Le nuove regole della Brexit svuotano i negozi britannici
Dopo alcuni minuti in coda trascorsi a cercare le migliori offerte nel negozio di gastronomia, è il momento delle decisioni. Forse un po’ di fantastico prosciutto di Parma italiano? E alcune fette di chorizo spagnolo? Un pezzo di brie prodotto in una fattoria della Normandia… Oh, e sicuramente alcune olive nere greche.
Può darsi che il governo prenda alla leggera le nuove e rigide regole della Brexit che colpiscono le importazioni nel Regno Unito dall’Unione europea, entrate in vigore il 1 gennaio. Ma lo stesso non fanno le organizzazioni che rappresentano le piccole aziende britanniche. Queste sono preoccupate per l’impatto sui loro affari e sulla scelta di prodotti che saranno disponibili per i clienti nei loro negozi preferiti.
La Federazione dei piccoli imprenditori cita le gastronomie locali, molte delle quali importano da piccoli fornitori europei specializzati, come il tipo di attività che potrebbe essere maggiormente danneggiata.
“Il classico esempio sono le gastronomie di quartiere che importano prelibatezze come chorizo spagnolo o parmigiano italiano”, dice James Sibley, responsabile delle questioni internazionali della federazione. “Per loro il pensiero di doversi registrare nel nuovo sistema è scoraggiante e il processo è costoso. Per questo siamo molto in allarme”.
Nel 2021 gli esportatori britannici hanno dovuto fare i conti con un aumento di burocrazia e costi, e i loro clienti sono stati scoraggiati dal conseguente aumento dei prezzi
Il colpo per i piccoli esportatori dell’Unione verso il Regno Unito potrebbe essere analogo a quello vissuto nel 2021 dagli esportatori britannici verso l’Ue, molti dei quali hanno semplicemente smesso di vendere i loro prodotti in Europa continentale perché le regole post-Brexit la rendevano un’attività troppo faticosa e costosa. Dal 1 gennaio 2021 (quando il Regno Unito è ufficialmente uscito dal mercato unico europeo) gli esportatori britannici hanno dovuto fare i conti con un aumento di burocrazia e costi, e i loro clienti sono stati scoraggiati dal conseguente aumento dei prezzi. Questo nonostante le affermazioni di Boris Johnson, Michael Gove e di altri sostenitori della Brexit secondo i quali uscire dall’Ue avrebbe semplificato le regole e fatto scendere i prezzi.
Le regole sulle importazioni agroalimentari entrate in vigore il 1 gennaio 2022 (dopo uno slittamento deciso nel settembre del 2021) impongono alle aziende di comunicare con precisione alle autorità doganali cosa viene spedito nel Regno Unito dall’Ue, e da dove. Il processo impone all’esportatore di dotarsi di un codice Eori (numero di registrazione e identificazione degli operatori economici) e d’inviarlo ai propri clienti britannici affinché gli importatori possano inserire una grande mole di dati e poi inviarla alle autorità britanniche. I beni che arriveranno con una documentazione insufficiente potranno essere bloccati, confiscati o rispediti al mittente.
Sibley sostiene che ci siano prove del fatto che molti esportatori dell’Ue non siano preparati a tutto questo: “Sappiamo di commercianti dell’Ue che non hanno nemmeno quel numero, e la cosa ci preoccupa”.
Il prossimo 1 luglio verranno introdotti ulteriori regole e controlli. “Da quella data gli esportatori dovranno fornire anche certificati sanitari o veterinari, se esportano prodotti d’origine animale o alimentari. È un punto oltre il quale alcuni esportatori dell’Ue potrebbero dire semplicemente, ‘sapete cosa? Lasciamo perdere, non ne vale la pena’”. E aggiunge che “a luglio ci saranno inoltre ispezioni fisiche dei beni ai punti di frontiera nel Regno Unito, il che potrebbe provocare ulteriori ritardi perché ci sarà di fatto un veterinario con un taccuino che passerà in rassegna il camion dicendo ‘questo va bene, questo anche (o no)’”.
Le associazioni di categoria sostengono che i problemi riguarderanno soprattutto gli operatori più piccoli, poiché i più grandi possono permettersi di pagare gli agenti doganali o gli spedizionieri affinché svolgano le formalità burocratiche per conto loro.
Alla dogana
Nelle principali strade commerciali britanniche, alcuni negozianti si preoccupano già dei vuoti che appariranno sui loro scaffali nel 2022 e dell’aumento dei prezzi.
El Colmado, l’unica gastronomia spagnola di Bristol, importa praticamente di tutto: salsicce di chorizo, grandi prosciutti jamon serrano e scintillanti olive verdi. Il suo proprietario, David Pavon, 41 anni, prevede nuovi problemi e un aumento dei prezzi quando agli importatori sarà richiesto di effettuare dichiarazioni doganali in tempo reale, inserire i dettagli delle importazioni alimentari in vari sistemi doganali, e ottenere codici speciali che permettano ai camion di essere imbarcati sui traghetti.
“I problemi logistici sono aumentati già l’anno scorso”, dice. “Immagino quindi che a gennaio vedremo ancora più ritardi, perché se un camionista deve stare seduto alla frontiera per sei ore o più, dovremo pagargli lo stipendio. Stiamo pagando gli agenti doganali in Spagna e qui affinché inseriscano le informazioni necessarie all’importazione, un altro fattore che fa salire i prezzi”. Pavon li ha già aumentati, e prevede di doverlo fare di nuovo nel 2022.
I grossisti che riforniscono le gastronomie e gli alimentari specializzati hanno preoccupazioni simili. Cotswold Fayre è una ditta di Reading che fornisce centinaia di prodotti alimentari di alta qualità, tra cui prodotti europei molto amati come stollen e panettone, a negozianti in tutto il Regno Unito. Adesso è stata costretta a mettere a bilancio ritardi e aumenti di costo per le merci importate, invece di investire nella creazione di nuovi posti di lavoro.
“Preferirei spendere per aprire un altro negozio, ma se dobbiamo farlo, assorbiremo i costi extra”, dice Paul Hargreaves, il fondatore dell’azienda. Hargreaves, che si è recentemente incontrato con il suo deputato locale, ritiene che il governo non comprenda l’impatto della Brexit sulle imprese britanniche. “I ministri non vivono nel mondo reale. Pensano che le cose siano molto più facili di quanto non siano in realtà. È molto frustrante”, dice.
“Se avessero dovuto viverlo in prima persona, forse avrebbero fatto più sforzi per ottenere un accordo migliore sulla Brexit. La sensazione è che l’ideologia conti più degli aspetti pratici con cui fanno i conti le aziende britanniche”.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian.
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