L’altro inquinamento prodotto dalle automobili
La tempesta si è scatenata una sera di fine novembre del 2018. I primi schizzi di pioggia stavano bagnando le strade di Oakland, in California. Poi un crescendo di acqua ha cominciato a picchiare sui tetti, mentre le gocce scendevano dalle grondaie con suoni metallici. L’acqua piovana, riversandosi su strade e marciapiedi, cancellava il confine tra terra e mare, portando via rami, bottiglie di plastica, olio per motori e altro ancora, e riversandosi nella baia di San Francisco.
Alle 22.30 di quella sera, un pantano d’acqua industriale è emerso dall’oscurità vicino al palazzetto dell’Oakland Coliseum. La melma non era particolarmente evidente, nascosta dietro recinzioni metalliche. Ma il vasto parcheggio circostante lo rendeva perfetto per avere un’idea di tutta la roba che la pioggia aveva trasportato dalle strade della città. Tutta l’acqua caduta su cinque chilometri quadrati di asfalto, perlopiù sconnesso, era penetrata attraverso questa strettoia.
Rannicchiata in tenuta da pioggia su un cavalcavia, un’équipe di ricerca del San Francisco estuary institute (Istituto dell’estuario di San Francisco, Sfei) era pronta ad affrontare gli scrosci. Mentre il flusso d’automobili che trasportava gli spettatori di un concerto usciva dal parcheggio dell’Oakland Coliseum, i ricercatori hanno usato delle aste per il prelievo di campioni per risucchiare quasi 70 litri d’acqua piovana dal flusso sottostante.
Particelle dannose come le microplastiche
In seguito l’équipe ha scoperto nei suoi campioni una quantità sconvolgente di frammenti neri e gommosi. Nell’arco di tre anni, testando i liquidi di 12 punti d’uscita dell’acqua piovana e i sedimenti in venti siti intorno alla baia di San Francisco, ne hanno trovato una quantità più o meno uguale. Circa 7,2 migliaia di miliardi di particelle sintetiche si riversano ogni anno nella baia di San Francisco, spiega Rebecca Sutton, scienziata dello Sfei e capofila di questa ricerca. “Quasi la metà – e quindi una percentuale altissima – erano particelle gommose che, crediamo, provengono perlopiù da pneumatici”.
In California, dove la maggior parte dei pendolari si sposta con la propria auto, le conversazioni sull’impatto ambientale delle automobili di solito riguardano quello che esce dai tubi di scappamento. I veicoli elettrici sono venduti come soluzione al problema delle emissioni delle auto. Ma il lavoro dello Sfei ha ampliato il dibattito sull’impatto ambientale dei veicoli, includendovi gli pneumatici che rilasciano particelle vicino alle masse d’acqua.
Un’auto perde in media, ogni anno, tra tra 0,22 e 1,88 chili di frammenti di pneumatici
“L’acqua piovana non ha ricevuto molta attenzione da parte della comunità scientifica, se parliamo dello studio degli elementi contaminanti emergenti”, dice Sutton. Ma i frammenti gommosi di cui si occupa offrono milioni di ragioni per cui invece dovrebbe riceverla. Le particelle di gomma degli pneumatici nell’acqua possono danneggiare gli organismi acquatici e marini – proprio come fanno le altre microplastiche – anche attraverso l’esposizione chimica, il movimento all’interno del corpo di un animale e il bioaccumulo di tossine lungo la catena alimentare.
Con più di 51 milioni di pneumatici di scarto generati ogni anno in California, i gestori dei rifiuti stanno trovando delle soluzioni per riutilizzarli, anche se i ricercatori hanno appena cominciato a rendersi conto dell’impatto degli pneumatici nell’acqua piovana e nel riciclaggio. L’inquinamento da pneumatici, a quanto pare, potrebbe essere più serio di quanto immaginato finora.
