Nel mondo ci sono quaranta milioni di persone ridotte in schiavitù
La parola “schiavitù” rievoca immagini di ceppi e navi transatlantiche, raffigurazioni che sembrano saldamente confinate al passato. Tuttavia oggi sono ridotte in schiavitù più persone rispetto a qualsiasi altro periodo storico.
Gli esperti hanno calcolato che tra il quindicesimo e il diciannovesimo secolo circa 13 milioni di persone sono state catturate e vendute come schiave; oggi si stima che 40,3 milioni di persone, più del triplo rispetto al periodo della tratta transatlantica, vivano in una qualche forma di moderna schiavitù. È quanto emerge dagli ultimi dati pubblicati dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) dell’Onu e dalla Walk free foundation.
Donne e ragazze rappresentano circa il 71 per cento delle vittime della moderna schiavitù. I bambini rappresentano il 25 per cento degli schiavi di tutto il mondo, e sono circa dieci milioni.
Cosa sono costrette a fare le persone in schiavitù
Secondo l’organizzazione abolizionista Anti-slavery international, oggi una persona viene considerata in schiavitù se è costretta a lavorare contro la sua volontà, se appartiene o è controllata da uno sfruttatore o un “datore di lavoro”, se ha una limitata libertà di movimento o se è stata disumanizzata, trattata come merce o comprata e venduta come una proprietà.
Sul piano globale più della metà dei 40,3 milioni di vittime di schiavitù – 24,9 milioni di persone – è costretta ai lavori forzati, cioè lavora contro la sua volontà ed è sottoposta a minaccia, intimidazione o coercizione. Si stima che altri 15,4 milioni di persone siano costrette a matrimoni forzati.
Dei 24,9 milioni di persone intrappolate in una qualche forma di lavoro forzato, la maggioranza (16 milioni) lavora nel settore privato. Le schiave e gli schiavi puliscono le case e gli appartamenti, producono i vestiti che indossiamo, raccolgono la frutta e la verdura che mangiamo, dragano i mari per pescare i gamberi che finiscono nei nostri piatti al ristorante, scavano per estrarre i minerali usati per realizzare i nostri telefoni, i prodotti per il make-up e le auto elettriche, e lavorano nel settore edilizio per costruire le infrastrutture necessarie ai Mondiali di calcio che si giocheranno nel 2022 in Qatar.
Si stima che altri 4,8 milioni di persone costrette ai lavori forzati siano sfruttate sessualmente, mentre 4,1 milioni circa di persone sono condannate ai lavori forzati da uno stato che abusa del ricorso alla leva obbligatoria o all’obbligo di lavoro nel settore edilizio o agricolo. In alcuni paesi come la Mauritania le persone possono nascere in una condizione di schiavitù “ereditaria” se figli di una madre schiava.
Ancora una volta donne e ragazze sono le più colpite secondo questi dati: per l’Ilo rappresentano il 99 per cento circa di tutte le vittime nel settore dello sfruttamento sessuale e il 58 per cento in altri settori.
Dove accade?
Da un punto di vista statistico, la schiavitù moderna è più diffusa in Africa, e a seguire in Asia e nella regione del Pacifico. È quanto emerge dal Global slavery index, che classifica ciascun paese in base ai dati sulla schiavitù moderna e sulle risposte del governo al problema.
Tuttavia Ilo e Walk free avvertono che queste cifre potrebbero essere imprecise a causa dell’assenza di dati provenienti da aree importanti. “Riteniamo che oggi la stima globale di 40,3 milioni rappresenti il dato più affidabile, anche se a nostro avviso si tratta di una stima prudente, poiché ci sono milioni di persone che non siamo stati in grado di raggiungere in zone di conflitto o lungo le rotte dei profughi, e luoghi dove non siamo sicuri di poter raccogliere dati affidabili, come i paesi del Golfo dove le difficoltà di accesso e le barriere linguistiche ci hanno impedito di raggiungere le comunità di lavoratori migranti”, ha affermato Michaëlle de Cock, un’esperta di statistica dell’Ilo.
Più del 70 per cento dei 4,8 milioni di vittime di sfruttamento sessuale si trova in Asia e nella regione del Pacifico. Il matrimonio forzato invece prevale in Africa. Tuttavia non esiste un solo paese immune alla schiavitù: 1,5 milioni di vittime di schiavitù vivono nei paesi sviluppati.
Perché ci sono così tanti schiavi oggi?
