L’invasione russa dell’Ucraina è stata ampiamente condannata per la sua ingiustificata aggressione. Ci sono legittimi timori di un revival dell’impero russo e perfino di una nuova guerra mondiale. Ma non altrettanto si parla di un settore, quello degli armamenti, che vale quasi cinquecento miliardi di dollari e che rifornisce entrambe le parti. Né dei notevoli profitti che questo farà grazie alla guerra.
Il conflitto ha già generato un notevole aumento delle spese militari. L’Ue ha annunciato di voler comprare e consegnare all’Ucraina armi per 450 milioni di euro. Gli Stati Uniti hanno invece promesso 350 milioni di dollari d’aiuti militari, che si aggiungono alle oltre novanta tonnellate di forniture militari, per un valore di 650 milioni di dollari, solo nel 2021.
Complessivamente, gli Stati Uniti e la Nato hanno inviato 17mila armi anticarro e duemila missili antiaerei Stinger, per esempio. Un gruppo di paesi – di cui fanno parte Regno Unito, Australia, Turchia e Canada – sta inoltre armando la resistenza ucraina.
Le opportunità della guerra
Si tratta di una vera e propria manna per le principali aziende nel mondo che producono armamenti. Per fare solo qualche esempio, la Raytheon produce i missili Stinger e, insieme alla Lockheed Martin, produce i missili anticarro Javelin che sono forniti da paesi come gli Stati Uniti e l’Estonia. Le azioni di entrambe le aziende statunitensi, la Lockheed e la Raytheon, sono cresciute dall’inizio dell’invasione, rispettivamente del 16 e del 3 per cento, mentre l’indice S&P500 in generale è calato dell’1 per cento.
Oltre a vendere armi ai belligeranti, le industrie del settore trarranno vantaggi dall’annunciato aumento delle spese militari in altri paesi
La BAE systems, la principale produttrice nel Regno Unito e in Europa, è cresciuta del 26 per cento. Delle cinque principali aziende del settore, solo la Boeing ha avuto un calo, dovuto tra le altre cose alla sua esposizione nel settore della produzione di aerei.
Alla vigilia del conflitto, le principali aziende d’armamenti occidentali si vantavano agli occhi degli investitori di una probabile crescita dei loro profitti. Gregory J. Hayes, amministratore delegato del gigante della difesa statunitense Raytheon, aveva dichiarato il 25 gennaio, durante una videoconferenza dedicata agli utili dell’azienda: “Basta guardare alla settimana scorsa, e all’attacco di droni negli Emirati Arabi Uniti… E naturalmente alle tensioni in Europa orientale e a quelle nel mare Cinese meridionale. Tutte queste cose stanno mettendo pressione sulle autorità locali, spingendole a spendere di più. Ho piena fiducia che ne trarremo un qualche beneficio economico”.
Già all’epoca si prevedeva che il settore degli armamenti sarebbe cresciuto del 7 per cento nel 2022. Il principale rischio per gli investitori, secondo le parole di Richard Aboulafia, amministratore delegato dell’azienda statunitense di consulenza militare AeroDynamic Advisory, è che “tutto questo si riveli un castello di carte russo e che la minaccia scompaia”.
Vocazione globale
Adesso che non ci sono segni che questo accada, le aziende d’armamenti stanno traendo vari benefici dalla situazione. Oltre a vendere direttamente armi alle parti in guerra, e a rifornire altri paesi che donano armamenti all’Ucraina, vedranno una crescita della domanda da parte di paesi come la Germania e la Danimarca, che hanno dichiarato che aumenteranno le loro spese militari.
Tutto il settore degli armamenti ha una vocazione globale. Gli Stati Uniti sono di gran lunga il leader mondiale, con il 37 per cento delle vendite di armi tra il 2016 e il 2020. Poi viene la Russia, con il 20 per cento, seguita dalla Francia (8 per cento), dalla Germania (6 per cento) e dalla Cina (5 per cento).
Oltre ai cinque principali esportatori, altri potrebbero trarre vantaggio da questa guerra. La Turchia ha ignorato gli avvertimenti russi e ha insistito nel rifornire di armi l’Ucraina, in particolare con droni ad alta tecnologia, con grandi benefici per il suo settore degli armamenti, che copre quasi l’1 per cento del mercato mondiale.
