Mosul è ancora in macerie tre anni dopo la liberazione dai jihadisti
Tre anni dopo la liberazione di Mosul, Ahmed Hamed si è rassegnato ad avere pazienza. Come migliaia di altri iracheni, Ahmed non ha ancora alcuna possibilità di ricostruire la sua casa, distrutta durante la guerra contro i jihadisti. I finanziamenti statali sono indispensabili per rilanciare l’economia della città, un tempo snodo commerciale del Medio Oriente nel nord di un paese dove un abitante su cinque vive sotto la soglia di povertà e molti altri sopravvivono poco al di sopra della soglia, con appena cinquanta euro al mese. La situazione è particolarmente grave nel nord, devastato dalla guerra contro il gruppo Stato Islamico.
Secondo la Banca mondiale, il numero di poveri rischia di raddoppiare nei prossimi sei mesi a causa del crollo del prezzo del petrolio, della crisi innescata dal covid-19 e dell’aumento dei prezzi dei beni di consumo.
Ahmed, 25 anni e disoccupato, si arrangia per trovare i soldi necessari a pagare l’affitto in un’altra zona della città. La sua casa, la sua auto e tutto il suo quartiere nel centro storico sono stati distrutti dai combattimenti e dai bombardamenti aerei. Dopo che Mosul è stata finalmente liberata, nel luglio 2017, Ahmed ha presentato una richiesta alla commissione per i finanziamenti creata nel 2018. La sua pratica è stata approvata e inviata a Baghdad. Ma da quel momento non ha saputo più nulla.
“I politici ci ripetono che dobbiamo tornare nelle nostre case”, spiega. “Ma come possiamo fare? Le case sono distrutte e non c’è alcun servizio pubblico”.
Secondo l’ong norvegese Refugee Council, il 64 per cento degli sfollati di Mosul dichiara che entro tre mesi non sarà più in condizione di pagare l’affitto. Mohammed Mahmoud, capo della Commissione per i risarcimenti, ammette di aver ricevuto “novantamila pratiche, di cui circa 49mila per beni immobili e 39mila per perdite umane (decessi, ferimenti e persone scomparse)”.
Ali Elias, 65 anni, aspetta ancora di avere notizie del figlio, rapito nel 2017 dai jihadisti. “Abbiamo inviato una richiesta a Baghdad, ma non abbiamo ricevuto informazioni”, racconta. Ali è un agricoltore che vive in un villaggio a ovest di Mosul. “Sono vecchio e mi sono stancato di passare la vita negli uffici pubblici”. Le pratiche che riguardano le persone scomparse sono le più complesse, sottolinea Mahmoud. “Sono stati valutati tre quarti delle richieste relative ai danni materiali, ma i fondi sono insufficienti. Solo 2.500 famiglie hanno ricevuto un risarcimento”.
L’Onu ha ricostruito duemila abitazioni, oltre a diversi impianti per la depurazione dell’acqua, centrali elettriche, ospedali, università, commissariati e 150 scuole. Ma si tratta di una goccia nel mare in una metropoli popolata da più di due milioni di abitanti, e il cui centro storico è ancora un cumulo di macerie.
Lo stato si è impegnato a versare una pensione alle famiglie dei “martiri”, delle vittime del terrorismo e dei feriti
Il processo di ricostruzione è rallentato dai numerosi filtri imposti per evitare episodi di corruzione. Questo è uno dei motivi principali per cui i 30 miliardi di dollari promessi da alcuni finanziatori in Kuwait non sono mai arrivati in Iraq. La ripresa è frenata anche dalla burocrazia e dagli sperperi. Per fare un esempio, secondo un rapporto dell’università statunitense di Souleimaniyeh, nel nord del paese, l’ex governatore Nawfel Akoub ha gestito per anni la consegna di materiali edili in modo illecito, ricorrendo a milizie armate posizionate ai checkpoint.
A giugno il primo ministro Moustafa al Kazimi, da poco nominato, ha visitato Mosul circondato dai giornalisti. Al Kazimi ha promesso di studiare “personalmente tutti i contratti per la ricostruzione, per mettere fine allo sfruttamento e alla corruzione”. Lo stato si è impegnato a versare una pensione alle famiglie dei “martiri”, delle vittime del “terrorismo” e dei feriti. Ma con un prezzo del barile che è ormai un terzo rispetto al passato, una contrazione dell’economia del 10 per cento (record negativo degli ultimi vent’anni) e un deficit arrivato al 30 per cento del pil, queste promesse sembrano impossibili da mantenere.
Già nel 2019 il ministero degli alloggi e quello degli sfollati erano tra i meno finanziati, rispettivamente con il 2 e lo 0,1 per cento del budget statale. “Baghdad non ha mai risposto alla catastrofe”, accusa Mouzaham al Khayat, a capo dell’unità di crisi che ha sostituito Nawfel Akoub prima della nomina di un nuovo governatore. “Abbiamo chiesto al ministero delle finanze di stanziare 17 milioni di dollari per i risarcimenti, ma non ci hanno mai risposto”, attacca Mahassen Hamdoun, deputato originario della regione di Mosul. “Kazimi ha fatto molte promesse, ma non ne ha mantenuta nessuna”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)