Il 20 agosto, dopo 12 anni, si è conclusa la sorveglianza europea nei confronti della Grecia. Alla fine di giugno la Commissione europea ha deciso che
lo stretto controllo imposto nei confronti di Atene dal 2010 non è più giustificato, dopo che a fine aprile il governo ha restituito in anticipo al Fondo monetario internazionale (Fmi) l’ultima tranche (1,58 miliardi di dollari) del prestito ricevuto. “Dopo dodici anni […] si chiude un capitolo difficile per il nostro paese”, ha dichiarato il ministro delle finanze Christos Staikouras. “La Grecia torna a una normalità europea e non sarà più un’eccezione nell’eurozona”.
Nonostante le rassicurazioni offerte dal primo ministro di destra Kyriakos Mitsotakis, i greci non credono a un ritorno alla normalità e non riescono a
cancellare dalla memoria un decennio che per loro è sinonimo di crollo, impoverimento, regressione e umiliazione. Ci vorranno decenni prima che il paese si riprenda dalla terapia d’urto che gli è stata imposta e che ha portato danni colossali.
La Commissione europea, dal canto suo, si limita a ignorare il problema. In una lettera firmata dal vicepresidente Valdis Dombrovskis e dal commissario
all’economia Paolo Gentiloni, Bruxelles sottolinea che il governo greco ha rispettato la maggior parte degli impegni presi. Questo è l’elemento essenziale per l’Europa, che per quanto riguarda tutto il resto non ha voglia di dilungarsi sull’argomento.
Una storia vecchia
Dopo la fine del piano di salvataggio europeo, nel 2018, è stato fatto di tutto per dimenticare la Grecia. Ma al pari dei greci, nemmeno gli europei hanno dimenticato la crisi greca. Quell’evento resta una ferita nella costruzione europea, perché è il momento in cui l’Unione ha cambiato la propria natura: da un insieme di paesi liberamente associati è diventata un’assemblea di creditori e debitori. Bruxelles si è arrogata un diritto di coercizione senza limiti, imponendo le sue regole e i suoi punti di vista in nome della difesa della moneta unica e dell’integrità dell’eurozona.
Quel precedente è rimasto impresso nella mente di tutti. La dinamica di adesione e sostegno è svanita, forse per sempre. In occasione del suo ultimo viaggio ad Atene, nell’ottobre del 2021, l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel, considerata in Grecia come la principale responsabile della gestione della crisi greca, ha offerto qualche parola di scuse. Ammettendo che quello era stato “il momento più difficile” del suo mandato, Merkel si era detta consapevole “delle limitazioni e delle sfide a cui i greci sono stati costretti” durante gli anni dell’austerità
imposta al paese.
I programmi della troika invece che risanare il paese hanno salvato le banche tedesche e francesi
Prima di Merkel, il Fondo monetario internazionale, componente della famosa troika incaricata di supervisionare i piani di rigore imposti alla Grecia, aveva pubblicato diversi rapporti sull’argomento. Le conclusioni sono state nette: i programmi, basati su modelli sbagliati e falsati, sono stati un fallimento per la Grecia. Più che risanare il paese, sono serviti soprattutto a salvare le banche tedesche e francesi che dopo la creazione dell’euro, nel 2000, si erano esposte scriteriatamente nel paese. Nei rapporti si legge addirittura che l’Fmi non avrebbe mai dovuto partecipare a quella manovra, con l’esortazione a non
ripetere mai più quell’errore.
La Banca centrale europea (Bce), altro componente della troika, non ha mai commentato quell’esperienza, limitandosi a far sapere che non avrebbe agito
nuovamente nello stesso modo. Quanto alla Commissione europea, non ha tratto alcun insegnamento dalla vicenda, nemmeno a proposito del funzionamento opaco e antidemocratico dell’eurogruppo, denunciato con forza dall’ex
ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis. Per la Commissione, la Grecia è una storia vecchia.
