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Fotografare il silenzio di Johannesburg

Quartiere Hillbrow, Johannesburg, 15 aprile 2020.
(Marco Longari, Afp)

Marco Longari, capo dell’ufficio fotografico dell’Agence France Presse (Afp) in Africa, vive a Johannesburg, JoBurg. Il 27 marzo, dopo l’introduzione del blocco, ha deciso di usare il banco ottico per raccontare la città in stato di “confinamento”, approfittando della calma che si era impossessata della metropoli e favoriva la concentrazione, la lentezza e i gesti precisi, indispensabili per la fotografia analogica.

Ma in città, a causa della chiusura delle attività commerciali, Longari ha trovato solo due pellicole in bianco e nero per la sua macchina fotografica. Armato di un panno, di un esposimetro e di un treppiedi, ha realizzato un lavoro che traduce lo spirito della città, privata dei suoi suoni come se avesse perduto il colore. Quello di Longari è il racconto di una peregrinazione, da leggere e ascoltare.

Davies street, quartiere Doornfontein, 10 maggio 2020.

Johannesburg, sei milioni di abitanti, è una città all’anglosassone, estesa e con un centro storico, racconta Marco Longari prima di paragonarla a Gerusalemme, dove ha vissuto dal 2007 al 2014. “Quello è un mondo a parte, incentrato sul conflitto e la religione. JoBurg invece è una città vera, con i problemi di tutte le città: inquinamento, traffico…”. Longari ama vivere qui. “Ci sono molte storie e interazioni. Naturalmente esistono contrasti reali e non bisogna mai abbassare la guardia. Ma non si può ridurre questa città all’insicurezza. Ci sono aree dove si può passeggiare tranquillamente e altre dove non è consigliabile farlo, ma lo stesso vale per Parigi, Roma, New York o Londra. JoBurg è viva, ha carattere. È piena di persone reali che lavorano e combattono”.

La città immobile
L’isolamento, racconta il fotografo, “ha come privato la città del suono. Sembrava di essere passati da un film a colori, con una colonna sonora e rumori vari capaci di trasmettere la vitalità, a un film muto e in bianco e nero”.

Con il banco ottico, Longari aveva l’impressione di avere davanti “una scena immensa” di cui poteva fare ciò che voleva, “perché la città in quel momento era immobile”. “Era importante valutare attentamente dove posizionare la macchina. Tutti gesti molto diversi dal lavoro quotidiano che svolgo come fotoreporter per l’Afp. Ho dovuto fare tutto più lentamente, e non avevo alcuna scadenza da rispettare. Ho ricreato i miei spazi. Mi posizionavo sotto il panno, puntavo l’obiettivo, controllavo l’inquadratura e poi scattavo. Sono tutti gesti che appartengono al fotografo del passato”.

A Johannesburg c’è soltanto una persona che stampa in bianco e nero

“Ho inquadrato il centro della città, dalla prospettiva di un grande viale deserto e i palazzi sullo sfondo. Ero contromano, e ogni tanto vedevo avvicinarsi un’auto solitaria. Ho messo la testa sotto il panno per poter inquadrare, e quando l’ho tirata fuori c’erano trenta persone affacciate alle finestre del palazzo dietro di me. Osservavano in silenzio, sembrava quasi che trattenessero il respiro per non fare rumore. Ho vissuto molte scene simili, in città. Le persone si muovevano attorno a me delicatamente, come se avessero colto lo spirito di quello che stavo facendo”.

I grattacieli dei quartieri Braamfontein e Hillbrow visti dal grande terminal degli autobus di Bree street, 7 maggio 2020.

“Questa foto è stata scattata dal secondo piano di un grande terminal degli autobus, solitamente pieno di persone. È uno dei principali snodi per la popolazione di Johannesburg. Sullo sfondo si vede un quartiere moderno del centro. Nel momento in cui ho scattato era vuoto, silenzioso, veramente strano”.

Poi è arrivato il momento di sviluppare le foto. A Johannesburg c’è soltanto una persona che stampa in bianco e nero, Dennis da Silva, uno specialista che ha lavorato con artisti di fama mondiale.

“Ma non voleva sentirne parlare, era isolato in casa. L’ho chiamato ogni giorno, fino a quando ha ceduto”, racconta Longari ridendo.

Il quartiere Braamfontein visto dal parcheggio dei taxi di Bree street, 7 maggio 2020.

“Alla fine ha aperto il suo laboratorio per me. Gli ho consegnato la prima parte della serie, dove c’erano alcuni errori. Mi ha chiamato e mi ha detto ‘Marco, ma che hai fatto?’. Gli ho risposto che gli avrei portato una seconda serie e sarebbe andata meglio. Alla fine era molto contento”.

“Siamo arrivati a metà strada nel confinamento. Sarà un lungo percorso e non abbiamo ancora raggiunto il picco dell’epidemia. Sento una grande responsabilità. Abbiamo l’occasione di essere testimoni di un avvenimento epocale. Ogni giorno dobbiamo scattare foto che aggiungono un mattone a questa storia che stiamo raccontando collettivamente, la storia di un momento che coinvolge miliardi di persone sulla Terra. Bisogna creare immagini che abbiano un senso, un’identità, una storia che parli alle persone. Mi sono trovato nel turbine della storia, con tutto ciò che bisogna fare lavorando per una grande agenzia di stampa come l’Afp. Ma ho cercato di ritagliarmi un momento per riflettere, osservare, trovare un altro punto di vista”. “Taglio il suono e ti invio l’audio, ok? Ciao!”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è stato pubblicato sul blog Making-of dell’Agence France Presse. Nel blog, giornalisti e fotoreporter raccontano il loro lavoro.

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