In pochi mesi la pandemia di covid-19 si è spostata da un continente all’altro. A oggi conta più di 31 milioni di casi e più di 960mila morti. Fin dall’inizio la ricerca si è mossa per sviluppare test affidabili in grado di identificare la presenza del virus nella popolazione. Ora l’attenzione è rivolta a test rapidi che permettono d’individuare tempestivamente le persone che sono venute in contatto con il virus e quelle potenzialmente immuni. Potrebbero rivelarsi molto utili nei porti e negli aeroporti, nelle scuole e nelle università, nei posti di lavoro e negli uffici pubblici per contenere la trasmissione del virus e prevenire la necessità di dover ricorrere a misure più restrittive o tornare al lockdown.

Quali sono i test disponibili per il covid-19?
I test per il covid-19 si dividono in due categorie principali, con funzioni differenti e complementari: i test molecolari, tra cui il cosiddetto tampone, che intercettano la presenza di materiale genetico virale, rivelando se è in atto l’infezione; e i test anticorpali, chiamati comunemente sierologici, che cercano gli anticorpi prodotti dal sistema immunitario in risposta all’infezione, per scoprire se una persona è entrata in contatto con il sars-cov-2 negli ultimi mesi. I primi fotografano la situazione del momento, rivelando l’infezione in corso e quindi il singolo contagio, mentre i secondi aiutano a ricostruire la trasmissione del virus tra la popolazione e a monitorare il suo grado d’immunizzazione, da cui dipenderà l’evoluzione della pandemia.

In entrambe le categorie sono state sviluppate più tipologie di analisi che differiscono per affidabilità e sicurezza, facilità di esecuzione e tempi di risposta. Le aziende biotecnologiche stanno mettendo a punto test sempre più rapidi che, se usati su larga scala, permettono di monitorare quasi in tempo reale la diffusione del virus nella popolazione e di avere una stima più accurata dei casi senza doversi affidare a dei modelli matematici. Sono test semplici ed economici, ma meno affidabili in termini di specificità e sensibilità. Tra questi ci sono i test salivari, in cui si ricercano tracce del virus nella saliva, i test antigenici che rilevano la presenza di proteine virali in campioni di saliva o prelevati tramite tampone e i test sierologici pungidito, che rilevano nel sangue la presenza o meno di anticorpi.

Quando e come fare un test?
In caso di febbre e sintomi simil-influenzali come tosse, mal di gola e respiro corto, o in caso di dubbi, il ministero dalla salute raccomanda di rimanere a casa, di non andare al pronto soccorso o in uno studio medico, ma di chiamare al telefono il proprio medico di famiglia, il pediatra o la guardia medica. Oppure si può chiamare il numero verde della propria regione o il numero di pubblica utilità 1500. In ogni caso saranno il medico di famiglia, il pediatra o la Asl di riferimento a valutare se è necessario fare un tampone e a dare indicazioni su cosa fare. Alcuni laboratori privati sono autorizzati a fare i test sierologici. Chi risulta positivo deve poi fare il tampone. Al momento non si possono comprare test per il covid-19 in farmacia.

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In cosa consiste il tampone?
Il gold standard per la diagnosi della malattie infettive raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) è il test molecolare, comunemente chiamato tampone, che identifica la presenza del materiale genetico del virus in campioni biologici attraverso la tecnica in provetta della reverse transcription-polymerase chain reaction (Rt-Pcr). Grazie a questa tecnica vengono copiate più volte delle porzioni specifiche del genoma virale fino a renderle “visibili”: se queste porzioni sono presenti nel campione, il test risulterà positivo; in caso contrario, sarà negativo. Il test viene fatto sul materiale biologico prelevato con un bastoncino lungo, simile a un cotton fioc, dalle mucose del naso e della gola. Il prelievo di per sé è rapido ma fastidioso e per alcune persone doloroso.

