Lo sciopero dei medici keniani va avanti ormai da quasi tre mesi e le due parti si trincerano nelle loro posizioni. Il governo si rifiuta di cedere alle richieste dei dottori e ha perfino dichiarato illegale lo sciopero. Questo ha portato all’arresto e alla detenzione di vari medici.

I circa cinquemila medici che partecipano all’agitazione sindacale sono determinati. Dal loro punto di vista, il governo sta abusando della magistratura per costringerli a tornare al lavoro, invece di affrontare i problemi all’origine. Dicono che torneranno al lavoro solo se verrà raggiunto un accordo sul contratto collettivo firmato nel 2013, che parla, tra l’altro, di un orario di lavoro equo, di ambienti di lavoro e apparecchiature migliori, di formazione, ricerca e stipendi.

L’arresto e la breve detenzione di alcuni leader sindacali ha spinto anche i medici del settore privato a unirsi ai colleghi del pubblico interrompendo per 48 ore l’erogazione dei servizi negli ospedali e nelle cliniche private.

La crisi della sanità pubblica
I keniani hanno subito gravi conseguenze per lo sciopero in corso. Milioni di persone non hanno potuto farsi curare negli ospedali pubblici.

Secondo i dati raccolti a livello nazionale, le visite ambulatoriali nel dicembre del 2016 sono state circa la metà della media dei sei mesi precedenti (4,6 milioni contro 8,3 milioni). Inoltre il numero mensile di ricoveri si è ridotto a meno di un terzo rispetto ai sei mesi precedenti (6.300 contro una media di 20mila). Milioni di malati non sono quindi riusciti a farsi curare nelle strutture pubbliche.

La conseguenza più grave è che molte persone sono morte o sono rimaste disabili perché non hanno ricevuto le attenzioni necessarie. Molti si sono rivolti agli ospedali privati, a rischio di contrarre grossi debiti.

Lo sciopero ha significato dei ritardi anche per la formazione dei tirocinanti. Le lezioni nelle facoltà di medicina sono sospese finché gli ospedali non ricominceranno a funzionare. Molti dei medici che avevano previsto di laurearsi quest’anno non riusciranno a farlo, e questo peggiorerà una situazione già critica perché nel paese non ci sono abbastanza dottori (attualmente in Kenya ci sono 17 medici ogni centomila abitanti, contro i cento raccomandati dall’Organizzazione mondiale della sanità).

Sette medici condannati
Agli occhi dei keniani il governo non sembra fare abbastanza per mettere fine allo sciopero. La decisione, il 13 febbraio, di incarcerare sette leader del sindacato dei medici non ha fatto altro che alimentare la tensione. Nella settimana precedente la condanna, si sperava che lo sciopero potesse risolversi in modo consensuale grazie all’operato di una commissione istituita dal tribunale del lavoro con il compito di negoziare con i leader del sindacato.

Ma questa speranza è svanita al momento della sentenza. Giudicati colpevoli per non aver messo fine allo sciopero da una giudice di Nairobi, i sette sindacalisti sono stati ammanettati, portati via e rinchiusi in prigioni separate. Sono stati liberati solo al terzo giorno di detenzione, dopo che la corte d’appello ha obbligato le parti a riprendere i colloqui. I mediatori del sindacato dei medici hanno fino al 2 marzo per raggiungere un accordo con il governo.

I dottori si sono comunque trincerati nelle loro posizioni. Per la maggior parte di loro si tratta di una battaglia personale, poiché hanno sperimentato in prima persona le condizioni deprimenti del sistema sanitario keniano.

Le radici dello sciopero
La promulgazione nel 2010 di una nuova costituzione in Kenya ha sancito il diritto di ogni lavoratore a iscriversi a un sindacato. Un anno dopo i medici hanno registrato il Sindacato dei medici, dei farmacisti e dei dentisti del Kenya per ottenere migliori condizioni di lavoro, e un sistema sanitario di livello superiore.

Il primo sciopero del sindacato è stato nel dicembre del 2011. È durato una settimana, al termine della quale è stato raddoppiato il salario minimo dei medici. Il governo si era impegnato anche ad affrontare le questioni rimaste in sospeso nel giro di pochi mesi.

Il primo punto era il miglioramento delle cure offerte negli ospedali pubblici. Le principali raccomandazioni di una commissione di studio creata per l’occasione riguardavano le strutture, le attrezzature e le risorse umane. Non è stato fatto nulla per realizzarle. Il secondo punto riguardava il contratto collettivo nazionale tra il sindacato dei medici e il governo. L’accordo – che prevedeva aumenti di stipendio dell’ordine del 180 per cento – doveva essere attuato tra luglio del 2013 e giugno del 2015, ma non è mai entrato in vigore.

Nel periodo successivo, il sindacato e il governo sono stati coinvolti in colloqui ininterrotti, i tentativi di mediazione sono falliti ed entrambe le parti si sono rivolte ai tribunali. Alla fine il sindacato ha perso la pazienza e a novembre del 2016 ha intimato che se l’accordo non fosse stato attuato entro 21 giorni i suoi iscritti avrebbero cominciato uno sciopero.

Ora i medici sono determinati ad andare avanti. Pensano che le loro richieste siano importanti non solo per il loro benessere, ma anche per il futuro della sanità in Kenya.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito sul sito The Conversation.

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