La tela diplomatica di Pechino passa anche dai panda
In questi giorni i due panda giganti che da dodici anni erano in prestito allo zoo di Edimburgo tornano in Cina perché il contratto di dieci anni stipulato con l’agenzia di Pechino che gestisce i prestiti è scaduto. La notizia ha suscitato grande clamore e tristezza perché i panda erano diventati delle celebrità: è un fenomeno che si ripete più o meno ovunque ci sia uno zoo con degli esemplari in prestito. I mezzi d’informazione li seguono come fossero delle star, dedicano servizi alle loro abitudini, seguono passo passo i tentativi di farli accoppiare o, come nel caso della coppia di Edimburgo, d’inseminazione artificiale. Lo scorso gennaio ai cancelli dello zoo di Ueno, a Tokyo, c’erano tremila persone in fila dall’alba per salutare Xiang Xiang, la femmina di panda nata lì nel 2017 da una coppia in prestito che, con due anni di ritardo a causa della pandemia, stava per partire alla volta di una riserva cinese. Come da contratto, infatti, gli eventuali figli degli esemplari prestati sono di proprietà della Cina.
Sono decenni che Pechino usa i panda come strumento diplomatico. La prima volta, racconta Sixth Tone, fu nel 1941, quando Soong Mei-ling, la moglie del leader della Repubblica cinese Chiang Kai-shek, donò due panda allo zoo del Bronx in segno di gratitudine per l’assistenza statunitense durante la seconda guerra sinogiapponese. Con la nascita della Repubblica popolare cinese nel 1949, Pechino cominciò a lasciar cadere, o attivamente rifiutare, le richieste dei paesi capitalisti. Un po’ per privilegiare le richieste delle nazioni amiche in nome della solidarietà socialista, un po’ perché all’epoca i panda non vivevano nelle riserve e catturarli non era così semplice.
Comunque, nel 1957 lo zoo di Pechino donò una coppia a Mosca come regalo al popolo sovietico. L’anno dopo, però, i russi chiesero di sostituirne uno perché avevano scoperto che si trattava di due maschi. Così Qiqi fu scambiato con An’an ma, dato che non c’era una grande conoscenza dell’anatomia dei panda, si scoprì che Qiqi era effettivamente una femmina mentre An’an un maschio. L’unico altro paese a ricevere i panda cinesi in regalo tra gli anni cinquanta e sessanta fu la Corea del Nord, dove ne arrivarono cinque in vent’anni ma morirono prematuramente.
Per anni Pechino rifiutò le insistenti richieste degli Stati Uniti, della Germania Ovest e del Regno Unito, disposti anche a comprare gli esemplari e a tentare di aggirare le resistenze cinesi procurandoseli per altre vie. La storia di come Qiqi, poi ribattezzata Chichi, finì nello zoo di Londra nel 1958 ne è un esempio. Quell’anno lo zoo Brookfield di Chicago si rivolse a un commerciante di animali austriaco, Heini Demmer, che riuscì a ottenerne uno dallo zoo di Pechino in cambio di tre giraffe, due rinoceronti, due ippopotami e due zebre. Il panda era Chichi, appena rientrata da Mosca, ma il suo ingresso negli Stati Uniti fu impedito da una legge sul commercio per il suo “background comunista”. Demmer portò Chichi in giro per l’Europa finché lo zoo di Londra non accettò di prenderla per l’equivalente di 390mila dollari attuali. Dopo Chichi – il resto della storia, incluso un viaggio a Mosca per a farla accoppiare con An’an, potete leggerlo nel pezzo di Sixth Tone – l’occidente dovette aspettare lo storico viaggio di Richard Nixon a Pechino nel 1972 per poter ospitare dei panda nei suoi zoo.
Robin Wright, veterana del giornalismo statunitense che scrive di diplomazia dei panda dal 1978, racconta che a un certo punto durante la visita la first lady Pat Nixon, vedendo un panda raffigurato su una scatola di sigarette, disse: “Non sono teneri? Li adoro!”. Zhou Enlai, il premier cinese, rispose che gliene avrebbe fatti avere. “Cosa? Le sigarette?”, chiese lei. “No”, replicò Zhou, “i panda”. Difficile dire se lo scambio di battute ci sia effettivamente stato, ma due mesi dopo la prima coppia di panda arrivò a Washington, allo zoo Smithsonian, che oggi, per la prima volta in cinquant’anni, si ritrova orfano degli orsi bianchi e neri. Il contratto per ospitare gli ultimi tre esemplari è scaduto e non è stato rinnovato, e giovedì la città gli ha detto addio. Il fatto che anche gli altri zoo statunitensi a cui Pechino ha prestato dei panda non abbiano ottenuto il rinnovo dei contratti è stato interpretato come una conseguenza dei rapporti difficili tra Washington e la Cina. È plausibile. Del resto, trattandosi di uno strumento diplomatico, Pechino lo usa in base ai suoi interessi.
L’Università di Oxford, che ha fatto uno studio in merito, ha notato che tutti i paesi dove la Cina ha mandato i suoi panda hanno accordi commerciali con Pechino. Perché Edimburgo aveva i panda e Londra no? Probabilmente, hanno concluso a Oxford, perché la Scozia ha risorse naturali che fanno gola alla Cina. Per ora gli Stati Uniti rimarranno senza panda, ma la diplomazia degli orsi continua. Nel 2019 la Russia ha ricevuto una coppia di esemplari e ad accoglierla allo zoo di Mosca c’erano Xi Jinping e Vladimir Putin. L’anno scorso, in occasione dei mondiali di calcio, il Qatar è stato il primo paese mediorientale a ricevere due esemplari, che per contratto vivranno lì per almeno quindici anni.
Questo testo è tratto dalla newsletter In Asia.
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