Questo test molecolare tramite Rt-Pcr è il più efficace e attendibile per rilevare il virus durante la fase attiva dell’infezione, anche in assenza di sintomi. Il margine di errore è piuttosto basso. Ma è un test dispendioso, che richiede personale qualificato, reagenti specifici e macchine costose che impiegano diverse ore per dare i risultati. Dovendo lavorare su un numero elevato di campioni, spesso i laboratori sono oberati e i tempi per avere una risposta possono allungarsi, anche di diversi giorni, con il rischio di rendere inutile l’intero processo. Avere l’esito del tampone a distanza di una settimana o più significa infatti che i casi sospetti devono stare comunque in quarantena in attesa di avere la risposta, che arriva quando la persona potrebbe aver già superato la malattia e quando ormai è troppo tardi per isolare il paziente. Negli Stati Uniti questi ritardi, insieme alla carenza di tamponi, scrive Nature, hanno contribuito alla rapida espansione dell’epidemia.

Cosa vuol dire essere negativi al tampone?
Il test molecolare con Rt-Pcr è per ora il più affidabile, ma non è perfetto. Non mancano infatti i falsi negativi né i falsi positivi. Come spiega il JAMA Network se il test è eseguito troppo presto e il virus non ha avuto il tempo di replicarsi, l’analisi molecolare non è abbastanza sensibile da poterne rilevare la presenza. Quindi se ci sono sintomi molto sospetti, non è sufficiente l’esecuzione di un solo tampone per escludere la positività al virus. Per garantire un risultato più preciso il tampone deve essere ripetuto in tempi successivi o in tratti diversi dell’apparato respiratorio, anche su un campione biologico dell’apparato respiratorio più “profondo” (espettorato, o aspirato endotracheale).

Fino a quando si è positivi al tampone?
Finché è presente il virus il tampone risulta positivo. La guarigione “completa” in Italia viene certificata dopo due tamponi consecutivi negativi, anche se l’Oms ha aggiornato le sue linee guida, dicendo che possono bastare tre giorni senza sintomi per certificare la guarigione. La positività del test molecolare con Rt-Pcr indica solo la presenza dell’rna del sars-cov-2 e non necessariamente del virus vitale: ci sono stati casi di persone risultate nuovamente positive dopo due tamponi negativi per la presenza di particelle virali morte, e quindi non più infettive.

Che differenza c’è tra il tampone e il test antigenico?
Entrambi servono per rintracciare o meno la presenza del virus e quindi diagnosticare l’infezione. Ma diversamente dal tampone, il test dell’antigene (o antigenico) va alla ricerca di proteine del virus (antigeni) e non di porzioni del genoma virale. Per questo motivo è più semplice da svolgere: il materiale biologico prelevato dalla gola o dal naso con un bastoncino, senza raggiungere le parti più profonde del setto nasale, viene prima miscelato in un reagente e poi versato su una striscia di carta che tramite una reazione biochimica mostrerà con un segnale fluorescente o colorato la presenza o meno degli antigeni di sars-cov-2. Questi test non richiedono apparecchiature costose ma un semplice kit e sono economici. Il loro grosso vantaggio è la rapidità della risposta (non più di 30 minuti). Tuttavia, spiega Nature, la velocità ha un costo elevato in termini di sensibilità. Mentre la Rt-Pcr è in grado di rilevare una singola molecola di rna virale in un microlitro di soluzione, i test dell’antigene richiedono che un campione contenga migliaia, se non addirittura decine di migliaia, di particelle virali per microlitro per riuscire a rilevare l’antigene del virus e dare un risultato positivo. Quindi, se la carica virale è bassa il test potrebbe erroneamente risultare negativo. Si è visto che la sensibilità di questi test è elevata in campioni raccolti alla comparsa dei primi sintomi e che superata la prima settimana scende molto. Anche in questo caso, come nel classico tampone, la tempistica inappropriata nella raccolta dei campioni fa la differenza.

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In Italia, i test antigenici rapidi utili all’identificazione del virus sars-cov-2 sono stati usati quest’estate negli aeroporti per controllare le persone al ritorno da alcuni paesi ritenuti ad alto rischio covid-19. Al tavolo europeo il ministro Roberto Speranza ha proposto di estenderne l’adozione in tutti gli aeroporti per i viaggiatori in transito, in entrata e uscita, “per evitare misure più drastiche quali chiusure generalizzate delle frontiere”. Si sta discutendo se introdurli anche nelle scuole e nelle università.

