Niente pace per lo Yemen
Dopo il colera, la dengue e la difterite, la minaccia di un’epidemia di nuovo coronavirus aleggia ormai sullo Yemen. Nonostante la conferma di centinaia di contagi nei paesi vicini e frontiere piuttosto porose, finora le autorità yemenite non hanno annunciato alcun caso di positività al virus.
“Pensiamo che potrebbero esserci persone contagiate, anche se non confermate”, ammette Alex Nawa, direttore dell’organizzazione Azione contro la fame in Yemen. “In Yemen esistono solo due centri per l’analisi dei campioni, uno a Sanaa e l’altro ad Aden. In totale sono disponibili appena un centinaio di test. Le autorità sperano di ricevere prossimamente una fornitura dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms)”, spiega Yann Josses, coordinatore generale di Médecins du monde in Yemen.
Secondo l’Onu il paese deve già affrontare “una delle peggiori crisi umanitarie al mondo”. Devastato da cinque anni di guerra, lo Yemen è il teatro di un conflitto sanguinoso tra le forze governative, sostenute da una coalizione guidata da Riyadh e Abu Dhabi, e i ribelli huthi, appoggiati dall’Iran. Il 22 marzo il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha chiesto un “cessate il fuoco immediato in ogni parte del mondo” per proteggere i civili dalla “furia” del nuovo coronavirus.
L’appello è stato applaudito dai belligeranti, ma alle parole non sono seguiti i fatti. Il 30 marzo la coalizione ha lanciato un attacco contro la capitale Sanaa, controllata dai ribelli, due giorni dopo aver intercettato alcuni missili lanciati dagli huthi in direzione delle città saudite di Riyadh e Jizan. Il 2 aprile l’inviato speciale dell’Onu per lo Yemen Martin Griffiths ha annunciato di essere in contatto con le parti per trovare un’intesa su un cessate il fuoco e consentire una tregua umanitaria.
Presa nella morsa, la popolazione è la prima vittima della guerra: venti milioni di persone hanno problemi di approvvigionamento alimentare, 17 milioni hanno bisogno d’aiuto per accedere all’acqua potabile e a condizioni igieniche minime e 19,7 milioni necessitano di assistenza sanitaria. Una diffusione del nuovo coronavirus in Yemen avrebbe conseguenze drammatiche, anche perché secondo il programma per lo sviluppo delle Nazioni Unite le attrezzature mediche sono insufficienti e meno del 50 per cento delle strutture sanitarie funziona a pieno regime.
“In condizioni normali gli ospedali sono già sovraffollati. Non oso immaginare quale potrebbe essere la situazione se arrivasse il coronavirus”, ammette Lina, 26 anni, residente ad Aden. “Non ci sono provviste e medicine sufficienti, e le condizioni di cernita e isolamento non permettono una gestione rapida dei possibili casi di covid-19”, sottolinea Yann Josses. Lo Yemen dipende largamente dalle forniture esterne. “C’è scarsità di scanner e termometri, e abbiamo pochissimi respiratori artificiali. Un termometro a infrarossi attualmente può essere venduto a un prezzo compreso tra 400 e 500 dollari, perché le autorità non riescono a regolare il mercato locale”, aggiunge.
È indispensabile un aumento degli aiuti internazionali, che invece potrebbero ridursi a causa dell’emergenza sanitaria mondiale
A metà marzo il governo yemenita ha deciso di chiudere le scuole per una settimana e cancellare tutti i voli in entrata e in uscita dagli aeroporti del paese fino alla fine di aprile, compresi i voli umanitari. “È stato strano. Soprattutto nei primi due giorni era tutto fermo”, racconta Reem, attualmente bloccato nel sud dello Yemen in attesa di poter raggiungere la famiglia a Sanaa, in un momento in cui i collegamenti tra nord e sud sono fortemente limitati.
In tutto il paese sono stati creati centri per la quarantena, mentre diverse équipe mediche sono state inviate nei punti d’accesso al territorio nazionale per effettuare test. “Anche in tempo di guerra lo Yemen è un paese di transito per migliaia di migranti provenienti dall’Africa e diretti in Arabia Saudita per lavoro”, sottolinea Nawa. Nella provincia sudorientale di Hadramaut le autorità locali hanno imposto un coprifuoco dalle quattro del pomeriggio alle quattro del mattino. Secondo il sito Arab News nelle province di Hadramaut, Mahra, Shabwa e Ad Dali sono stati liberati alcuni detenuti che hanno scontato la maggior parte della pena o sono considerati poco pericolosi per la comunità, nel tentativo di ridurre l’affollamento nei penitenziari ed evitare la propagazione del virus.
Nel frattempo “una parte della popolazione non accetta le misure di controllo e isolamento. Alcune tribù cercano di sfidare il virus”, racconta Lina. “Viviamo già in uno stato di profonda ansia, perché siamo in guerra. Di conseguenza la gente se ne frega e prende rischi”.
Le ong e l’Onu moltiplicano le campagne di prevenzione sui social network, mentre alcune squadre umanitarie presenti sul campo lavorano con le comunità per convincere la gente a lavare spesso le mani e a praticare il distanziamento sociale. Ma è difficile mettere in pratica questi consigli considerando che non tutti hanno accesso all’acqua e al sapone. “Bisogna ricordare che lo Yemen subisce un embargo (aereo e marittimo imposto dalla coalizione) e questo ostacola l’approvvigionamento di derrate alimentari. Di conseguenza il sistema immunitario di molte persone è più debole rispetto al solito e agli altri paesi”, precisa Josses.
Il colera in agguato
In alcuni casi non è possibile applicare le misure di isolamento a causa di un aumento del prezzo dei prodotti alimentari e medici. “Molte persone vivono alla giornata, non hanno altra scelta se non quella di uscire di casa per cercare di lavorare e sfamare le famiglie”, spiega Reem. “Prima un pacchetto di maschere costava mille rial (3,7 euro), mentre oggi costa tremila rial (undici euro)”, spiega Lina. “Inoltre la maggior parte delle farmacie ha esaurito le scorte”.
Secondo le ong queste condizioni rendono indispensabile un aumento degli aiuti internazionali, che invece potrebbero ulteriormente ridursi a causa dell’emergenza sanitaria mondiale. “Le conseguenze della crisi del covid-19 non saranno solo dirette, ma anche indirette, come il rinvio della conferenza di Riyadh per la richiesta di fondi da destinare allo Yemen (organizzata con la collaborazione dell’Onu). I grandi programmi umanitari saranno interrotti, compresi quelli che prevedono una fornitura su larga scala di alimenti, medicine e acqua, oltre alle operazioni di disinfezione”, spiega Nawa. Già in marzo gli Stati Uniti hanno annunciato la sospensione di una parte del contributo finanziario per il nord del paese, accusando i ribelli di impedire la circolazione degli aiuti umanitari.
A peggiorare ulteriormente la situazione ci sono le inondazioni provocate alla fine di marzo dalle forti piogge cadute su Aden. Nonostante l’attenzione generale sia focalizzata sul nuovo coronavirus, infatti, in Yemen il rischio di una nuova epidemia di colera resta alto. Secondo l’Oms dal 2017 sono stati registrati più di 2,7 milioni di casi sospetti di colera. Con l’inizio della stagione delle piogge, l’ong Oxfam ritiene che “il 2020, considerate le attuali circostanze, potrebbe portare un milione di nuovi casi ”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito sul quotidiano libane L’Orient-Le Jour.