La mattina del 10 novembre Gurpreet Singh è stato trovato impiccato a un albero a Singhu, alla periferia di New Delhi, dove migliaia di agricoltori sono accampati da oltre un anno per protestare contro una serie di leggi approvate del governo.

Gurpreet, 45 anni, agricoltore senza terra, non ha lasciato un biglietto di addio, ma sulla sua mano sinistra era incisa una parola: zimmedar, responsabile. L’uomo era tornato nel sito della protesta da due giorni. Era arrivato dal suo villaggio di Roorkee, nello stato del Punjab, dove aveva affittato mezzo ettaro di terra. Nei suoi ultimi giorni aveva confessato ai compagni il disagio per il fatto di doversi dividere tra il villaggio e il luogo della protesta, a 250 chilometri di distanza. Era a mala pena in condizione di sfamare la sua famiglia e la situazione lo preoccupava.

“Nessuno pensava che potesse compiere quel gesto estremo”, dice Lovepreet Singh, figlio ventenne di Gurpreet, che la mattina del 10 novembre ha ricevuto via WhatsApp una foto del cadavere del padre. “Mi ha sconvolto. Non ci potevo credere”.

Mobilitazione permanente
Gurpreet si è tolto la vita appena dieci giorni prima che il premier Narendra Modi, con una sorprendente inversione di rotta, annunciasse l’abrogazione delle controverse leggi sull’agricoltura. Il 29 novembre il parlamento indiano ha approvato un decreto che cancella le tre leggi introdotte dal governo Modi nel settembre 2020.

Nei piani dell’esecutivo le leggi avrebbero dovuto consentire ai contadini di vendere i loro prodotti e incrementare il raccolto attraverso gli investimenti privati. Ma gli agricoltori, soprattutto negli stati “granaio” del Punjab, dell’Haryana e dell’Uttar Pradesh, le hanno bocciate spiegando che il settore dell’agricoltura sarebbe finito in mano alle grandi aziende che avrebbero ignorato il “prezzo minimo di sostegno” (msp) garantito dal governo.

Nel novembre 2020 migliaia di agricoltori avevano marciato verso New Delhi per sostenere le loro rivendicazioni. Quando gli è stato impedito di entrare nella capitale, hanno deciso di accamparsi in tre aree attorno alla città, dove si trovano tuttora nonostante l’abrogazione delle leggi. A questo punto chiedono che il governo approvi una legge per garantire gli msp e affronti altri problemi che affliggono il settore.

Uno studio dell’università del Punjab ha verificato che quasi tutti gli agricoltori morti durante la protesta erano senza terra

Nei dodici mesi di proteste, la morte di Gurpreet non è stata un caso isolato. Secondo i dati del Samyukt kisan morcha (Skm, Fronte unito degli agricoltori), l’organizzazione che guida la protesta, Gurpreet è il nono agricoltore a togliersi la vita. Altri 700 sarebbero morti a causa delle malattie favorite dal freddo, dalle piogge da record, dallo smog e dalle ondate di calore.

Il governo Modi ha dichiarato che non esistono documenti a conferma della morte degli agricoltori, scatenando forti proteste e la richiesta di un risarcimento per le famiglie dei defunti, che gli agricoltori chiamano shaheed (martiri). L’Skm chiede un appezzamento di terra per costruire a Singhu un monumento dedicato ai martiri.

Ma la famiglia di Gurpreet ha opinioni diverse in merito. “Vorrei che avesse aspettato qualche giorno prima di compiere questo passo”, ha dichiarato Mandeep Kaur, moglie quarantenne dell’agricoltore. “Tutti dicono che mio marito è un martire. Ma noi? Cosa faremo senza di lui?”.

La famiglia di Gurpreet racconta che l’uomo, dopo il suo coinvolgimento nella protesta all’inizio di novembre, era sempre più distaccato e ignorava le chiamate dei parenti . “Il giorno prima della sua morte, circa a mezzogiorno, Gurpreet ha spento il telefono dopo aver parlato con noi. L’indomani abbiamo ricevuto una chiamata dal suo numero. Un agricoltore ci ha informati che era morto”, ha dichiarato Mandeep. “Se avessimo avuto il minimo sospetto lo avremmo fermato. Sarei andata lì, avrei chiesto aiuto a qualcuno. Di sicuro non lo avremmo perso”.