Un prezzo salatissimo
Tutto questo perché nessuno ha intenzione di rivendicare un bilancio disastroso. Il pil della Grecia, che nel 2008 ammontava a 355,9 miliardi di dollari, nel 2021 si è ridotto a 216,2 miliardi, con un crollo del 39 per cento. Una traiettoria mai vista in un paese appartenente a una zona economica sviluppata. Il debito pubblico, anziché ridursi, è aumentato: nel 2012 rappresentava il 110 per cento del pil, mentre oggi supera il 200 per cento. Eppure quello che un tempo rappresentava un problema per l’Europa oggi non sembra più preoccupante, perché lo stato genera un’eccedenza di bilancio sufficiente per rimborsare i creditori.
Questo processo ha avuto un prezzo salatissimo: la distruzione completa dello stato sociale greco. I servizi pubblici, a cominciare da ospedali, scuole e università, sono stati smantellati. Il diritto al lavoro è stato cancellato, come tutte le protezioni sociali. Una sequenza di oltre quindici riforme pensionistiche ha
portato a un taglio di oltre il 30 per cento delle pensioni dei greci. Tutto ciò che si poteva privatizzare è stato privatizzato, senza tenere conto delle conseguenze. Con colpevole ritardo, oggi la Commissione europea si pente di aver sottovalutato la strategia di espansione cinese e di aver permesso a Cosco shipping di assumere il controllo del porto del Pireo.
Nel frattempo si attendono ancora le riforme fiscali: in Grecia i grandi patrimoni, da quelli degli armatori a quelli della chiesa ortodossa (proprietaria di un’infinità di terreni), restano tra i principali evasori. Eppure questo tema sembra non far parte delle priorità europee. Certo, la disoccupazione si è ridotta – nel 2016 aveva raggiunto il 27 per cento, mentre oggi non supera il 12,5 per cento – ma al prezzo di una precarizzazione dell’impiego e soprattutto di un esodo massiccio della popolazione. Demoralizzati e senza futuro, cinquecentomila giovani, in gran parte altamente qualificati, hanno lasciato il paese nel corso dell’ultimo decennio. La Grecia è ormai il paese dell’eurozona con la percentuale maggiore di persone maggiori di 65 anni (22 per cento).
Secondo i modelli proposti, Atene avrebbe dovuto ritrovare la crescita e recuperare terreno a partire dal 2019, ma l’arresto dell’economia mondiale provocato dal covid-19 ha stravolto le previsioni. In assenza di entrate turistiche, l’economia greca è crollata nuovamente. Alla fine del 2012 l’Fmi prevedeva una
crescita attorno al 6 per cento, mentre la Commissione europea pronosticava un 3-4 per cento per il 2022-2023.
Con la ripresa del turismo, il governo greco prevede un’annata da record. Ma non reinveste il denaro nel resto dell’economia
La guerra in Ucraina, con la conseguente impennata dei prezzi dell’energia, ha nuovamente stravolto i piani. A giugno l’inflazione ha raggiunto il 12,1 per cento, il livello più alto dal novembre 1993. Benzina, elettricità, alloggi, trasporti, cibo. Le famiglie greche non riescono più a sopravvivere perché i salari sono troppo bassi. La vita quotidiana diventa sempre più difficile. Le vacanze sono ormai un lusso inaccessibile. All’inizio dell’anno il governo aveva approvato un programma di aiuti da 6,5 miliardi che si è rivelato insufficiente. All’inizio di maggio Atene ha introdotto un aumento del salario minimo di 50 euro, portandolo a 713 euro lordi al mese. Ma i conti continuano a non tornare, spiegano i sindacati chiedendo che il salario minimo arrivi almeno a 825 euro al mese. Anche a quel livello, tra l’altro, resterebbe inferiore rispetto ai livelli del 2008.
Secondo diversi economisti la Grecia è bloccata in una trappola di povertà, con lavori sottoqualificati, precari e mal retribuiti. La crisi del debito ha ulteriormente amplificato questa tendenza. Incoraggiati dagli esperti della Commissione, i governi che si sono alternati nel paese hanno fatto di tutto per accelerare lo sviluppo del turismo, la fonte di reddito più semplice e rapida. Il settore è più che mai il principale motore dell’economia. Con l’arrivo degli europei e degli americani in estate, il governo prevede un’annata da record, con incassi ben superiori ai 13 miliardi di euro dell’anno scorso. Ma questo denaro non viene reinvestito nel resto dell’economia.
