Le sette domande chiave sull’origine della pandemia
Quasi assente dal dibattito pubblico per oltre un anno, l’ipotesi di un incidente di laboratorio come origine della pandemia di covid-19 è sempre più discussa dai mezzi d’informazione ma anche dal mondo accademico. L’ipotesi di una trasmissione da animale a essere umano (spillover zoonotico o zoonosi) resta la più plausibile secondo molti scienziati, ma il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha preso atto dei dubbi crescenti di una parte della comunità scientifica e il 26 maggio ha annunciato di aver commissionato un rapporto sull’argomento ai servizi segreti.
Il dubbio si è insinuato anche perché nei diciotto mesi dall’inizio della pandemia non è stato individuato il parente più anziano del sars-cov-2 in specie animali che avrebbero potuto fare da ponte tra i pipistrelli e l’essere umano. Non c’è, a oggi, un intermediario accertato. Inoltre nuovi elementi pubblicati sui social network da ricercatori indipendenti e da profili anonimi – in particolare il collettivo Drastic – hanno rivelato nel corso dei mesi tutte le contraddizioni e le omissioni delle autorità e dei ricercatori cinesi, oltre all’opacità di alcune ricerche condotte a Wuhan. Questi elementi, come altri, sollevano diversi interrogativi. Ecco le principali domande che attendono ancora una risposta.
- Quando è cominciata davvero l’epidemia di covid-19 a Wuhan?
Nonostante il suo contenuto esplosivo, il comunicato è passato quasi inosservato. Il 15 gennaio 2021 il dipartimento di stato degli Stati Uniti ha annunciato di avere “motivi fondati per pensare che diversi ricercatori dell’Istituto di virologia di Wuhan (Wiv) si siano ammalati nell’autunno 2019, prima del primo caso identificato dell’epidemia”. I ricercatori in questione, ha aggiunto il dipartimento di stato, avrebbero presentato “sintomi corrispondenti al covid-19 ma anche alle malattie stagionali”. Quattro mesi dopo, il Wall Street Journal ha potuto visionare un rapporto dei servizi segreti statunitensi. Il 23 maggio il quotidiano ha garantito che “nel novembre 2019 tre ricercatori del Wiv erano abbastanza malati da dover essere ricoverati”, precisando tuttavia che le sue fonti avevano valutazioni diverse in merito alla qualità dell’informazione.
In ogni caso, anche se il dato fosse attendibile, non dimostrerebbe l’esistenza di un incidente di laboratorio all’origine della pandemia. I primi casi di covid-19 ufficialmente registrati a Wuhan risalgono all’8 dicembre 2019, ma c’è chi ipotizza che il virus circolasse già a ottobre e novembre senza essere rilevato. È possibile che gli scienziati del Wiv che si sono ammalati a novembre abbiano contratto la malattia fuori del luogo di lavoro.
Come si può stabilire se il virus circolava a Wuhan già a ottobre e novembre? Secondo il microbiologo David Relman (dell’università di Stanford, California) sarebbe necessario “avere accesso ai dati individuali originali e disaggregati delle agenzie per la salute pubblica e degli ospedali in merito alla prevalenza e alle caratteristiche cliniche delle sindromi influenzali, a Wuhan e in altre città cinesi, nel corso del 2019”. Inoltre, aggiunge Relman, bisognerebbe poter accedere ai risultati individuali dei test realizzati sulle persone colpite da sindrome influenzale nel 2019 a Wuhan, ai metodi dei test retrospettivi, ai campioni prelevati eccetera. La stessa trasparenza, aggiunge il microbiologo, servirebbe per i risultati dei test condotti su animali, negli allevamenti o sulla fauna cacciata e venduta illegalmente.
A prescindere da quale sia stata la reale circolazione del virus a Wuhan nell’autunno 2019, le dichiarazioni dei responsabili del Wiv suscitano perplessità nella comunità scientifica. “I dottori Shi Zhengli e Yuan Zhiming (due funzionari del Wiv) hanno dichiarato entrambi che a marzo del 2020 ‘tutti i componenti del personale sono risultati negativi agli anticorpi del sars-cov-2’”, ha scritto un gruppo composto da una trentina di scienziati e osservatori in una lettera rivolta all’Organizzazione mondiale della sanità lo scorso 30 aprile. “Tuttavia”, si legge nella lettera, “questa affermazione è statisticamente improbabile (meno di una possibilità su un miliardo) dato che il Wiv conta più di 590 dipendenti e studenti e che circa il 4,4 per cento della popolazione urbana di Wuhan è risultata positiva in quel periodo”.
- Il virus circolava già fuori della Cina nell’autunno 2019?