Gli pneumatici hanno un problema che difficilmente potrà essere risolto a breve: si sfaldano. L’attrito della gomma sulle superfici abrasive è ciò che permette a un veicolo pesante di aderire alle strade e di fermarsi quando necessario, lasciandosi dietro piccoli frammenti di pneumatico. Da un’indagine del 2017 sulla letteratura scientifica di 13 paesi industrializzati e in via di industrializzazione emerge che un’auto perde in media, ogni anno, tra 0,22 e 1,88 chili di frammenti di pneumatici. Negli Stati Uniti, un paese dove l’uso dell’automobile è particolarmente diffuso, la quantità sale quasi a cinque chili.
Una volta gli pneumatici erano interamente di gomma naturale. Oggi contengono tra il 20 e il 60 per cento di gomma sintetica fatta di polimeri plastici. Gli ingredienti e le proporzioni sono generalmente coperte da brevetti, a seconda della marca, ma gli pneumatici solitamente includono anche zolfo, usato per vulcanizzare la gomma; ossido di zinco, per velocizzare la vulcanizzazione; cariche di rinforzo quali silice e nero di carbonio; e oli che aiutano la lavorazione. Fili d’acciaio e tessuto sono aggiunti per dare corpo agli pneumatici.
Il prodotto finito non è considerato tossico, ma alcuni singoli ingredienti lo sono, per esempio metalli pesanti come cadmio e piombo, oltre agli oli altamente aromatici (più comunemente noti come idrocarburi policiclici aromatici, o Ipa), che sono considerati cancerogeni in alcuni paesi. La miscela rende gli pneumatici un “ibrido mostruoso” – un termine coniato dagli scrittori ecologisti Bill McDonough e Michael Braungart – difficile da riciclare, che obbliga gli amministratori locali a trovare soluzioni per evitare che questi rifiuti intasino le discariche.
Alcune incongruenze
Poiché l’analisi dei frammenti di pneumatici nell’acqua piovana è relativamente nuova, questo campo di studi è pieno di incongruenze. Non esiste un protocollo prestabilito per misurare, raccogliere o definire le particelle di pneumatici, e non esiste un consenso su come chiamarle o sul loro aspetto. I ricercatori del Tire industry project (Progetto sull’industria degli pneumatici), sostenuti dai produttori di pneumatici, consumano singoli pneumatici su strada in laboratorio, aspirano le particelle che si formano durante questo processo, e poi identificano la forma e le dimensioni delle particelle con un microscopio elettronico a scansione e con la pirolisi, un metodo di riscaldamento che permette loro d’individuare gli ingredienti che compongono lo pneumatico.
“Le particelle che troviamo – un misto abbastanza bilanciato di pneumatico consumato e manto stradale – sono generalmente consistenti”, dice il responsabile di progetto Gavin Whitmore. “Sono a forma di sigaro e misurano cento micrometri, circa lo spessore di una banconota da un dollaro. Al contrario i frammenti trovati dai ricercatori dello Sfei erano di dimensioni e forma variabili. Sarah Amick dell’Associazione dei produttori di pneumatici degli Stati Uniti suggerisce che questo potrebbe significare che i frammenti provengono da strade asfaltate con isolanti a base di catrame di carbone o del trattamento superficiale chipseal. Tuttavia, il sigillante a base di catrame di carbone non è usato in California, e alcuni chipseal contengono pneumatici riciclati. È logico, dice allora Sutton, che le particelle di pneumatici trovate “in natura”, come quelle nelle acque di San Francisco, abbiano un aspetto diverso. Esposti agli elementi della natura, i frammenti possono degradarsi con modalità che non emergono dal lavoro di un laboratorio.
La minaccia rappresentata da questi frammenti di pneumatici al livello planetario sta cominciando a farsi sentire. Nel 2017 l’Unione internazionale per la conservazione della natura ha stimato che il 28,3 per cento delle microplastiche nell’oceano proviene dagli pneumatici. Ma il numero reale è probabilmente più alto. Uno studio pubblicato a luglio suggerisce che grandi quantità di frammenti di pneumatici si riversino nell’oceano non solo attraverso fiumi e corsi d’acqua, ma anche attraverso l’aria. Spinti dal vento, vanno alla deriva raggiungendo località lontane da quelle dove sono stati rilasciati. Lo studio segnala che il numero di particelle di pneumatici che stanno atterrando nell’Artide è tale da rappresentare un fattore di rischio nel cambiamento climatico. Facendo assumere alla tundra nevosa una tonalità di bianco meno riflettente, il ghiaccio inquinato dell’Artide potrebbe assorbire più luce e sciogliersi ancor più velocemente.