La schiavitù è un grande affare. Genera globalmente 150 miliardi di dollari all’anno di profitti, più di un terzo dei quali (46,9 miliardi) nei paesi sviluppati, compresi quelli dell’Unione europea. Se due secoli fa i trafficanti di schiavi erano costretti a fare i conti con viaggi costosi e con tassi di mortalità molto alti, gli sfruttatori moderni hanno spese inferiori grazie ai grandi progressi nell’ambito della tecnologia e dei trasporti. A causa dei moderni flussi migratori inoltre c’è una grande disponibilità di persone vulnerabili e dunque sfruttabili a cui possono attingere le filiere nel campo dell’agricoltura, della cosmetica, della moda e dell’industria del sesso.
Secondo l’esperto di schiavitù Siddharth Kara, i moderni trafficanti di schiavi oggi guadagnano trenta volte di più rispetto a quanto avrebbero fatto i loro omologhi del diciottesimo e diciannovesimo secolo. Secondo le stime di Kara, oggi uno schiavo ha un costo singolo di circa 450 dollari. Un lavoratore forzato produce per il suo sfruttatore circa ottomila dollari di profitti annui, mentre i trafficanti nell’industria del sesso guadagnano in media 36mila dollari all’anno per ogni vittima.
“Oggi la schiavitù è più redditizia di quanto avrei mai potuto immaginare”, dice Kara. “I profitti per un singolo schiavo possono andare da poche migliaia di dollari a diverse centinaia di migliaia di dollari all’anno, e i profitti globali generati ogni anno dalla schiavitù raggiungono i 150 miliardi di dollari”.
È importante rilevare come le stime siano influenzate anche dai tassi demografici globali: i primi dieci paesi con i più elevati numeri assoluti di vittime sono anche tra i più popolosi al mondo. Secondo il Global slavery index, in questi dieci paesi – Cina, Repubblica Democratica del Congo, India, Indonesia, Iran, Nigeria, Corea del Nord, Pakistan, Filippine e Russia – vive complessivamente il 60 per cento circa di tutte le persone ridotte in schiavitù e più della metà della popolazione mondiale.
Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc,), anche l’aumento dei conflitti violenti registrato in tutto il mondo negli ultimi trent’anni ha contribuito a far aumentare il numero di persone a rischio di schiavitù. Gruppi armati e terroristi si danno alla tratta di esseri umani “per dimostrare di controllare la comunità o per aumentare il loro potere reclutando bambini soldati o concedendo schiave sessuali come premio per le nuove reclute”.
Cosa stanno facendo i governi per porre fine alla schiavitù?
La schiavitù è illegale in tutti i paesi del mondo, e nonostante ciò è dilagante. Nel 2018, sebbene più di 170 paesi si siano impegnati pubblicamente a sradicarla, secondo Global slavery index solo 122 hanno criminalizzato la tratta di esseri umani in linea con il protocollo delle Nazioni Unite contro la tratta di migranti, e solo 38 hanno criminalizzato i matrimoni forzati. Gli Stati Uniti, i paesi scandinavi e alcuni dell’Unione europea risultano tra quelli più schierati nella lotta contro la schiavitù, ma le condanne sono poche. Anzi, nel 2016 in Europa le condanne erano scese del 25 per cento rispetto ai livelli del 2011, nonostante un incremento del numero delle vittime.
Nel 2016 il numero delle vittime di schiavitù moderna che sono state identificate è aumentato del 40 per cento rispetto al 2012, arrivando a 24mila persone. Si tratta però di una minuscola parte delle vittime stimate. Secondo gli esperti, le basse percentuali di condanne riflettono il fallimento nell’identificare le vittime e le difficoltà che le autorità devono affrontare nel formalizzare le accuse in base alle nuove leggi sulla tratta di esseri umani e la schiavitù moderna.
Che differenza c’è tra schiavitù e tratta di esseri umani?
La tratta di esseri umani è solo uno dei modi per ridurre in schiavitù una persona. Mentre secoli fa era comune per un commerciante di schiavi comprare un altro essere umano e “possedere” quella persona come se fosse un oggetto di sua proprietà (cosa che continua ad accadere), oggi la pratica è molto più insidiosa.
La tratta di esseri umani implica il reclutamento, il trasferimento o l’acquisizione di un individuo per mezzo della coercizione, del rapimento, della frode o della forza con l’obiettivo di sfruttarlo. Questo sfruttamento può spaziare dal lavoro forzato al matrimonio forzato o al sesso in cambio di denaro, e lo sfruttatore può essere chiunque, un estraneo, un vicino o un familiare. La maggior parte delle persone è vittima di tratta entro i confini del paese d’origine, ma possono anche essere trasferite all’estero; nella maggior parte dei casi le persone vittime di tratta sono costrette ai lavori forzati.