I test antigenici si possono fare da soli?
Per ora no. I test antigenici approvati dalle agenzie regolatorie sono utilizzabili solo dagli operatori sanitari. Alcune aziende stanno sviluppando dei test antigenici molto semplici, simili ai test di gravidanza da banco, che le persone potrebbero fare autonomamente a casa per controllare il proprio stato di salute. Ma una loro futura commercializzazione, al di là delle preoccupazioni sui costi e sulla disponibilità, è oggetto di dibattito. Una critica che viene avanzata è che il libero impiego di questi test – senza il controllo delle aziende sanitarie e dei sistemi di sorveglianza – rischia di non essere seguito dal tracciamento dei contatti e dei possibili contagi. Una persona risultata positiva potrebbe non segnalare la propria infezione alle autorità sanitarie. Rimane inoltre il problema dell’affidabilità di questi test da banco, che non è alta, e l’esito negativo dovrebbe essere confermato da un test molecolare con Rt-Pcr. In generale, per qualsiasi test, “anche quando il risultato è negativo, le persone devono ricordarsi di continuare a lavarsi le mani, indossare mascherine ed evitare assembramenti”, commenta Edsel Salvana, direttore della sezione di biologia molecolare del National institutes of health della University of the Philippines Manila. In sintesi, i test non possono sostituire le misure di controllo e prevenzione necessarie per ridurre il rischio di trasmissione e i contagi.

Come funziona un test sierologico?
Sono esami del sangue che servono per capire se una persona, anche senza saperlo, ha già contratto l’infezione in tempi più o meno recenti. Rintracciano nel siero la presenza di immunoglobuline M (IgM) e immunoglobuline G (IgG) specifiche contro il virus sars-cov-2. Le immunoglobuline sono anticorpi che l’organismo produce quando il sistema immunitario riconosce la presenza di agenti estranei quali batteri e virus. Possono richiedere diversi giorni per svilupparsi dopo un’infezione e spesso rimangono nel sangue per settimane anche dopo la guarigione. C’è una fase in cui nell’organismo sono presenti sia gli anticorpi sia il virus che continua a diffondersi.

Se il test risulta positivo solo alle IgM significa che presumibilmente la persona è entrata in contatto con il virus da una a quattro settimane prima. Se è positivo solo alle IgG, che si manifestano più tardi delle IgM e rimangono a lungo nel sangue, significa che l’infezione è avvenuta da almeno quattro o sei settimane. Invece la positività a entrambe le immunoglobuline suggerisce che l’infezione è in calo perché il contagio è avvenuto diversi giorni prima.

Il test può dare dei risultati falsi positivi quando rileva erroneamente anticorpi presenti nei campioni ma generati dalla reazione a comuni coronavirus del raffreddore, o anche dei risultati falsi negativi. La percentuale di errore dipende dall’accuratezza del test clinico usato. Il ministero della salute raccomanda, qualora il cittadino decidesse di effettuare un esame sierologico, di scegliere test con una specificità non inferiore al 95 per cento e una sensibilità non inferiore al 90 per cento.

La presenza degli anticorpi indica solo che la persona è stata infettata, ma non se è guarita e non più contagiosa. Per confermare o escludere la contagiosità serve fare il tampone.

Quando il test sierologico è negativo non si è contagiosi?
Se il test risulta negativo significa che, con un elevato livello di probabilità, la persona non è venuta a contatto con il virus, ma non si può escludere del tutto il contrario: la persona potrebbe infatti essere stata infettata di recente (meno di 8-10 giorni prima) e non aver ancora sviluppato la risposta anticorpale al virus, oppure può avere una quantità di anticorpi al momento del test troppo bassa per essere rilevata. Come nel caso della positività al test sierologico, non si ha la garanzia assoluta dell’assenza d’infezione da sars-cov-2 né del rischio di contagiosità dell’individuo.

Quali tipi di test sierologici esistono?
Il test sierologico standard è fatto su un prelievo di sangue che viene analizzato in laboratorio per misurare la quantità e la tipologia degli anticorpi. Esistono anche test rapidi fatti con piccoli dispositivi, che invece analizzano il sangue capillare prelevato da un polpastrello tramite un pungidito, come i comuni test per chi soffre di diabete, e rilevano solo la presenza o meno degli anticorpi. Quasi sempre sono test di tipo qualitativo (positivo o negativo) e non indicano la quantità di anticorpi nel sangue. Rispetto al test sierologico standard che impiega 48 ore per dare una risposta, garantiscono una risposta in 10-15 minuti, sono più economici e semplici, ma meno affidabili. Come per i test molecolari rapidi ci sono dei pareri contrari sul loro impiego: disporre di test che non si sanno interpretare correttamente e usarli in modo indiscriminato potrebbe rilevarsi più dannoso che utile.