Nella catena alimentare
Dal momento che le particelle di pneumatici sono più dense dell’acqua di mare, l’équipe di Sfei ha scoperto che tendono ad affondare e ad accumularsi nei sedimenti vicino alle coste. In questo ricco ambiente vivono piccoli pesci, ostriche e altri animali alla base della catena alimentare. “Sono esposti in maniera piuttosto diretta”, spiega Sutton. Gli animali che si trovano alla base della catena alimentare potrebbero consumare frammenti nello stesso modo inconsapevole con cui ingeriscono altre microplastiche. Gli studi dimostrano che i pesci espellono oltre il 90 per cento delle microplastiche ingerite, ma la tossicità può comunque contaminare i loro tessuti e risalire la catena alimentare. Ricerche di laboratorio suggeriscono che la fauna marina colpita dall’inquinamento da plastica possa essere affetta da problemi respiratori e riproduttivi, danni cellulari e, in certi casi, possa addirittura morirne.
Le autostrade californiane di cemento e asfalto agiscono come grattugie sugli pneumatici
I ricercatori dell’Università di Washington a Tacoma e i loro colleghi sospettano che i frammenti di pneumatici possano danneggiare i salmoni argentati dei corsi d’acqua intorno a Seattle. Le piogge autunnali lavano le strade della città proprio mentre i salmoni risalgono a nuoto i torrenti dove vivono, per deporre le uova. Gli scienziati sanno da decenni che l’acqua piovana sta uccidendo questi salmoni, ma poiché essa contiene migliaia di possibili elementi contaminanti, è stato difficile finora capire quali producono effetti letali. I ricercatori si sono affidati a dei volontari, incaricati di chiamare il laboratorio quando avvistavano nel torrente dei salmoni che galleggiavano e ansimavano alla ricerca d’aria in superficie, prima di morire. Ma le osservazioni sul campo hanno indirizzato i ricercatori verso torrenti specifici, dove hanno testato l’acqua e hanno scoperto alte concentrazioni di sostanze chimiche presenti negli pneumatici, e che possono penetrare nell’acqua.
“I salmoni argentati sono enormi e hanno colori vivaci, quindi le persone possono facilmente vederli quando soffrono”, dice Sutton, osservando che i problemi del salmone potrebbero segnalarne altri sistemici. “Un pesce più piccolo”, dice, “potrebbe subire gli stessi effetti, ma non sarebbe possibile vederlo quando si attraversa un torrente piovoso”.
Una potenziale, ma anche potenzialmente problematica, soluzione per ridurre la dispersione degli pneumatici passa dal cambiamento della composizione del manto stradale. Le autostrade californiane di cemento e asfalto agiscono come grattugie sugli pneumatici.
Il riuso dev’essere sensato
Un giovedì di febbraio, poco prima dell’inizio del confinamento per il covid-19, raggiungo Matthew Souterre e Marissa Padilla per farmi un’idea di una possibile alternativa alle strade di superficie classiche a Escondido, una comunità residenziale a nord di San Diego, dove la coppia lavora per il dipartimento di servizi ingegneristici della città.
Souterre guarda nello specchietto retrovisore. “Marissa, dove ci porti dopo?”, chiede.
Padilla, sul sedile posteriore, mescola alcuni fogli. “La zona Miller-Alexander”, dice.
“La zona Miller…”, ripete Souterre con aria assente, fino a quando la sua memoria non si risveglia. Poi esegue un’inversione silenziosa, passando accanto ad alcuni bungalow dipinti in un neutro color sabbia.
Meno di un anno prima, Souterre e Padilla avevano usato un finanziamento dell’agenzia statale per il riciclo, CalRecycle, per evitare che 15.198 pneumatici finissero in discarica. I pneumatici sono stati trasformati in asfalto caldo per formare della pavimentazione gommata, che riduce il rumore del traffico e la dispersione di pneumatici, e accelera il drenaggio dell’acqua grazie alla sua porosità.
