mio amico single che si era dimenticato di spegnerlo” quando ha trascorso la notte a casa di una persona, racconta Radcliff.
Il beneficio più comunemente citato dalle persone che ho intervistato è il senso di sicurezza che deriva dall’avere qualcuno sempre al corrente di dove ci si trova (in particolare se si pensa che il numero di famiglie mononucleari negli Stati Uniti è stabilmente cresciuto dal 1960, secondo l’Ufficio nazionale di statistica). Varie persone mi hanno detto che controllano regolarmente Find my friends o app simili dopo la fine di una festa o usciti da un bar, per assicurarsi che i loro amici siano arrivati a casa sani e salvi. Ko mi ha raccontato un incidente nel corso di una festa durante il suo primo anno di università: “C’era un tizio che si comportava in maniera davvero inquietante con me. Insisteva molto perché andassi a casa sua. Ho condiviso la mia posizione con i miei amici, e loro sono venuti a prendermi”.
Radcliff di recente è stato anche in grado di aiutare un amico in pericolo. Racconta che il suo amico stava per addormentarsi alla guida: aveva preso una pillola per il sonno e si era messo al volante senza essersi davvero svegliato, e aveva avuto un incidente. Radcliff è riuscito a vedere l’ultima localizzazione del suo amico sull’app, si è messo in strada e lo ha ritrovato. Nessuno si era fatto male, e l’amico è potuto tornare a casa in sicurezza.
La condivisione della posizione è “una forma di sorveglianza molto insidiosa”, dice la professoressa Donath
Sono poche le ricerche recenti e valide sulla diffusione di queste tecnologie. Un’indagine del centro ricerche Pew ha evidenziato che il 12 per cento dei possessori adulti di telefono usa servizi “geo-sociali” per condividere la propria posizione con gli amici, ma il centro non ha effettuato altre ricerche negli ultimi sei anni. È ragionevole immaginare che, essendo aumentato il numero di telefoni, ed essendo stati introdotti nuovi servizi, siano aumentate le persone che li usano con i loro amici. È inoltre ragionevole immaginare che la cosa sia più diffusa tra i giovani adulti, più propensi ad adottare le nuove tecnologie rispetto agli adulti più anziani. Anche un’osservazione aneddotica del fenomeno sembra confermare la cosa.
Il rovescio della medaglia
“Sempre più persone sono disposte a farlo, perlomeno in alcuni casi e in alcuni momenti”, sostiene Jason Wiese, professore presso la facoltà d’informatica dell’università dello Utah, uno dei primi ad aver effettuato uno studio sulla condivisione della posizione agli albori di questa tecnologia. Allora aveva rilevato che le persone erano maggiormente disposte a condividere la posizione in maniera limitata, per esempio quando si trovavano nel raggio di uno o due chilometri da un amico e, fatto forse scontato, che erano più disponibili a condividerla con persone alle quali si sentivano più legate.
Naturalmente è possibile che un simile sistema di tracciatura sia usato per fini non esattamente benevoli. “Se fai parte di un gruppo di amici legati tra loro e la persona più dominante esercita un certo controllo, o è terribilmente spaventata all’idea di essere esclusa, questo gruppo potrebbe evolvere verso norme di comportamento molto diverse”, suggerisce Judith Donath, consulente presso il Berkman Klein Center di Harvard e autrice di The social machine: designs for living online (La macchina sociale: progetti per vivere in rete). Quando la condivisione della posizione diventa una norma accettata del gruppo, uscirne senza conseguenze può rivelarsi complesso.
“La parte più difficile per questa nuova tecnologia applicata alle amicizie è che, se garantisci un certo accesso personale, è difficile imporgli dei confini o interromperlo”, mi spiega Jeff Hancock, docente di comunicazione e fondatore del laboratorio di social network all’università di Stanford. Disattivare la condivisione della posizione potrebbe essere un modo di snobbare una persona, o di segnalare il proprio allontanamento. Ma è anche possibile che qualcuno abbia un motivo innocente per voler scomparire dall’app, interpretato in modo malizioso dagli amici. “Se qualcuno vede un terapeuta una volta alla settimana, ma non vuole che tutti lo sappiano, dovrà avere un’ora di mistero settimanale?”, si chiede Donath. E come interpreteranno la cosa i suoi amici?
Scuse educate
Una condivisione della posizione sempre attiva elimina la possibilità di dire alcune di quelle che Hancock definisce “bugie da maggiordomo”, quel genere di menzogne che offrono una scusa educata al desiderio di evitare un’interazione sociale. Così come un maggiordomo potrebbe dire a un visitatore che “il padrone di casa è impegnato al momento”, le persone possono impersonare il loro stesso domestico quando dicono ai loro amici, per esempio, di avere già altri programmi e di non poter uscire a bere qualcosa quella sera, quando in realtà non hanno nessun piano ma vogliono semplicemente restarsene a casa.
Ma questo non funzionerebbe se gli amici possono controllare un’app e vedere il pallino luminoso brillare in corrispondenza del vostro indirizzo. Hancock sospetta che le persone continueranno a dire questo genere di bugie da maggiordomo, semplicemente cambiandone la forma. “Il telefono del padrone di casa è scarico” o cose simili. Ciò nonostante, dice Donath, la condivisione della posizione è “una forma di sorveglianza molto insidiosa, nella misura in cui determina quale sia la norma accettata, anche in cose del genere”.
Anche se esiste la possibilità di abusi, la maggior parte delle persone con cui ho parlato non era troppo preoccupata delle conseguenze negative derivanti dalla condivisione della propria posizione, semplicemente perché limitano la cosa ai loro amici più intimi (a eccezione di Ko, che a proposito della sua app afferma, “un sacco di queste ragazze non sono le mie migliori amiche, ma non mi disturba che conoscano la mia posizione”). Mohr dice: “Conosco i miei amici. So che non controllano la mia posizione ogni due minuti. Scelgo persone di cui mi posso fidare”.
Al di là delle miriadi di modi in cui può essere usata, la condivisione della posizione è, essenzialmente, un gesto di fiducia e intimità. Questo non significa che quanti non permettono ai loro amici di tracciarli non si fidino di loro, ma per alcuni vedere i pallini luminosi dei propri amici brillare in una mappa tascabile, mentre si muovono nel mondo, fornisce un senso d’interconnessione che rende la perdita di privacy un prezzo accettabile.
“Ho cercato d’inquadrare molte delle mie amicizie in termini di famiglia”, mi spiega Jackie Luo, un ingegnere informatico di 24 anni che vive a San Francisco. “Non ho davvero in programma di avere figli o di sposarmi. Penso alle strutture sociali e a quel genere di cose che si dovrebbe ottenere da una famiglia nucleare, e a come far evolvere altre relazioni per riempire quel vuoto. Per me è in parte questo il senso. Mi sento più sicura sapendo che sanno dove sono”.
Donath paragona la condivisione della propria posizione all’invio di foto intime a un partner: si tratta di dare alle persone informazioni che potrebbero usare per ferirti, fidandosi però del fatto che non lo faranno. “Parte della funzione di avvicinamento affettivo di questo genere d’intimità sta nell’assumersi un rischio”, dice. “Se non fosse rischioso, non creerebbe un legame affettivo”.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito su The Atlantic. Leggi la versione originale. © 2019. Tutti i diritti riservati. Distribuito da Tribune Content Agency.
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