La crisi delle banche
Già debolmente industrializzata prima della crisi del debito, la Grecia ha accumulato ulteriore ritardo. Il tasso d’investimenti è uno dei più bassi d’Europa e diversamente da tutti gli altri paesi dell’eurozona è rimasto invariato per tutto il corso del decennio scorso. In Grecia mancano gli sbocchi, la domanda e il credito.
Il sistema bancario è ancora appesantito da mancati pagamenti e crediti non rimborsati. Il problema è sostanzialmente lo stesso di dieci anni fa: il volume dei crediti tossici non è calato e si aggira intorno al 30 per cento. La maggioranza delle piccole e medie imprese che formano il tessuto economico del paese è considerata in situazione di fallimento o semifallimento.
La Bce ha tagliato fuori dal sistema europeo le banche greche per evitare un contagio della crisi, abbandonandole al loro destino
I piani europei e gli investimenti della Bce avrebbero dovuto contribuire al risanamento delle banche greche, ma nei fatti la Banca centrale si è accontentata di tagliarle fuori dal sistema bancario e finanziario europeo per evitare un contagio della crisi, abbandonandole al loro destino. L’incapacità delle banche greche di garantire il finanziamento dell’economia rischia di avere conseguenze nefaste per lo sviluppo del paese, tanto più che il governo non potrebbe sostenerle anche se volesse (cosa tutt’altro che assodata).
Anche se Atene si finanzia ufficialmente sui mercati, in realtà la sua sorte è legata al programma di acquisto dei titoli della Bce, che assicura il finanziamento indiretto dello stato. Ma questo non impedisce alla Grecia di presentare il tasso d’interesse più elevato dell’eurozona, oltre il 3 per cento.
Nel quadro dei programmi di rilancio e di sostegno avviati all’epoca della crisi sanitaria, la Grecia è diventata uno dei maggiori beneficiari del denaro europeo. Atene riceverà 17,8 miliardi di fondi di garanzia e 12 miliardi di prestiti. Inoltre il paese è una delle destinazioni principali dei progetti climatici e di quelli per lo sviluppo dell’economia digitale. Con grande pubblicità e dichiarazioni altisonanti, a metà del 2021 il primo ministro greco ha annunciato il lancio del programma “Grecia 2.0”. Grazie ai fondi europei il paese avrebbe dovuto cambiare modello ed entrare con decisione nell’economia del futuro.
Da allora la guerra in Ucraina, l’inflazione e le tensioni sociali sembrano aver spinto il governo a ridimensionare le sue ambizioni. Atene non parla più di cambiare modello, ma al contrario sembra cercare di riproporre le stesse pratiche del passato: le modalità di distribuzione di aiuti e finanziamenti garantiti dall’Europa favoriscono unicamente le grandi aziende (anche quelle straniere) che rappresentano solo una piccola parte dell’economia. Tutte le piccole e medie imprese sembrano escluse dal meccanismo. Davanti a questi sviluppi la Commissione europea, incaricata di controllare il corretto svolgimento dei suoi
programmi, non ha reagito. Ma questa sembra ormai un’abitudine quando si parla della Grecia, a prescindere dal contesto.
Bruxelles non ha nulla da dire sulle condizioni di accoglienza e il trattamento riservato ai profughi che sbarcano sulle coste greche, e non sembra minimamente preoccuparsi per lo spionaggio operato dai servizi di sicurezza interna su deputati ed eurodeputati dell’opposizione. Lo stesso silenzio copre tutte le misure adottate da un governo molto a destra che attacca la libertà delle università, la libertà di espressione e la libertà d’informazione.
La Grecia figura ormai in coda al gruppo dei paesi democratici in materia di libertà di stampa. Questa crisi democratica che ha accompagnato il trauma dell’austerità sembra lasciare indifferente l’Europa. Ufficialmente la Grecia fa ancora parte dell’eurozona e l’integrità dell’Unione e della sua moneta è stata salvata. Ma a parte la moneta, è come se Atene fosse uscita dall’Ue.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito sul sito francese Mediapart.
Leggi anche:
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it