Quanto a Israele, responsabile di circa il 3 per cento delle vendite globali, uno dei suoi giornali, Haaretz, ha recentemente pubblicato un articolo intitolato: “Il primo vincitore dell’invasione russa: l’industria degli armamenti israeliana”.
La Russia dal canto suo, dal 2014 rafforza la sua produzione in risposta alle sanzioni occidentali. Il governo ha istituito un ampio programma di sostituzione delle importazioni, per ridurre la sua dipendenza dagli armamenti e dalle competenze provenienti dall’estero, oltre che per aumentare le vendite a paesi stranieri. In alcuni casi è stata prolungata la licenza di vendita di determinati armamenti, come quelli forniti dal Regno Unito alla Russia per un valore stimato di 3,7 milioni di sterline, ma la cosa è terminata nel 2021.
In qualità di secondo esportatore d’armi al mondo, la Russia si è rivolta a un ventaglio di clienti internazionali. Le sue esportazioni d’armi sono calate del 22 per cento tra il 2016 e il 2020, ma soprattutto a causa di una riduzione del 53 per cento delle vendite all’India. Allo stesso tempo la Russia ha decisamente rafforzato le sue esportazioni verso paesi come la Cina, l’Algeria e l’Egitto.
Secondo un rapporto del congresso degli Stati Uniti “gli armamenti russi potrebbero essere meno costosi e più facili da usare e sottoporre a manutenzione rispetto ai sistemi occidentali”. Le principali aziende di armamenti russe sono il produttore di missili Almaz-Antey (con un volume di vendite di 6,6 miliardi di dollari), la United Aircraft Corp (4,6 miliardi di dollari) e la United Shipbuilding Corp (4,5 miliardi di dollari).
I punti in comune
Di fronte all’imperialismo di Putin, gli obiettivi realisticamente raggiungibili sono limitati. La possibilità di demilitarizzare l’Ucraina appare poco credibile di fronte al permanere delle minacce russe.
Ci sono stati tuttavia degli sforzi per attenuare la gravità della situazione. La Nato, per esempio, ha pubblicamente e chiaramente declinato la richiesta del presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj d’istituire una no-fly zone. Ma questi sforzi sono minati dagli enormi incentivi finanziari, da entrambe le parti, ad aumentare le forniture di armamenti.
Quel che occidente e Russia hanno in comune è un articolato complesso industriale militare. Entrambi si affidano, rendono possibile, e sono influenzati dalle loro grandi industrie di armamenti. Questa situazione è stata rafforzata da nuove capacità offensive ad alta tecnologia, dai droni ai sofisticati sistemi militari autonomi basati sull’intelligenza artificiale.
Alla luce di questa guerra, dovremmo esplorare le possibilità di limitare il potere e l’influenza del settore degli armamenti
Se si vuole riuscire ad abbassare la tensione e arrivare a una pace duratura, è necessario attaccarsi alle radici economiche dell’aggressione militare. Ho accolto con favore il recente annuncio del presidente statunitense Joe Biden, che ha dichiarato che gli Stati Uniti sanzioneranno direttamente l’industria degli armamenti russa, rendendo più difficile l’approvvigionamento di materie prime e la vendita delle loro merci all’estero, che ostacolerebbe così la possibilità di reinvestire in altre strumentazioni militari.
Ciò detto, questa situazione potrebbe creare opportunità commerciali per le aziende occidentali. Potrebbe creare un vuoto temporaneo che permetterà alle aziende statunitensi ed europee di ottenere un ulteriore vantaggio competitivo, determinando un’intensificazione della corsa mondiale agli armamenti, creando così ulteriori incentivi finanziari per nuovi conflitti.
Alla luce di questa guerra, dovremmo esplorare le possibilità di limitare il potere e l’influenza del settore degli armamenti. Tra le mosse potrebbero esserci accordi internazionali che limitino la vendita di specifiche armi, un sostegno multilaterale ai paesi che s’impegnano a ridurre la loro industria degli armamenti, e sanzioni alle aziende che fanno pressione per un aumento delle spese militari. Servirebbe poi, soprattutto, il sostegno a movimenti che si battono contro l’ulteriore sviluppo delle capacità militari.
Una risposta chiara, ovviamente, non esiste, e non arriverà da un giorno all’altro. È tuttavia fondamentale riconoscere da parte nostra, come comunità internazionale, che una pace duratura è impossibile senza un’eliminazione, per quanto possibile, di un settore lucrativo come quello della produzione e della vendita di armi.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito su The Conversation.
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