In Iran i riformisti scelgono il male minore
I due principali leader del fronte riformista iraniano – l’ex primo ministro Mir Hossein Mousavi e l’ex presidente del parlamento Mehdi Karoubi, agli arresti domiciliari dal 2009 – hanno annunciato che appoggeranno la rielezione del presidente Hassan Rohani. È un tentativo di conquistare i voti degli elettori che non credono più alla possibilità di un vero cambiamento.
Nel 2013 Rohani ha ottenuto una vittoria schiacciante promettendo di far uscire il paese dallo stato di isolamento internazionale e una maggiore apertura della società civile. Durante il primo mandato ha puntato tutto il suo capitale politico sull’accordo sul nucleare, che prevedeva la riduzione del programma atomico in cambio della fine delle sanzioni internazionali. Eppure, guardando alla politica interna e alle promesse di un maggior rispetto dei diritti umani, anche i suoi sostenitori concordano che i progressi compiuti sono stati modesti.
Alcuni riformisti accusano il presidente di non aver agito concretamente per limitare il potere delle forze di sicurezza e ridurre le restrizioni sul modo di vestirsi, comportarsi e riunirsi degli iraniani.
Eppure, nonostante i modesti successi di Rohani in campo sociale, Ardeshir Amir-Arjomand – portavoce dei due leader agli arresti domiciliari – conferma che Mousavi e Karoubi, come hanno fatto nelle elezioni precedenti, si schiereranno per il candidato indicato dal fronte riformista.
Altri dicono che voteranno Rohani, ma con riluttanza. ‘Lui stesso è parte del sistema. Votiamo per il minore dei mali’
La candidatura di Rohani ha ottenuto anche l’appoggio dell’ex presidente Mohammad Khatami, che si è espresso attraverso sul suo sito. Khatami è considerato la guida morale dei riformisti, ma i mezzi d’informazione iraniani hanno il divieto di pubblicare una sua foto o di nominarlo.
I pareri di Mousavi e Karroubi sono di grande rilevanza per l’elettorato, che segue sul web le loro indicazioni con entusiasmo. I due, candidati alle presidenziali del 2009, hanno infatti guidato il movimento di protesta nato in seguito alla discussa vittoria del conservatore Mahmoud Ahmadinejad, e hanno promosso la più grande manifestazione dai tempi della rivoluzione del 1979.
Maryam Zare, 19 anni, nata a Teheran, afferma che andrà alle urne solo se Karroubi e Mousavi consiglieranno di farlo: “Voterò per chiunque loro appoggino”, ha ribadito.
Altri dicono che voteranno per Rohani, ma con riluttanza. “Lui stesso è parte del sistema. Votiamo per il minore dei mali”, afferma Morad Behmanesh, insegnante di musica della città di Yazd.
Nel sistema di governo iraniano i poteri del presidente sono limitati dall’autorità della guida suprema, che oggi è l’ayatollah Ali Khamenei, successore di Ruhollah Khomeini nel 1989.
Durante il primo mandato Rohani è riuscito a conquistare un cauto appoggio da parte della guida suprema, ma convincerlo ad accettare cambiamenti a livello sociale si è rivelato un compito più difficile. Alcuni degli alleati di Rohani dicono che se il presidente in carica dovesse essere rieletto, assicurandosi così un mandato più solido, riuscirà a ottenere maggiori risultati anche in politica interna.
Luci e ombre
Gruppi internazionali in difesa dei diritti umani e attivisti in Iran confermano che l’amministrazione Rohani ha fatto pochissime mosse – se qualcuna ne è stata fatta – per portare maggiore libertà sociale e politica. Decine di attivisti, giornalisti, blogger e artisti sono in carcere per motivi politici.
“Chiunque vinca le elezioni presidenziali in Iran dovrebbe dare priorità al rispetto dei diritti umani”, dice Louis Charbonneau di Human rights watch. “Per anni l’Iran ha avuto il record di esecuzioni capitali per numero di abitanti: l’anno scorso ha eseguito 530 condanne a morte, la maggior parte per reati di droga o reati minori”.
Rohani si è difeso diverse volte sottolineando il fatto che lui non ha alcun controllo sugli arresti, organizzati e decisi dalle fila più conservatrici del potere giudiziario e dalle guardie della rivoluzione, un’istituzione militare nata in seguito alla rivoluzione e oggi uno dei principali centri di potere economico del paese.
“Ho perso la speranza che Rohani possa riformare il paese. Si è concentrato soprattutto sull’economia, ma non ha fatto niente per i diritti civili”, dice Reza, 28 anni, che è stato incarcerato durante le proteste del 2009.
Gli elettori del fronte riformista dovranno giudicare Rohani basandosi su quelle che sono le possibilità di manovra all’interno del sistema, dice Saeed Leylaz, un importante economista finito in carcere sotto Ahmadinejad per aver criticato la sua politica economica: “Il fallito tentativo di Rohani di fare delle riforme avrà un impatto sulla sua rielezione. Ma gli iraniani sono ben consapevoli dei suoi limiti e delle sue conquiste”.
(Traduzione di Virginia Pietromarchi)
Questo articolo è stato pubblicato dall’agenzia di stampa britannica Reuters.