Le startup della cosiddetta gig economy (un modello economico basato su prestazioni lavorative temporanee) sono molto criticate per il modo in cui trattano i loro lavoratori. Aziende come Uber e Postmates sostengono che i loro collaboratori sono lavoratori autonomi o appaltatori indipendenti più che dei dipendenti a tempo pieno. A questa flessibilità si affianca la mancanza di servizi e di sicurezza sul lavoro che i lavoratori si aspettano dalle aziende.
Un’inchiesta recente del New York Times ha scoperto che Uber sta sperimentando le scienze comportamentali per spingere i lavoratori (teoricamente indipendenti) a lavorare più ore, a volte in orari e in posti meno redditizi.
Per poter continuare a dire che il loro personale non è in realtà il loro personale, è importante che queste aziende mantengano questa facciata, sono tutti gli aspetti. Il Financial Times è venuto in possesso di un documento che illustra le linee guida linguistiche di Deliveroo, un’azienda di consegne a domicilio con sede nel Regno Unito. Il documento mostra fino a che punto le aziende della sharing economy si spingono pur di limitare il rapporto di lavoro e le responsabilità verso i loro lavoratori.
Le sei pagine di “cose da dire e da non dire” spiegano allo staff di Deliveroo come rivolgersi ai propri corrieri (anche se l’azienda preferisce chiamarli “fornitori indipendenti”). Espressioni come “vi paghiamo ogni due settimane”, per esempio, vanno evitate e sostituite con la formula “le fatture dei guidatori sono processate a cadenza quindicinale”.
La scelta delle parole ha delle conseguenze per i rider che lavorano con Deliveroo: definendoli “fornitori indipendenti”, l’azienda non è obbligata a garantire i benefici previsti dal diritto britannico.
A marzo venti corrieri di Deliveroo hanno citato in giudizio l’azienda, sostenendo di essere stati erroneamente classificati come lavoratori autonomi e di aver diritto a ferie pagate, congedo malattia e salario minimo. Lo studio legale che li assiste sostiene che sono dei dipendenti, perché devono fare un turno di prova, indossare una divisa, sono pagati a tariffa fissa e valutati in base alle prestazioni.
Adesso il governo britannico sta sostenendo che forse aziende come Deliveroo esercitano sui propri lavoratori un controllo tale da non permettere di definirli appaltatori indipendenti, e ha commissionato una relazione per verificare se le norme sul lavoro debbano essere aggiornate per riflettere le realtà della nuova economia della condivisione.
L’amministratore delegato di Deliveroo, Will Shu, è pronto a dare battaglia su questo punto: “Non tocca a me decidere quale sia la definizione di ‘lavoratore autonomo’. Se mi chiedete se vogliamo dare ai corrieri un certo livello di sicurezza, e non solo flessibilità, la risposta è sì. Ma dovremo lavorare con il governo per decidere che cosa significa davvero ‘lavoratore autonomo’”.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito su Quartz.
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