Quando visito un posto nuovo spesso mi trovo a fantasticare sulla possibilità di ricominciare da capo lì. È una sensazione che si insinua dentro di me, com’è successo l’estate scorsa mentre percorrevo a piedi un sentiero che costeggiava l’oceano Pacifico a Victoria, in Canada. Passeggiando tra bambini allegri, artisti di strada che strimpellavano la chitarra e cani senza guinzaglio che non abbaiavano mai, sentivo crescere il desiderio di trasferirmi lì.

Nella zona di Cook street, a Victoria, quel desiderio è diventato ancora più forte. Gli edifici erano così carini da meritare di finire su Pinterest, dalle finestre dei ristoranti uscivano risate e profumo di pizza e le automobili sembravano frenare prima ancora che io pensassi di voler attraversare la strada. “Potrei vivere qui”, ho pensato, scattando foto ai cartelli di case in vendita per segnarmi il nome delle agenzie immobiliari.

Mi sento ipocrita a confessarlo, visto che ho scritto un libro sull’importanza di imparare ad apprezzare la città in cui si vive. Per quanto ci provi, non riesco a liberarmi dell’idea della “cura geografica”: la promessa che fare i bagagli e trasferirmi in un altro posto potrà cambiare la mia vita in meglio.

Dal punto di vista psicologico, è un po’ come se ci stessero dando una seconda possibilità

Nella città in cui viviamo, spesso abbiamo la sensazione di sapere com’è andata a finire la nostra storia: un lavoro fantastico, se non fosse per un capo psicotico; il bassotto del vicino che abbaia solo tra le due e le sei del mattino; i bar che chiudono prima che faccia buio. Vivere a lungo nello stesso posto ci fa scoprire i suoi punti deboli, un po’ come quando scopriamo solo quando ci andiamo a vivere insieme l’abitudine grottesca del nostro partner di pettinarsi i peli del naso.

Una nuova città invece è la versione geografica di un’infatuazione, allettante e piena di promesse che non sono state ancora messe alla prova. Perciò finiamo per credere che il modo migliore per ricominciare da capo sia fare i bagagli e trasferirci in un altro posto, dove potremmo trovare un lavoro più stimolante, estinguere i nostri debiti, cominciare a uscire con un ragazzo più carino, fare yoga e finalmente realizzarsi.

Riscoprire i vicini
C’è un fondo di verità nel mito della cura geografica, perché vivere in una nuova città inevitabilmente cambia la vita. Quando mi sono trasferita dall’Iowa al Texas sono cambiate molte cose, dal modo in cui trascorrevo il tempo libero al cibo che mangiavo. Come sottolinea l’autrice GretchenRubin, l’energia generata da un trasferimento ci aiuta a cambiare le nostre abitudini – come perdere peso o smettere di fumare – forse perché, dal punto di vista psicologico, è un po’ come se ci stessero dando una seconda possibilità.

Se da una parte la felicità che proviamo in un posto è il frutto della nostra percezione, alcuni fattori come il costo della vita o il clima sono misurabili: in una città che si adatta meglio alle vostre esigenze vi sentirete senz’altro più felici.

Il problema, però, è che spesso sovrastimiamo la nostra felicità in un ambiente nuovo. Da uno studio dello psicologo Daniel Kahneman, autore del libro Thinking, fast and slow, emerge che chi vive nel Midwest pensa che gli abitanti del sud della California siano più soddisfatti, in particolare grazie al clima e all’offerta culturale. Mentre in realtà entrambi i gruppi hanno espresso un livello simile di soddisfazione generale.

Come mai? Secondo Kahneman, una “messa a fuoco illusoria” ci fa sembrare alcune differenze tra un posto e l’altro (come prodotti migliori o la vicinanza all’oceano) più importanti di quanto non siano in realtà: trasferirsi nell’assolata California può sembrare il massimo per uno che viene dal Minnesota e non ne può più dell’inverno, ma dopo due anni l’entusiasmo potrebbe svanire.

Inoltre un trasferimento spesso è associato ad alti livelli di stress e a un minor numero di relazioni sociali. Cambiare spesso città ha un effetto negativo in particolare sugli adolescenti, che ottengono voti più bassi, hanno meno amici e sono più inclini all’uso di alcol e droga.

Perciò se è vero che la cura geografica sembra offrirci una via d’uscita dai nostri problemi, ci priva anche del nostro capitale sociale, quell’insieme di relazioni e legami che secondo gli studiosi ci rendono felici. Si rompe la fiducia, la credibilità e i rapporti che abbiamo creato nel corso degli anni con il vicinato, un tipo di legame collegato spesso a benefici per la salute, compreso una minore probabilità di infarto.

Non c’è dubbio che rimanere nello stesso posto non è molto eccitante. Tuttavia occorre del tempo per sviluppare l’attaccamento a un luogo, quel sentirsi a casa ed emotivamente legati al posto in cui viviamo. Quando ci sradichiamo in cerca di una vita migliore mandiamo tutto questo in corto circuito.

Io stessa mi sono innamorata del mito della cura geografica molte volte. Siamo al nostro quinto stato, e tutte le volte mi sono ritrovata a riporre tante speranze nella nuova città.

La speranza è una bella cosa, ma l’azione è anche meglio. Perciò la prossima volta che vi troverete a viaggiare verso una nuova destinazione allettante, pensate alle cose che vi affascinano di quel posto e cercate di trovare le stesse qualità nella città in cui abitate. Se non riuscite a smettere di pensare alla natura quando siete in vacanza, forse avete bisogno di programmare nel fine settimana qualche campeggio in più nei dintorni della vostra città. Se trascorrete il 70 per cento della vostra vacanza a recensire ristoranti su Yelp, potete fare lo stesso nella vostra città, provando tutti i ristoranti e scegliendo i vostri preferiti.

E se poi vi trasferite davvero, legatevi il più possibile alla nuova città. Ma non pensate che questo possa risolvere tutto. Perfino il potere curativo del profumo di pizza ha dei limiti.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito su Quartz.

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