L’accordo sui migranti con l’Italia crea una Guantanamo in Libia
Il 2 febbraio il primo ministro italiano e il primo ministro del governo di unità nazionale libico Fayez al Serraj hanno firmato un memorandum d’intesa per fermare l’arrivo dei migranti in Europa. Nel memorandum si dichiara l’intenzione di rinchiudere i migranti in centri di detenzione di prossima costruzione in Libia e di offrire sostegno finanziario e addestramento alle forze di sicurezza libiche affinché sorveglino i confini della Libia.
Una volta tanto i libici si trovano d’accordo su qualcosa: molti giornalisti, blogger, leader di milizie e politici hanno condannato il memorandum, tutti per motivi diversi e da diversi punti di vista. Permettetemi di condividere con voi alcune delle opinioni espresse su questa sponda del Mediterraneo.
La posizione di forza dell’Italia
In un articolo intitolato “Acqua calda e governo complice”, il giornalista Salem Barghouti ha affermato che il documento è “simile a un memorandum d’intesa imposto a paesi che sono stati sconfitti e occupati, attuato con l’aiuto del governo complice dell’occupazione”. E prosegue: “Dal 2004 l’Italia cerca di istituire un centro regionale in Libia per impedire l’immigrazione irregolare, ma non c’era riuscita perché lo stato era forte. Tuttavia, questo progetto, o per meglio dire il sogno italiano, è tornato alla ribalta politica quando l’Unione europea ha avuto la certezza che la debole e dispersiva Libia era pronta ad accettare l’avvio degli insediamenti. Prima di firmare un simile memorandum, il governo di unità nazionale avrebbe dovuto rendersi conto del fatto che il documento non dovrebbe esentare l’Italia dal rispetto degli impegni presi in precedenti accordi e trattati stipulati con l’ex regime, in particolare il trattato di amicizia e cooperazione firmato a Bengasi nel 2008. Quel trattato comprendeva un risarcimento per le vittime libiche delle mine seminate dall’Italia per impedire l’ingresso delle truppe dell’Asse in Libia e un risarcimento per il periodo coloniale sotto forma di investimenti per un valore stimato di cinque miliardi di dollari (4,7 miliardi di euro). I centri di riabilitazione a cui si fa riferimento nel memorandum d’intesa disporranno di alloggi, strutture sanitarie, medicine e attrezzature, una prova eloquente del fatto che questi centri sono concepiti per essere stabili e modulabili. E questo significa il reinsediamento di migranti in un paese che gli europei ritengono uno stato al collasso in cui non si prevede alcun significativo miglioramento nel prossimo futuro. Gli italiani si trovano in una posizione di forza. Sono stati in grado di dettare le condizioni nell’interesse dell’Italia, tenendo conto del prezzo pagato per il sostegno offerto alla rivoluzione libica. Non sono scontento del memorandum d’intesa; so che presto arriverà un altro governo nazionale e getterà a mare quell’accordo, e il mare lo risospingerà sulle coste italiane”.
Un grande gioco
Il coordinatore delle relazioni libico-egiziane con le tribù, Akram Jirari, ha messo in discussione le intenzioni e la credibilità della concomitante decisione presa dalla Banca centrale della Libia di liquidare i dollari per i cittadini libici. In base a questa decisione, ciascun libico avrà il diritto di ritirare un totale di 400 dollari statunitensi (378 euro circa) per ciascun membro della sua famiglia. Jirari ha spiegato che questa risoluzione non è altro che “un grande gioco per distrarre la gente con la questione del cambio del dollaro mentre in Libia si costruiscono gli insediamenti per profughi e migranti”. In un linguaggio aspro ha aggiunto che la decisione di costruire insediamenti ha lo scopo “di sbarazzarsi dei migranti irregolari e impedire loro di arrivare in Europa facendoli invece stabilire in Libia, con tutte le malattie e i danni che possono causare, un peso che adesso stanno sopportando in Europa”.
Un altro commentatore ha tracciato dei parallelismi con un argomento doloroso tra i più citati, la dichiarazione di Balfour, che stabiliva il sostegno del governo britannico alla fondazione di un “focolare ebraico” in Palestina. Lo stesso commentatore si chiede: “In Libia sarà la volta della dichiarazione di Al Serraj, la promessa di istituire una patria per gli africani in Libia?”.