In Italia, negli Stati Uniti e in Francia alcuni ricercatori hanno condotto studi sulle acque reflue e sui campioni di sangue verificando che nei tre paesi il nuovo coronavirus circolava già nel novembre 2019, prima che fossero registrati i primi casi ufficiali a Wuhan. Questi studi – in particolare quelli condotti in Italia – sono stati accolti con un certo scetticismo da alcuni specialisti. Lo studio considerato più affidabile si è basato sull’analisi di 9.144 campioni di sangue prelevati dai componenti della coorte epidemiologica Constances, la più numerosa in Francia. Gli autori hanno condotto test sierologici sui campioni alla ricerca degli anticorpi che neutralizzano il sars-cov-2. In base ai risultati non ci sarebbe alcun dubbio sul fatto che il virus circolasse già largamente a novembre sul territorio francese, con un tasso di incidenza di circa un caso ogni mille abitanti.
Una circolazione simile, così prematura e alta, è però giudicata improbabile da altri ricercatori, che sospettano un’interferenza di fenomeni di immunità crociata con altri virus. I test sierologici possono infatti generare falsi positivi, in particolare nei soggetti che sono stati infettati da altri coronavirus che provocano una risposta immunitaria simile a quella del sars-cov-2. “Per convincere la comunità internazionale bisognerebbe disporre di campioni che permettano di individuare il virus, non solo la traccia della reazione immunitaria che il virus avrebbe provocato”, spiega Florence Debarre, ricercatrice di biologia evolutiva. “Soltanto con il suo sequenziamento genetico si potrebbe essere sicuri di una circolazione del virus fuori della Cina nel novembre 2019, se non addirittura prima”.
La quesitone è cruciale. Tra i componenti della coorte Constances che si presume siano stati infettati dal sars-cov-2 nel novembre 2019 c’è una persona che si trovava in Cina tra ottobre e novembre. Secondo un’inchiesta di Radio France, diffusa il 26 marzo, l’interessato non ha visitato Wuhan, ma lo Yunnan, ad appena 200 chilometri dai luoghi dove cugini più stretti del sars-cov-2 sono stati prelevati da alcuni pipistrelli. Secondo l’inchiesta l’uomo avrebbe soggiornato nella casa di una famiglia e avrebbe visitato una famosa grotta popolata da pipistrelli. È possibile che questa persona sia stata infettata dal sars-cov-2 o da un virus molto simile senza manifestare sintomi? Se fosse confermata questa ipotesi, sarebbe la prova di un inizio della circolazione sotto traccia dell’agente patogeno, che metterebbe fuori causa il Wiv.
- Cos’è davvero il Ratg13, il cugino più stretto del sars-cov-2?
Il 3 febbraio 2020 i ricercatori del Wiv hanno pubblicato sulla rivista Nature la descrizione del virus più simile al sars-cov-2, il coronavirus chiamato Ratg13. Gli scienziati cinesi hanno dichiarato di averlo prelevato da un pipistrello nella provincia dello Yunnan, senza offrire ulteriori precisazioni sul luogo di ritrovamento. Il genoma del Ratg13 è identico per il 96,2 per cento al virus che provoca il covid-19. Dunque è vicino, ma non abbastanza da esserne l’antenato diretto. In realtà i due virus sono separati da trenta-cinquant’anni di evoluzione naturale.
Il 16 marzo 2020, sei settimane dopo la pubblicazione relativa a questo cugino del sars-cov-2, la microbiologa dell’università di Innsbruck Rossana Segreto ha riportato in un forum di virologia una scoperta inattesa: un piccolo pezzo del genoma del Ratg13 era già stato reso pubblico nel 2016 dai ricercatori del Wiv in un database pubblico. Il virus allora aveva un altro nome: Rabtcov/4991, o Ra4991.
Tuttavia l’integrità della sequenza pubblicata a febbraio è stata messa in discussione da diversi scienziati. Il 12 maggio The Seeker, un profilo Twitter anonimo che ha fornito una serie di informazioni chiave sul tema, ha pubblicato sui social network tre tesi universitarie inedite realizzate al Wiv tra il 2014 e il 2019. Una delle due parlava del Ra4991, soffermandosi sul tasso d’identità genetica con gli altri coronavirus. Basandosi sulla tabella inclusa nella memoria, il virologo Etienne Decroly ritiene che esista una differenza di 10-15 mutazioni tra la sequenza pubblicata nel febbraio 2020 dai ricercatori del Wiv e quella comunicata parzialmente nel 2016.
Una verifica indipendente appare improbabile. “I ricercatori del Wiv sostengono di non disporre più del campione biologico corrispondente, dunque non è più possibile riprodurre il lavoro di sequenziamento”, spiega la genetista Virginie Courtier. Inoltre nell’articolo di presentazione del Ratg13 manca un’informazione importante: il luogo preciso in cui è stato prelevato il campione.