Il ministero dalla salute sta comunque lavorando alla possibilità di rendere disponibili in farmacia i test sierologici validati dall’Istituto superiore di sanità e dal Comitato tecnico-scientifico. E si è impegnato “a predisporre un elenco dei test che potranno essere effettuati nelle farmacie, secondo modalità di svolgimento e di trasmissione dei dati da concordare con le autorità sanitarie”.

Perché fare il test sierologico?
Allo stato attuale dell’evoluzione tecnologica, il test sierologico non ha un’utilità clinica, serve poco alle singole persone. Per la diagnosi non può sostituire il tampone. Può essere usato per individuare l’infezione da sars-cov-2 in individui asintomatici o con sintomi lievi o moderati che si presentino tardi all’osservazione clinica: nel caso in cui il test sierologico risulti positivo, si fa il test molecolare per sapere se l’infezione è ancora in corso e si è quindi contagiosi. Più di tutto, i test sierologici sono un valido strumento epidemiologico per stimare la diffusione dell’infezione in una comunità e la proporzione di persone momentaneamente immuni al virus. Per esempio l’indagine di sieroprevalenza dell’infezione da sars-cov-2 avviata a fine maggio in Italia dal ministero della salute e dall’Istat, con la collaborazione della Croce rossa, che ha coinvolto 2015 comuni ed è stata rivolta a 150mila persone, ha stimato che 1,482 milioni di italiani hanno incontrato il virus, pari al 2,5 per cento dell’intera popolazione.

Se fatti a tappeto, questi test permettono dunque di affinare la stima dei contagi effettivi da sars-cov-2, di stabilire il tasso di letalità dell’infezione virale e di dare indicazioni sulla possibilità di allentare le misure di distanziamento sociale in caso di un’immunizzazione abbastanza diffusa.

Una volta guariti dal covid-19 ci si può considerare immuni?
Un test sierologico positivo per le IgG associato a un tampone negativo dovrebbe essere sufficiente a dare una buona sicurezza di non riammalarsi almeno nel breve termine. Non è infatti ancora chiaro quanto duri l’immunità acquisita con la prima infezione. Finora gli studi mostrano che gli anticorpi protettivi raggiungono un picco a tre settimane dalla comparsa dei sintomi per poi gradualmente diminuire: tre mesi dopo l’infezione meno di due su dieci dei soggetti che hanno contratto il virus mantengono la stessa potenza di risposta immunitaria. Una ricerca pubblicata su Nature Medicine ha osservato che i livelli di anticorpi protettivi diminuiscono di oltre il 70 per cento durante la convalescenza e in alcuni soggetti non sono più rilevabili, tanto da risultare negativi al test sierologico. Come scrive Stat News, esistono diverse ipotesi sulla durata dell’immunità naturale, tra cui per esempio che le persone già infettate o vaccinate potrebbero perdere nel tempo la protezione immunitaria, ma un’eventuale reinfezione dovrebbe essere una forma clinicamente più blanda. Allo stato attuale delle conoscenze, si può solo rispondere che chi è già stato infettato ed è guarito non può considerarsi immune a vita.

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È più importante la sensibilità o la rapidità dei test?
Martin Burke, chimico dell’università dell’Illinois, considera che la strada da percorrere sia quella di rendere sempre più economica, semplice e veloce l’analisi del materiale biologico per intercettare i casi positivi: “Penso che il test dell’antigene sia il modo per arrivarci”, dice su Nature. “Non è affatto la soluzione perfetta, ma è solo la cosa più veloce che possiamo ottenere ora”.

