I medici che sfidano il divieto di aborto negli Stati Uniti
Da alcune settimane Lauren Jacobson, infermiera statunitense di 31 anni, coordina quotidianamente la spedizione di una cinquantina di pacchi contenenti pillole abortive. Sulla maggior parte delle confezioni l’indirizzo di consegna riporta il nome di uno stato dove l’interruzione di gravidanza è vietata, come il Texas.
Jacobson, che prescrive personalmente le pillole attraverso un consulto a distanza, descrive la sua decisione come “una forma di resistenza attiva. Gli abitanti del Texas hanno gli stessi diritti umani e meritano le stesse cure di quelli del Connecticut”.
Questo sistema per ottenere la pillola abortiva è coordinato dall’organizzazione Aid access. Tra la metà di giugno e la metà di luglio, le spedizioni hanno permesso a 3.500 donne che vivono in stati dove l’aborto è fuori legge di ricevere pillole abortive prescritte da sette operatori sanitari americani, che hanno potuto partecipare all’iniziativa perché lavorano in uno dei cinque stati in cui sono in vigore le cosiddette leggi scudo: Massachusetts, Colorado, Vermont, New York e Washington.
Un rischio consapevole
Queste leggi sono state approvate in alcuni stati per proteggere il personale medico che effettua un aborto dove è legale da eventuali incriminazioni emesse negli stati dove è vietato o limitato, e prevedono il rifiuto di qualsiasi richiesta di estradizione o trasmissione dei documenti e la garanzia che la licenza e l’assicurazione sanitaria dell’operatrice non possano essere messe in discussione.
Eppure, nonostante queste norme, i rischi di essere denunciati non sono del tutto superati. “Un giorno qualcuno chiederà alla giustizia di pronunciarsi sulle leggi scudo”, spiega Jacobson, convinta che in futuro potrebbe essere processata per omicidio in Texas. Per precauzione, la donna evita di recarsi nella quindicina di stati in cui l’accesso all’aborto è stato limitato. “Effettivamente esiste un rischio, ma tutti noi lo affrontiamo consapevolmente”, aggiunge Jacobson, residente nel Massachusetts, dove il personale medico è autorizzato a eseguire interruzioni di gravidanza.
Per Jacobson i consulti online non sono “l’ideale” per occuparsi delle pazienti, ma almeno sono d’aiuto
La situazione è emblematica della battaglia in corso tra gli stati progressisti e quelli conservatori, dopo che la corte suprema ha annullato il diritto federale all’aborto, nel giugno del 2022. Con le leggi scudo gli stati democratici stanno cercando di limitare la portata dei divieti imposti negli stati repubblicani. In autunno anche la California potrebbe introdurre una sua legge.
L’associazione Aid access è stata fondata nel 2018 dalla medica olandese Rebecca Gomperts per spedire via posta la pillola abortiva dopo un consulto medico online. Nel 2019 la Food and drug administration aveva tentato di fermare l’iniziativa, ma la pandemia ha cambiato le cose: la telemedicina è diventata legale negli Stati Uniti e anche la spedizione del farmaco è stata agevolata, evitando all’associazione di doversi rifornire solo dall’India. Ma è solo dal 2022 che la medica Linda Prine, di New York, ha potuto trovare uno spiraglio legale per poter spedire le pillole anche negli stati antiabortisti senza che il personale sanitario subisca ritorsioni.
Oggi i tempi di consegna ci sono ridotti a pochi giorni, “perché possiamo inviare le pillole dagli Stati Uniti”, spiega Linda Prine. “Più tempestivo è l’aborto e più è sicuro”, aggiunge.
Sostegno alle pazienti
Il processo non richiede un videoconsulto. I sanitari esaminano le informazioni mediche inserite dalle pazienti sul sito di Aid access. Le pillole sono prescritte fino alla tredicesima settimana di gravidanza e sono consegnate a domicilio. Il servizio ha un costo di 150 dollari, che può essere ridotto nel caso in cui la paziente sia finanziariamente in difficoltà.
Secondo Linda Prine quasi un quarto delle pazienti non può pagare la somma per intero. “Figuriamoci se possono raggiungere uno stato democratico per abortire”.
Per Jacobson i messaggi online non sono certo “l’ideale” per occuparsi delle pazienti che le piacerebbe poter seguire di persona. “Ma almeno sono d’aiuto”. L’infermiera racconta il caso di un’adolescente rimasta incinta dopo uno stupro. “Le ho chiesto se si trova in una situazione sicura in casa. Le ho proposto di parlare al telefono, ma non è obbligata ad accettare”, spiega l’infermiera. “La cosa migliore che posso fare per lei è assicurami che non le accada nuovamente di portare avanti un’altra gravidanza come questa”.
Per le pazienti il rischio giuridico legato all’assunzione delle pillole negli stati conservatori è piuttosto ridotto. “Le leggi che vietano l’aborto colpiscono soprattutto le persone che lo eseguono” e spesso contengono “una clausola per specificare che la donna in stato di gravidanza non può essere perseguita”, spiega Elizabeth Ling, dell’associazione If/When/How, che offre consulenza legale alle donne che decidono di abortire da sole.
Eppure la possibilità di denunce e procedimenti legali esiste, perché alcuni procuratori usano capi d’accusa diversi come “feticidio” o “maltrattamento di minore”. Secondo Ling le donne non bianche sono particolarmente esposte al rischio di subire questo tipo di processi. Jacobson ritiene che la scelta di mantenere l’incertezza sui rischi faccia parte di una precisa strategia del campo conservatore. La paura “spinge le persone verso il silenzio e scoraggia gli operatori dal praticare apertamente queste cure”.
Prine, dal canto suo, non è “troppo preoccupata. Posso sopravvivere anche senza visitare il Mississippi o l’Alabama”, dice sorridendo. “Datemi la lista, resterò lontana da quegli stati”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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