Spesso la vittima è indotta a credere di aver ricevuto un’offerta di lavoro ben retribuita in un’altra città o in un altro paese, per poi scoprire che quel lavoro non esiste e ritrovarsi indebitata con il proprio “datore di lavoro”, o trafficante. Le vittime scoprono di dover pagare per il trasporto, l’alloggio e qualsiasi altra commissione sia richiesta dallo sfruttatore, e rimangono intrappolate in un legame debitorio.
Per esempio?
Le inchieste del Guardian hanno svelato una serie di abusi dal Qatar alla Thailandia, dall’India agli Stati Uniti. Il Qatar è stato costretto a prendere provvedimenti dopo le rivelazioni sulle pratiche violente imposte ai lavoratori migranti impiegati a costruire le sue infrastrutture in vista della coppa del mondo del 2022.
La tratta a bordo di pescherecci è ancora molto diffusa, soprattutto nell’Asia sudorientale e orientale, dove gli uomini sono attratti dalla promessa di un posto di lavoro nell’agricoltura o nell’edilizia, poi vengono drogati o picchiati e si risvegliano in mare aperto.
Lo sfruttamento di lavoratori migranti è stato svelato anche in Malesia, Cambogia, Cina, Italia, Vietnam e Regno Unito.
Come si finisce in schiavitù?
Non esiste una risposta definitiva a questa domanda. La schiavitù moderna colpisce persone di ogni colore, età o genere, ma prevale tra le persone più vulnerabili. Potrebbe trattarsi dell’abitante di un villaggio in Cambogia che cerca un lavoro pagato meglio in un paese vicino e si ritrova imbarcato a forza a bordo di un peschereccio.
O di una ragazzina costretta a sposarsi a tredici anni perché a causa del cambiamento climatico un’inondazione ha distrutto il raccolto della sua famiglia e i suoi genitori non possono più permettersi di tenerla in casa. O di un senzatetto rapito da una mensa dei poveri di Londra e costretto a lavorare in un parcheggio per roulotte. O di una migrante il cui visto è scaduto e che quindi può essere minacciata di espulsione se non fa quello che le chiede il trafficante.
La schiavitù è globale ma prospera in luoghi dove la legalità è debole e la corruzione non viene sanzionata, afferma Anti-slavery international.
La schiavitù avrà mai fine?
Gli attivisti come Kara ritengono che la schiavitù possa essere sradicata, ma solo con una forte volontà politica e una grande quantità di ricerche.
In primo luogo sarebbero necessari investigatori dedicati per individuare ciascun livello delle filiere commerciali in molti casi losche e i punti in cui si verificano abusi ai danni della forza lavoro.
Poi per ciascun prodotto si dovrebbero creare processi di certificazione indipendente in modo tale che i consumatori possano compiere scelte consapevoli sui prodotti che comprano e sulla schiavitù o il lavoro forzato che quegli acquisti implicano.
Infine, secondo Kara, i settori industriali dovrebbero investire nelle comunità la cui forza lavoro a basso costo viene usata per realizzare i prodotti. “Così facendo si potrebbe contribuire a mitigare la vulnerabilità alla tratta e allo sfruttamento”, ha dichiarato. “I consumatori potranno essere costretti a pagare un po’ di più per alcune merci, e le multinazionali forse dovranno accettare margini di profitto leggermente inferiori. Un ambiente di lavoro più libero e giusto tuttavia promuoverebbe una maggiore produttività, il che potrebbe controbilanciare alcune di quelle spese”.
Cosa faccio se penso che qualcuno sia vittima di schiavitù?
Secondo Anti-Slavery International, la schiavitù è così comune che è possibile incontrare le sue vittime “con una certa regolarità”. Le cose fondamentali da tenere in considerazione sono se la persona ha libertà di movimento; sembra spaventata, isolata o mostra segni di abuso; ha pochi oggetti personali o documenti identificativi; o sembra sotto il controllo di qualcun altro e ha paura di parlare. Se pensi che qualcuno stia vivendo in queste condizioni, è meglio contattare direttamente le autorità invece di avvicinarsi alla persona, in quanto avvicinarsi potrebbe metterla in pericolo.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.