Non si sa di preciso quanti siano, ma a combattere nelle file dell’esercito russo in Ucraina ci sono molti cittadini indiani e nepalesi finiti al fronte senza averne intenzione. Di recente la Cbi, l’Fbi indiana, ha sventato una rete criminale che, principalmente attraverso annunci su YouTube, reclutava persone con la falsa promessa di un impiego nell’esercito come aiutanti. Molti pensavano addirittura di partire per un lavoro a Dubai o in Germania e si sono ritrovati in campi d’addestramento in Russia con un kalashnikov in mano per la prima volta, e poi al fronte in Ucraina a scavare trincee, trasportare munizioni e sparare.

Gli indiani si dice siano centinaia, ma i nepalesi potrebbero essere migliaia. In realtà non tutti attirati con l’inganno, come avevamo scritto su Internazionale tempo fa: il Nepal ha una lunga tradizione di soldati in giro per il mondo che risale ai tempi dell’impero britannico, anche se non ha accordi con altri paesi in questo senso e molti privati cittadini si arruolano di loro iniziativa. Dal maggio scorso le autorità russe offrono una via rapida per ottenere la cittadinanza a chi presta un anno di servizio militare in Russia. Così centinaia di nepalesi sono partiti con il visto turistico per i campi di addestramento russi.

Molti testimoni sentiti dall’Afp e dal Guardian, però, raccontano di essere stati costretti dalle autorità di Mosca a firmare contratti scritti in russo in cui s’impegnavano a combattere. Ufficialmente sono 12 i nepalesi morti sul campo, ma secondo altri sarebbero almeno 19. Troppi, tanto che il governo di Kathmandu ha dovuto sospendere i permessi di lavoro ai suoi cittadini diretti in Russia e in Ucraina.

A quanto pare le autorità non fanno molto per riportare a casa i cittadini finiti in guerra loro malgrado, che quindi si sono rivolti a New Delhi, che ha una maggior influenza diplomatica su Mosca rispetto al Nepal. Il premier indiano Narendra Modi è stato infatti uno dei pochi, insieme al presidente cinese Xi Jinping e al nordcoreano Kim Jong-un, a congratularsi con Vladimir Putin dopo la rielezione domenica scorsa. Anche tra gli indiani ci sono caduti e uomini intrappolati al fronte che non sanno come liberarsi. Ai loro familiari le autorità di New Delhi hanno assicurato di star facendo del loro meglio per farli congedare al più presto.

Tutto questo parla di povertà e disoccupazione, così come le lunghe file di indiani davanti agli uffici in cui si selezionano operai da mandare in Israele a sostituire la manodopera palestinese, di cui avevamo già scritto in questa newsletter. I buoni risultati economici ottenuti dal governo di Narendra Modi, infatti, non hanno raggiunto milioni di giovani disoccupati.

Allora come mai il suo partito, il Bjp, è il favorito alle elezioni generali che si terranno dal 19 aprile aprile al 1 giugno? Per una serie di motivi, uno dei quali è la debolezza dell’opposizione, divisa e senza un candidato in grado di competere con il premier uscente. Ma le ragioni del successo del partito di Modi stanno innanzitutto nella sua capacità di corteggiare diverse categorie dell’elettorato con messaggi diretti e politiche mirate.

Come spiega l’articolo che abbiamo pubblicato su Internazionale, oltre a rafforzare la sua base di nazionalisti indù, il Bjp ha saputo conquistare la classe media, i poveri delle campagne e le donne: “Negli ultimi anni il governo Modi ha raddoppiato i fondi per il piano di sostegno al reddito delle famiglie nelle zone rurali e ha lanciato altre iniziative, tra cui una per garantire un pasto a tutti gli scolari. Ha facilitato l’apertura di conti bancari per decine di milioni di persone, comprese le donne (che così non dovrebbero dipendere da funzionari corrotti e mariti inetti quando si tratta di ricevere sussidi). Con lo scopo dichiarato di migliorare la sicurezza delle donne nelle campagne, il governo ha inoltre dotato milioni di case di servizi igienici e bombole di gas per cucinare”.

Questo testo è tratto dalla newsletter In Asia

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