Arriviamo in una tranquilla strada residenziale, ed esco dall’auto per dare un’occhiata più da vicino al manto stradale. Sembra… manto stradale. Souterre e Padilla ne sottolineano i punti salienti: non ci sono erbacce che spuntano e non ci sono “alligatori”, ovvero quei punti dove il manto stradale si divide in lastre come la pelle di un rettile.
Mescolare vecchi pneumatici per asfaltare nuove strade è una soluzione di riuso totale adottata dalla California – che deve fare i conti ogni anno con decine di milioni di pneumatici usati destinati alle discariche. Nel 2005 il parlamento statale ha imposto il riciclo e il riuso degli pneumatici di scarto nel manto stradale dello stato, e si è prefissata l’obiettivo di gommare il 35 per cento delle nuove asfaltature a partire dal 2013. Gli esperti speravano che questo avrebbe anche ridotto l’inquinamento atmosferico, poiché l’usura degli pneumatici contribuisce al particolato trasportato dall’aria – aumentandolo fino al 30 per cento in alcune aree ad alto traffico – e la polvere può essere tossica per i polmoni umani. Ma Sutton teme che asfaltare le strade con pneumatici da automobile possa contribuire a scaricare i loro metalli pesanti e le loro sostanze chimiche in ecosistemi acquatici delicati.
“A dire il vero”, dice, “le domande che ci stiamo facendo a proposito degli pneumatici sono del tutto nuove. Non sono sicura che CalRecycle, nel suo tentativo di trovare nuovi modi di usare gli pneumatici, si sia posta domande del genere. Noi vogliamo risolvere il problema. Ma il riuso dev’essere sensato. Altrimenti creeremo solo un nuovo problema”.
I giardini della pioggia
CalRecycle ha recentemente finanziato uno studio per verificare se l’ossido di zinco del manto stradale gommato penetri nei corsi d’acqua della California, che in decine di casi superano occasionalmente i limiti fissati dal Clean Water Act per i metalli pesanti. Lo studio ha scoperto che i manti stradali gommati rilasciano effettivamente il 40 per cento in più di ossido di zinco rispetto a quelli non gommati. Ma è giunto alla conclusione, ancora insoddisfacente, che tra le cause potrebbero esserci anche altre fonti di ossido di zinco, tra le quali i frammenti di pneumatici. Non è stato quindi possibile attribuire con certezza la responsabilità ai pneumatici riciclati.
Tra le incertezze, un’alternativa immediata a bassa tecnologia è l’installazione di giardini pluviali nelle zone di deflusso stradale. L’acqua piovana si concentra in queste aree verdi, dove il terreno filtra e trattiene le particelle nocive prima che possano raggiungere le riserve naturali d’acqua. Il team dello Sfei sta effettuando test su diversi giardini pluviali nei dintorni di San Francisco. Un primo test sul campo mostra una promettente riduzione del 90 per cento delle particelle, compresi i frammenti di pneumatici. Un altro percorso di lungo periodo potrebbe essere quello di attaccare direttamente la fonte dell’inquinamento. Auto più leggere e limitazione della velocità, per esempio, contribuirebbero a ridurre la dispersione di pneumatici. Questi cambiamenti richiederebbero la collaborazione delle case automobilistiche, delle autorità di regolamentazione e dei consumatori. E forse il miglior posto per cominciare a fare qualcosa del genere è proprio la California dove, nel bene e nel male, s’intrecciano le coste e la cultura dell’automobile.
Alla fine del mio tour attraverso il comune di Escondido, Souterre mi dice di non essere a conoscenza di aspetti negativi dell’asfaltatura gommata. Da quanto ha potuto osservare, le persone l’apprezzano e spesso la richiedono dopo averla vista in altri quartieri. Escondido sta facendo del suo meglio per rispettare l’ambiente, dice, mentre passa davanti a nuove piste ciclabili e parcheggia l’auto ibrida comunale accanto al municipio. Se i rischi si rivelassero troppo alti, dice, spingerebbe per avere una soluzione migliore, qualora riuscisse a trovarne una. Ci stringiamo la mano e ci salutiamo.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito su Hakai Magazine.