- Perché le autorità cinesi vietano l’accesso alla miniera di Mojiang?
Nel 2016, quando si parlò della prima volta del Ra4991 (o Ratg13) nella rivista Virologica Sinica, i ricercatori del Wiv precisarono di aver prelevato il virus, tra gli altri, in una miniera di rame abbandonata nella contea di Mojiang, nello Yunnan, ovvero circa 1.500 chilometri a sudovest di Wuhan. Le gallerie della miniera sono popolate da colonie di pipistrelli, e i ricercatori cinesi affiliati al Wiv o ad altri istituti effettuano i prelievi regolarmente.
Dall’inizio della pandemia, però, le autorità cinesi hanno impedito l’accesso alla miniera. Grazie all’analisi di fotografie satellitari, il collettivo Drastic ha identificato l’ingresso della miniera. Nell’ottobre 2020 alcuni giornalisti di Associated Press e Bbc hanno tentato di visitare la miniera, senza successo. Tutte le persone coinvolte hanno riferito una serie di espedienti – pedinamenti da parte di automobili non identificabili, strade bloccate da veicoli apparentemente in panne, interventi diretti dei militari – per ostacolare l’accesso alle gallerie.
Solo un reporter del Wall Street Journal è riuscito a forzare il blocco, ma per farlo ha dovuto attraversare in bicicletta le montagne percorrendo strade secondarie. “In seguito è stato arrestato e interrogato per cinque ore dalla polizia, che ha cancellato dal suo telefono una foto scattata nella miniera”, riportava il quotidiano statunitense nell’edizione del 24 maggio. Gli abitanti della zona hanno rivelato al giornalista che le autorità locali li avevano esortati a non parlare della miniera con gli stranieri. Questo ostruzionismo potrebbe tuttavia essere legato a un evento vecchio di un decennio: la grave forma di polmonite sviluppata da diversi operai della miniera nella primavera del 2012.
- Quale malattia hanno contratto i minatori di Mojiang nella primavera del 2012?
Il fatto è risaputo da tempo. La rivista Science ne aveva infatti parlato brevemente nel marzo 2014. Nell’aprile 2012 sei operai che lavoravano nelle gallerie della miniera di Mojiang erano stati ricoverati all’ospedale di Kunming, affetti da una polmonite grave. Tre di loro morirono. La versione sostenuta oggi dai responsabili del Wiv e dalle autorità cinesi è che i sei operai fossero stati infettati da un fungo patogeno. Questa tesi viene ripresa nel rapporto della missione comune Oms-Cina, pubblicato il 30 marzo 2021. “Le malattie manifestate dai minatori si spiegano presumibilmente con infezioni fungine avvenute in occasione dell’espulsione di uno spesso strato di guano”, si legge nel rapporto. È possibile che un fungo patogeno, più che un virus, sia imparentato con il sars-cov-2?
Due tesi universitarie cinesi rinvenute da The Seeker e rese pubbliche nella primavera del 2020 sui social network contraddicono questa versione. La prima, datata 2013, è una tesi di master condotta all’ospedale di Kunming, dove i sei minatori furono ricoverati. La seconda, del 2016, è una tesi di dottorato condotta sotto la supervisione di George Gao, attuale capo del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc).
Due ricercatori indiani, Monali Rahalkar (Istituto di ricerca Agharkar) e Rahul Bahulikar (Fondazione di ricerca Baif), hanno condotto un’analisi dettagliata dei due documenti in un articolo pubblicato a ottobre del 2020 dalla rivista Frontiers in Public Health. La tesi del 2013 è uno studio dei sei casi clinici e sottolinea la forte somiglianza tra i sintomi manifestati dai minatori e quelli del covid-19 e della sars. La ricerca ipotizza una probabile infezione da parte di uno o molteplici coronavirus dei pipistrelli. Quanto alla tesi del 2016, cita la vicenda dei minatori di Mojiang e assicura che almeno quattro tra loro presentassero anticorpi neutralizzanti (IgG) contro i coronavirus di tipo sars.
I ricercatori del Wiv, però, affermano il contrario: riferiscono di aver ricevuto tredici campioni di sangue prelevati dagli operai malati e sostengono di non aver rilevato alcuna traccia di infezione da parte di un coronavirus dei pipistrelli. Un’altra tesi universitaria inedita, pubblicata il 12 maggio da The Seeker, presenta un quadro diverso: secondo questo documento i ricercatori del Wiv avrebbero ricevuto trenta campioni appartenenti ai sei operai, non tredici.