La corsa ai test rapidi per il sars-cov-2 non sembra rallentare. Ai primi di settembre la Food and drug administration, l’agenzia governativa statunitense che regolamenta farmaci e alimenti, ha approvato un nuovo test dell’antigene realizzato dalla casa farmaceutica Abbott laboratories, con sede nell’Illinois. Il dispositivo per fare il test sembra una carta di credito e rileva le tracce lasciate dalle proteine virali (antigeni) del sars-cov-2. Non richiede nessuna apparecchiatura, costa solo cinque dollari e fornisce una riposta direttamente sulla tesserina in soli 15 minuti. Gli Stati Uniti hanno già investito 760 milioni di dollari per 150 milioni di questi test e la Abbott prevede di aumentare la produzione a 50 milioni a partire dal mese di ottobre. Prove di laboratorio hanno rilevato che il test della Abbott ha individuato correttamente il virus nel 95-100 per cento delle persone risultate positive al test molecolare con Rt-Pcr quando i campioni erano stati raccolti entro una settimana dall’insorgenza dei sintomi e nel 75 per cento superata la prima settimana. Anche l’Italia sta perseguendo la via dei test rapidi: il ministero della salute ha approvato il Daily tampon, sviluppato da un’azienda italiana, che si esegue su un semplice campione di saliva e che dà il risultato di positività o negatività al nuovo coronavirus in tre minuti.

Ma la ricerca di test molecolari sempre più rapidi a discapito di un’adeguata sensibilità diagnostica è molto dibattuta. Alcuni temono che il loro impiego abbassi troppo l’asticella dell’affidabilità e che, a causa di numerosi falsi negativi, i focolai possano aumentare. Altri considerano invece che la sensibilità inferiore del test possa concentrare l’attenzione sull’individuazione delle persone più infettive; inoltre valutano che il basso costo, la facilità di esecuzione e la velocità di risposta diano la possibilità di ripetere il test a distanza di pochi giorni e di riuscire così a identificare i casi positivi quando la carica virale è alta.

Un aspetto cruciale è ragionare sui grandi numeri oltre che sui tempi: più test si fanno, più contagiati si trovano, ma per poter frenare i contagi servono tempi rapidi. I test degli antigeni permettono di fare quindi una prima scrematura, anche se grossolana, dei casi infetti da completare poi usando il gold standard della diagnostica, la Rt-Pcr, nei casi risultati negativi ma sospetti.

Simulando una sorveglianza su individui asintomatici Michael Mina, immunologo della Harvard TH Chan school of public health di Boston, nel Massachusetts, ha calcolato che la sensibilità di questi test è secondaria rispetto alla frequenza e alla tempistica. Tuttavia diversi esperti in materia, scrive il New York Times, non li reputano una panacea contro la pandemia. Al momento manca uno studio che ne abbia testato l’affidabilità: “Non abbiamo dati”, commenta Esther Babady, direttrice del servizio di microbiologia clinica presso il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, sottolineando che sono ancora pochi gli studi scientifici per definire il campo di applicazione di questi test. Inoltre, in poco tempo sono stati sviluppati molti test per covid-19 applicati su numeri limitati di campioni e la loro affidabilità dipende da molti fattori.

Il vantaggio dei test antigenici è il basso costo e la rapidità. Tuttavia l’efficacia del loro impiego per uno screening nei luoghi di assembramento non dipende solo dalla disponibilità di test rapidi a basso costo, ma anche da un lavoro di coordinamento e sorveglianza a monte. Serve un sistema attrezzato per testare, tracciare e isolare i casi di covid-19.

L’India ha approvato tre test antigenici per uno screening di massa e ha già cominciato a farne uso per intercettare più casi e avere più informazioni sulla reale diffusione del contagio. Gli Stati Uniti ne hanno autorizzati quattro che hanno una sensibilità maggiore di quelli indiani. Devono essere prescritti da un medico e somministrati da un operatore sanitario. I 150 milioni di kit dell’ultimo test dell’antigene salivare della Abbott acquistati dall’amministrazione Trump, riporta Nature, saranno usati nelle scuole e in “altri gruppi di popolazione con bisogni speciali”, in una prima fase solo nelle persone sospette con i classici sintomi da 12 giorni o meno.

In caso di esito negativo l’Organizzazione mondiale della sanità e gli stessi Centers for disease control and prevention statunitensi consigliano di completare la diagnosi con il test molecolare Rt-Pcr, cioè il cosiddetto tampone.

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