Famiglie sul lastrico
Karnail Singh, agricoltore senza terra di 75 anni proveniente dal villaggio di Sherpur, nello stato del Punjab, è morto nel dicembre 2020 dopo essersi ammalato a Tikri, uno dei tre siti principali della protesta alla periferia di New Delhi. Un mese dopo, Nirmal Singh, 45 anni, anche lui agricoltore senza terra e proveniente dal villaggio di Dhaula, nel Punjab, si è suicidato nello stesso luogo. Ha lasciato una moglie e due figli.

A marzo Sukhpal Singh, agricoltore senza terra di 40 anni del villaggio di Baalianwali, nel Punjab, è morto per intossicazione alimentare durante le proteste. Ora la sua famiglia deve affrontare un debito di oltre 6.700 dollari.

Il governo sostiene che dietro la protesta ci siano soprattutto “i grandi agricoltori”, ma uno studio dell’università del Punjab di Patiala ha verificato che quasi tutti gli agricoltori morti durante la protesta erano senza terra o al massimo possedevano un appezzamento di poco più un ettaro.

Gli agricoltori deceduti appartenevano al livello più basso della comunità agricola indiana. La loro morte potrebbe significare la rovina economica per le loro famiglie, molte delle quali sono ormai indebitate.

Il figlio di Gurpreet racconta che nel 2000 la famiglia possedeva circa due ettari di terreno. “Ma nel 2007 tutto il nostro raccolto è andato perduto a causa delle calamità naturali. Mio padre è stato costretto a vendere la terra di famiglia per ripagare un enorme debito”, ha spiegato.

Terra madre
Il sindacato Bhartiya kisan (Bku) di Siddhupur, di cui faceva parte Gurpreet, lo aveva aiutato ad affittare un’automobile per svolgere la doppia attività di lattaio e tassista, in modo da guadagnarsi da vivere. Poi Gurpreet aveva preso in affitto un pezzo di terra per coltivare vegetali e mangimi per i suoi animali. “Mio marito aveva ripagato tutti i debiti, ma non riuscivamo comunque a far quadrare i conti. Vivevamo alla giornata. Ora che lui non c’è più ci affidiamo alla volontà di Dio”, dice Mandeep.

Il governo del Punjab ha annunciato che offrirà posti di lavoro e fondi per le famiglie degli agricoltori deceduti, come gesto di sostegno. Alcune ong hanno offerto assistenza finanziaria. Ma la famiglia di Gurpreet non ha ancora ricevuto alcun aiuto a causa del ritardo nell’emissione del certificato di morte. “In occasione del funerale il Bku di Siddhupur ci ha dato 50mila rupie e un po’ di cereali per andare avanti”, ha raccontato Mandeep.

Gurjinder Singh, 28 anni, coordinatore del Bku di Siddhupur, è stato uno dei primi a visitare Singhu dopo la morte di Gurpreet. “Ho ricevuto una chiamata la mattina presto. Mi hanno informato che un uomo del villaggio di Roorkee era stato trovato impiccato al confine di Singhu. Ho visto molte morti nell’ultimo anno, così tante che non mi fanno più paura. Ma per Lovepreet è stato difficile, piangeva tutto il tempo. Abbiamo deciso che non gli avremmo permesso di vedere il corpo del padre fino a quando non fossero arrivati a casa”.

Lakhwinder Singh, professore di economia dell’università del Punjab che ha registrato i decessi degli agricoltori durante la protesta, spiega che “nel Punjab la terra è tradizionalmente considerata ‘madre’, e la pratica dell’agricoltura è associata alla preghiera. Gran parte degli agricoltori che partecipano alla protesta condivide questa convinzione e ha accolto con grande ansia e preoccupazione le nuove leggi sull’agricoltura. Per molti di loro questo stato d’animo ha rappresentato un peso insopportabile nelle dure condizioni vissute durante la protesta”.

Lovepreet vorrebbe prendere il posto del padre nella protesta. Ma sua madre è preoccupata. “Non ho i mezzi per pagarne il costo. Mio figlio è tutto ciò che mi è rimasto. Ho già perso come moglie, non voglio perdere anche come madre”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito su Al Jazeera.

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