- Quali virus sono conservati presso l’Istituto di virologia di Wuhan (Wiv)?
Il numero e la natura dei virus conservati da due istituti di Wuhan (il Wiv e i Cdc) sono al centro di numerose speculazioni che si cristallizzano attorno alla scomparsa dell’archivio del Wiv contenente l’indice dei virus, viventi o sotto forma di sequenza genetica, conservati nei frigoriferi o nei computer dell’istituto.
Quando è stato messo offline l’archivio? Spulciando nei server cinesi il collettivo Direct ha identificato il sistema di supervisione degli archivi scientifici gestito dall’Accademia delle scienze cinese. Il sistema indica che l’archivio in questione è stato scollegato il 12 settembre 2019. Ma le versioni sono contrastanti. Intervistata a dicembre dalla Bbc, la virologa Shi Zhengli, una delle responsabili del Wiv, ha garantito che la sconnessione è stata effettuata solo dopo l’inizio dell’epidemia, per ragioni di sicurezza in seguito ad attacchi informatici contro l’istituto.
Non è sparito solo l’archivio del Wiv, ma anche il breve articolo che ne descriveva le principali caratteristiche. Pubblicato nell’estate 2019 dalla rivista China Science Data (accanto a numerosi articoli che dettagliavano i diversi archivi creati dai ricercatori cinesi) è stato soppresso dall’indice del giornale. Ne rimane solo una pagina conservata da un sito di archiviazione. Il suo codice identificativo unico (associato a qualsiasi contenuto pubblicato da una rivista) porta a una pagina fantasma. Questa sparizione tradisce la volontà di eliminare le prove dell’esistenza stessa del famoso archivio.
In una precisazione pubblicata da Nature nel novembre 2020, i ricercatori cinesi hanno dichiarato di aver prelevato nella miniera di Mojiang, oltre al Ratg13, altri otto virus dei pipistrelli. Ma anche in questo caso le tesi universitarie recuperate sollevano forti dubbi. Una delle due, in particolare, cita almeno un altro coronavirus che i ricercatori del Wiv non avrebbero reso pubblico.
- A cosa lavoravano i ricercatori del Wiv nel 2019?
Alla fine del 2015 il Wiv aveva messo in agitazione una parte della comunità scientifica pubblicando, insieme ai ricercatori americani dell’università del North Carolina a Chapel Hill, i risultati di uno studio controverso. Gli esperimenti erano stati condotti negli Stati Uniti con la partecipazione del Wiv, e avevano portato alla creazione di un virus chimerico adattato alle cellule umane e basato su un coronavirus di un pipistrello. Per portare a termine l’esperimento i ricercatori avevano infettato alcuni topi transgenici, modificati per manifestare lo stesso recettore ACE2 degli umani (la porta d’ingresso del virus nelle cellule). All’epoca gli esperimenti avevano suscitato forti critiche, e alcuni scienziati avevano sottolineato che l’operazione comportava un rischio elevato.
È possibile che esperimenti simili siano stati condotti anche all’interno del Wiv nei mesi precedenti lo scoppio della pandemia? Una nota ufficiale conservata in un sito di archiviazione dettaglia il lancio di un programma di ricerca nel 2018, finanziato con circa 250mila yuan (35mila euro) e con l’obiettivo “di studiare la patogenicità di due nuovi coronavirus dei pipistrelli, simili alla sars, su topi transgenici manifestanti il recettore ACE2 umano”. Una seconda nota del governo cinese rinvenuta da Charles Small, un altro ricercatore indipendente, suggerisce inoltre che esperimenti di questo tipo siano proseguiti nel 2019 su almeno altri cinque virus, senza però offrire ulteriori precisazioni.
È possibile che una parte delle risposte a queste domande si trovi negli Stati Uniti. Il Wiv ha infatti ricevuto finanziamenti dai National institutes of health (Nih), i centri di ricerca medica finanziati dal governo federale, attraverso una ong, Ecohealth alliance. Alcuni parlamentari statunitensi sospettano che l’istituzione pubblica abbia finanziato esperimenti pericolosi condotti a Wuhan, lontano da ogni supervisione. L’Nih ha smentito questa tesi. Tuttavia secondo alcuni promemoria confidenziali consultati da Vanity Fair, una parte dell’amministrazione statunitense sembra temere che l’attenzione si sposti sui finanziamenti americani al Wiv. In uno dei messaggi interni citati dalla rivista il 3 giugno, un alto responsabile del dipartimento di stato intima ai suoi collaboratori di non portare avanti l’inchiesta sull’origine del covid-19, perché “potrebbe scoperchiare il vaso di Pandora”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano francese Le Monde.