Abito in tessuto animalier e hijab color cannella, Naima Saida Salah, giornalista di Bilan Media, intervista il viceministro dell’istruzione somalo sulla mancanza di insegnanti donne nel paese. Al dibattito sono presenti anche una professoressa e una studente di scuola superiore. È il primo episodio di un programma televisivo e radiofonico, che la redazione di Bilan Media ha lanciato l’8 marzo per affrontare argomenti trascurati dai mezzi d’informazione. “Sarà una trasmissione mensile su temi d’interesse pubblico”, ci racconta la vicedirettrice di Bilan, Hinda Abdi Mohamoud. “Nel primo episodio chiediamo direttamente alle istituzioni per quale motivo ci siano così poche donne nelle scuole. L’anno scorso il governo ha lanciato un’iniziativa per assumere tremila nuovi insegnanti, di cui solo l’8 per cento donne”.

Fondata nel 2022 e finanziata dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Undp), Bilan è la prima redazione in Somalia formata solo da donne, che produce articoli, video e programmi radio destinati a un pubblico locale e internazionale. “Bilan significa ‘Fare luce’. Vogliamo accendere un faro sulle storie che ci interessano”, spiega Abdi Mohamoud. “La spinta a creare una redazione di sole donne nasce dalla necessità di esprimerci sui mezzi di informazione, dominati dagli uomini. Le giornaliste in Somalia sono discriminate, subiscono molestie e, non potendo ricoprire posizioni di rilievo, non hanno la possibilità di decidere quali argomenti seguire”.

Gli uomini possono entrare nella sede di Bilan Media solo su invito, spiega la vicedirettrice, sottolineando l’importanza di avere uno “spazio sicuro” in cui lavorare, fuori dallo sguardo maschile. “L’ufficio è riservato alle donne. Solo così abbiamo la completa libertà”, racconta Abdi Mohamoud. “Facciamo tutto noi, dalla scrittura al montaggio”.

La presenza del viceministro dell’istruzione nel primo episodio del programma è considerata un successo dalle giornaliste di Bilan, che spesso si sono viste annullare le interviste. “Facciamo fatica a convincere le autorità a parlare con noi o a partecipare ai nostri dibattiti perché siamo donne”, spiega la vicedirettrice.

In occasione di un discorso per l’8 marzo, il presidente Hassan Sheikh Mohamud ha parlato del ruolo cruciale svolto dalle donne nella storia recente del paese e si è augurato una maggiore parità di genere. Tuttavia, la Somalia non ha mai ratificato il protocollo di Maputo, la carta dei diritti delle donne adottata dall’Unione africana nel 2003 e, nonostante nel 2018 il parlamento abbia provato a introdurre una legge sugli abusi domestici, ancora non esiste una legge contro la violenza di genere.

Proteste contro i femminicidi
A inizio febbraio Naima Said Salah, una delle giornaliste di Bilan, ha seguito per il Guardian una protesta esplosa a Mogadiscio dopo l’omicidio di tre donne, uccise dai mariti nell’arco di una settimana. Una di loro, Lul Abdi Aziz Jazira, 28 anni, è stata bruciata viva, lasciando sei figli. Sospettato fin dall’inizio, il marito è stato recentemente arrestato. La presidente del Centro per lo sviluppo delle donne somale, Maryam Taqal Huseina, dice Said Salah, ha dichiarato che le contestazioni continueranno: “Qui ci si aspetta che le donne stiano in silenzio, invece continueremo a farci sentire finché non vedremo un cambiamento”.

La Somalia è tra gli ultimi paesi al mondo per livelli di istruzione, salute e tenore di vita. Gli attacchi del gruppo terroristico Al Shabaab e i fenomeni climatici estremi rendono difficile la vita per tutti i somali, ma ancora di più per le donne, poco protette dallo stato e discriminate dall’estremismo religioso e da una società patriarcale. Secondo l’ultima indagine demografica e sanitaria delle Nazioni Unite (Shds), il paese è al quartultimo posto per l’uguaglianza di genere nel mondo. Sono ancora molto diffusi i matrimoni precoci e, nonostante sia illegale, il 99,2 per cento delle donne tra i 15 e i 49 anni subisce mutilazioni genitali.

La disparità di genere riguarda anche la politica: le deputate sono solo il 20 per cento, contro il 30 per cento previsto dalla legge. Lo scorso 8 marzo la rappresentante delle Nazioni Unite per la Somalia, Catriona Laing, ha chiesto alle autorità di garantire l’inclusione delle donne in parlamento.

Anche la libertà di stampa è precaria. Con più di cinquanta giornalisti uccisi dal 2010, la Somalia è considerato il paese africano più pericoloso per i giornalisti. È al 141° posto su 180 nel Press freedom index 2023 di Reporters sans frontières (Rsf), a causa della corruzione e dell’insicurezza diffusa. Il sindacato dei giornalisti somali (Sjs) ha dichiarato che in un anno sono stati arrestati 63 reporter, quattro sono stati uccisi e due emittenti radio sono state chiuse.

“Abbiamo superato ostacoli enormi per diventare giornaliste, subendo le minacce dei funzionari governativi e dei gruppi estremisti religiosi”, spiega al Guardian, Fathi Mohamed Ahmed, giornalista di Bilan. Nonostante le difficoltà, in due anni di lavoro, Bilan si è affermata a livello internazionale. “Affrontando ogni giorno ostilità e pregiudizi, abbiamo dimostrato che le donne possono fare un giornalismo di valore. I nostri servizi in somalo attirano regolarmente un pubblico di migliaia di persone perché sfidano i tabù e raccontano fatti che nessuno ha mai raccontato prima”, ha detto la vicedirettrice Abdi Mohamoud a Internazionale.

Parlando di temi come la diffusione dell’hiv, l’abuso di oppioidi o le scarse opportunità di studiare per le ragazze, le giornaliste sono riuscite in alcuni casi a convincere il governo a intervenire, o le ong locali e internazionali a lanciare progetti specifici.

Quest’anno Bilan prevede di espandersi in tutti gli stati federali del paese, assumendo venti nuove giornaliste e offrendo dieci borse di studio, con l’obiettivo di coprire anche le zone rurali, trascurate dai mezzi di informazione tradizionali. La redazione è un modello per altre realtà in cui le donne si sentono poco rappresentate. Come dice Fathi Mohamed Ahmed, “Bilan deve diventare globale. Se si può creare una redazione interamente femminile in Somalia, lo si può fare in qualsiasi altra parte del mondo”.

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