Nel mondo fragile di Giorgio Poi
Gommapiuma come il materiale, morbido, dell’imbottitura dei cuscini. O Gommapiuma come il terzo album di Giorgio Poi, in uscita il 3 dicembre. Perché? “Volevo che le sue canzoni avessero un’atmosfera soffice e leggera, quindi accogliente, calda”, racconta al telefono il musicista, che è uno dei nomi più interessanti del nuovo pop italiano partito in cantina e arrivato – con tempi d’incubazione rapidi – a sostituire quello tradizionale, sulla scia di Calcutta e TheGiornalisti. Lui ha cominciato da solista solo nel 2017, ma già nel 2020 ha firmato la colonna sonora originale di Summertime, la serie-colosso di Netflix che nel frattempo ha annunciato una terza stagione.
Merito “del lavoro e della dedizione”, di un pubblico cambiato nei gusti e nei riferimenti. Però Giorgio Poi non è mai stato uno dei tanti figli minori dell’it-pop. Basta la biografia: è di Novara, ha studiato jazz al conservatorio a Londra, è stato a Berlino e poi, cinque anni fa, preso dalla nostalgia per l’Italia, è tornato a casa. È ripartito da Roma, oggi vive a Bologna. Ha assorbito ciò che poteva. E ci scherza su: “Mi mancava odiare l’estate, desiderare il freddo. Nel nord Europa l’inverno è una stagione perenne. Infatti I pomeriggi, che è il primo singolo estratto da Gommapiuma, parla anche di questo”. Al di là del clima, l’esperienza all’estero è stata essenziale per la sua formazione come musicista, soprattutto nelle sonorità.
Giorgio Poi in realtà di cognome fa Poti. Viene descritto come un introverso che detesta uscire e viaggiare, ma al telefono sembra sereno e raggiante, è il più internazionale e nerd dei nomi nuovi. Nel 2017, ai tempi del disco d’esordio Fa niente, la critica lo definiva “il Mac DeMarco italiano”. Un po’ perché anche i suoi brani, come quelli dell’album 2 dello stesso DeMarco, erano nati sul divano, e in particolare per la capacità di costruire miniature che univano la rotondità del pop alla psichedelia. Questione di gusti, mancanze, distanze: l’album era stato concepito in Germania dopo aver scoperto a distanza la nostra musica degli anni settanta, e teneva insieme le distorsioni acide dei Tame Impala e la melodia del Lucio Battisti versione Mogol. Una piccola allucinazione démodé, che si è assestata e appiattita nel successivo e più tradizionale Smog (2019), dove si sentiva anche l’eco di Mina.
E Gommapiuma come suona? “È una sintesi tra i due”, riflette, “però con tanti elementi inediti per il mio mondo”. Per esempio il brano che lo apre, Rococò, a un immaginario – cito dal testo – di “film con Totò” e “granite al limone” aggiunge una chitarra acustica simile a quella di Cara di Lucio Dalla e un quartetto d’archi, che poi tornerà nel resto del disco. “Rispetto al passato ho ridotto la parte elettronica, i sintetizzatori. È un lavoro abbastanza acustico e figlio della riscoperta del jazz, di John Coltrane e Bill Evans. Durante gli studi lo avevo rinnegato, ma negli ultimi due anni ho ascoltato quasi solo jazz, allontanandomi dalla musica italiana e in generale da quella cantata. Ma la vera novità, per me, è l’uso del quartetto. All’inizio era un accordo fisso di violino, creato al computer proprio per Rococò. Poi ho cominciato a modificarlo nota per nota, a studiarne le dinamiche e la composizione. Finché non ho chiamato dei musicisti veri a suonare”.
Come negli album precedenti, anche qui la title-track è un breve episodio strumentale che chiarisce le coordinate dell’opera: “Mi piace che ci sia ogni volta un brano che racchiuda il senso del tutto dandogli il titolo, ma mi sembra limitante affidare questo ruolo a un pezzo cantato. Ci si concentrerebbe solo sulle parole. Invece il tema comune, qui come prima, è l’arrangiamento, in questo caso morbido, galleggiante”. E che tiene uniti episodi diversi come la ballata per pianoforte ed effetti Supermercato, tutta scaffali e malinconie, il dream pop in scala di Moai o I pomeriggi, che è un killer-pop delicato e vintage di ombre sui muri e nostalgia del futuro (”Non torneremo mai più”, canta nel ritornello). “Il suono giusto arriva con un’intuizione”, spiega il musicista. “Da lì, procedo a ritroso sui brani che ho già pronti per il disco, e li rivedo in base ai nuovi arrangiamenti”.
Per il resto, in Gommapiuma ci sono solo due collaborazioni, entrambe distanti dal mondo di Poi ma per motivi opposti. La prima è con la fumettista ZUZU, autrice della graphic novel Giorni felici a cui il brano omonimo del disco fa da “colonna sonora”. Nel libro si parla soprattutto di educazione sentimentale. Qui? “Sono opere sovrapponibili. Lei me ne ha fatto leggere la prima parte quando ancora doveva uscire; io mi sono reso conto che stavo scrivendo una canzone sullo stesso tema, ma ero bloccato. È servito a sbloccarmi”. Del resto è un suo “fan”, per quanto legga più “classici come Andrea Pazienza e l’universo di Frigidaire, magari Dylan Dog”. E in ogni caso “fumetti e musica sono simili: discipline ibride perché uniscono rispettivamente parole e disegni e parole e note; devi essere capace di mischiare le due cose, non essere il migliore nelle singole materie”.
La seconda ospite è Elisa, con cui duetta in Bloody Mary, una sorta di pop-drama a due voci e all’italiana. “Lei mi ha insegnato l’umiltà, la voglia di mettersi in gioco nonostante una grande carriera”, racconta Poi. Che ammette: “Ormai le barriere tra pop tradizionale e alternativo sono venute meno, e sono contento. Se uno è sincero con se stesso non ha bisogno di porsi limiti. Il pezzo è mio: ci eravamo sentiti per lavorare insieme, ho cercato una via di mezzo nuova per entrambi”.
Quindi, i testi. Rococò comincia con una frase come “davanti a noi ci sono giorni affilati come rasoi”. Moai, l’ultima, è una dedica “a chi vive in apnea, aspettando che passi anche quest’alta marea”. “Il riferimento”, spiega, “è alla pandemia, infatti l’album è nato tra marzo 2020 e luglio 2021. Per me il processo creativo non è mai semplice, anzi è frustrante. Ci investo tante ore del giorno, procedo per tentativi. E ogni volta che chiudo un pezzo è un sollievo, è come saltare un fosso. Ecco, in lockdown è stato peggio perché era difficile esistere in generale. Ma sono contento di questo risultato, perché figlio di un momento unico”.
E ricapitolando: gli arrangiamenti accoglienti e soffici, la voce delicata, le parole sfumate e incollate alla realtà. Cosa sta cercando di dirci, Giorgio Poi? “Che Gommapiuma è un rifugio, un’autoterapia in primis per me. È un album sulle fragilità personali e del mondo durante la pandemia, da esorcizzare e condividere in musica. Nei suoni, prima ancora che nei testi. Volevo solo stare meglio, quando l’ho scritto. E se mai qualcuno ci si rispecchiasse, ascoltandolo, bene: i dischi servono a questo”.