La camera dei rappresentanti con sede a Tobruk ritiene “nullo e privo di valore” il memorandum d’intesa. Secondo i parlamentari, la questione non “è soggetta a interessi individuali né agli interessi dei paesi europei, in particolare della repubblica italiana”. E continuano: “L’Italia sta cercando di sbarazzarsi del peso e dei pericoli dell’immigrazione clandestina per la sicurezza, l’economia e la società in cambio di un po’ di sostegno materiale alla Libia, che è peraltro già obbligata a fornire”.
In altri termini, finché tenete i migranti lontani dalle coste europee possiamo fare finta che vada tutto bene
In molti hanno sottolineato come già nel 2008 la Libia avesse firmato un accordo dettagliato sullo stesso argomento. Si chiedono se il nuovo memorandum d’intesa sia stato un tentativo da parte dell’Italia di disattendere gli obblighi imposti dal precedente trattato o di sfruttare la situazione di vulnerabilità della Libia. In una dichiarazione, la commissione nazionale sui diritti umani in Libia ha espresso un netto rifiuto del memorandum d’intesa o di qualsiasi altro “progetto, protocollo, convenzione o memorandum politico o legale che possa suggerire il rimpatrio dei migranti africani o il loro reinsediamento in Libia”.
L’assenza del punto di vista dei migranti
Come ho detto prima, quasi tutte le fonti libiche tendono a concordare su questa vicenda. Cosa ancora più significativa, nonostante la grande varietà di punti di vista sono tutte accomunate anche da quello che non dicono. Criticando il memorandum d’intesa, nessuno ha espresso preoccupazione per le condizioni disumane che i migranti subiscono e continueranno a subire.
Leggendo le notizie sui mezzi d’informazione internazionali, capita di imbattersi in titoli come questo: “I leader dell’Ue discutono di come il blocco dei 28 stati membri possa impedire ai migranti di imbarcarsi su navi di fortuna sulla costa libica per attraversare il Mediterraneo diretti in Europa”.
In altri termini, finché tenete i migranti lontani dalle coste europee possiamo fare finta che vada tutto bene: quello che succede a Tripoli resta a Tripoli. Le condizioni dei migranti sono già un incubo in Libia. Perciò firmare un documento che istituisca per loro una Guantanamo libica è servito soltanto a sancire ufficialmente le loro sofferenze e a suggellare la loro situazione disperata. L’assenza del punto di vista dei migranti limita la possibilità di una vera comprensione della situazione e di un vero dibattito.
Definiamo noi stessi e i nostri rapporti con gli altri soprattutto in base ai dettagli sul nostro conto che permettiamo agli altri di conoscere: quanto riveliamo di noi stessi, e come e quando scegliamo di rivelarlo. In una prospettiva più ampia, una catena di informazioni stabile, illimitata e senza censure è essenziale per comprendere qualsiasi condizione umana. Nella vicenda relativa alla crisi dei migranti e alle soluzioni proposte osserviamo ciò che accade quando le persone più colpite da una situazione non hanno alcuna voce in capitolo, quando il loro punto di vista viene ignorato.
Nonostante l’accesso immediato a un’enorme quantità di informazioni, il resto del mondo continua a non sapere molto di quello che accade sull’altra sponda del Mediterraneo.
Venti mesi fa mi sono unito ad Andrea Segre nel suo viaggio per la realizzazione del film L’ordine delle cose. Mi ha spiegato la sua idea di aprire un varco sulle storie che accadono lontano dai riflettori quando si firma un accordo di questo tipo. Sono convinto che la sua idea diventerà un’importante testimonianza cinematografica.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Le riprese del film L’ordine delle cose sono cominciate il 6 marzo. Il film è diretto da Andrea Segre e prodotto da JoleFilm con la coproduzione di Rai Cinema e di MaCT Film (Francia) e il sostegno del ministero dei beni culturali italiano. Il film è stato scritto da Andrea Segre e Marco Pettenello.