Chissà cosa ne penserebbe Fantamady, la ragazza fulani che diede lustro al calcio del Camerun. Qualche lettore di Alain Mabanckou si ricorderà di lei e dei rimproveri di suo padre, che quando il caldo diventa soffocante si stende sotto il grande albero di khaya. Per lei niente bambole ma un pallone nel cortile assolato. E che giocate, fino alla finale con il Canon Yaoundé, la squadra della capitale: “Siccome non poteva arrivarci di testa, offrì il petto. E la tetta sinistra, appuntita come un giavellotto, scaraventò il pallone nella porta avversaria”.

Gol, fantasie e ricordi si intrecciano parlando al telefono con Eugène Ébodé, autore di La tétonnade, uno dei racconti dell’antologia calcistica di Mabanckou La felicità degli uomini semplici. Ma attenzione alle questioni di genere, guai a esercitare arbitrari monopoli: “Fantamady ti direbbe che non devo parlare a nome delle donne perché possono farlo benissimo senza il mio aiuto. E avrebbe perfettamente ragione”, sospira Ébodé. Parliamo di calcio femminile, anzi della sua crescita: l’aveva promessa Samuel Eto’o, 40 anni, ex attaccante, oro olimpico con i “leoni indomabili” del Camerun, stella del Barcellona e poi dell’Inter del “triplete”. Dal mese scorso è “monsieur le président”, per ora non della repubblica ma della Fecafoot, la federazione calcistica del suo paese.

In Europa lo hanno celebrato su Twitter con una foto in maglia nerazzurra e al collo il tricolore camerunese, giallo, verde e rosso. Anche in Camerun lo ricordano con la bandiera, quella sventolata dopo le vittorie della Coppa d’Africa nel 2000 e nel 2002. Il sostegno al movimento femminile è invece una delle promesse mancate della Fecafoot. Eto’o è stato eletto presidente accusando il suo predecessore di non aver combattuto la corruzione che aveva portato per due volte a commissariamenti da parte della Fifa e di non aver garantito né sponsor al campionato nazionale né campi per i dilettanti né stipendi che permettessero ai professionisti di non dover essere costretti a cercarsi anche un altro lavoro. Alla Fecafoot il nuovo corso è cominciato con il licenziamento di quasi tutti i componenti del comitato esecutivo e con l’adozione di un codice di buona condotta per i dirigenti delle leghe locali. In prospettiva, entro il 2030, si vorrebbero costruire 40 stadi comunali con fondi pubblici e privati. Intanto il 9 gennaio, alle cinque del pomeriggio, nel nuovo stadio di Yaoundé c’è il fischio d’inizio della Coppa d’Africa.

Il calcio potrebbe svolgere un ruolo contro la violenza: più dei corsi di tattica servirebbero luoghi dove incontrarsi e provare a capirsi.

Il Camerun ospita la competizione per la prima volta dopo quasi cinquant’anni. Si sarebbe dovuta giocare nel 2019 ma all’ultimo momento il torneo era stato rinviato a causa di disordini nelle regioni a maggioranza anglofona, nel nordovest e nel sudovest del paese. In queste zone, sotto il dominio britannico fino all’indipendenza e poi incluse in uno stato dove si parlano 250 idiomi ma la prima lingua è il francese, il rischio di violenze non è sparito. A un movimento di protesta per il rispetto dei diritti delle comunità locali, guidato da avvocati e insegnanti, sono seguiti arresti e divieti di manifestazione. Lo scontro ha favorito l’emergere di gruppi guerriglieri e separatisti, fino alla proclamazione della “Repubblica di Ambazonia”, non riconosciuta né a Yaoundé né a livello internazionale, ma simbolo di una crisi ancora aperta. Ci sono stati attentati, esecuzioni sommarie, vendette e perfino assalti a scuole, con migliaia di vittime e quasi un milione di persone costrette a lasciare le proprie case.

È probabile che ora i notiziari si concentreranno sulle prodezze calcistiche delle varie nazionali, con l’Algeria campione in carica, l’Egitto di Mohamed Salah, il Senegal di Kalidou Koulibaly e i padroni di casa di André Onana, portiere scoperto da una scuola calcio di Eto’o e promesso all’Inter per la prossima stagione. Blindati e agenti antisommossa pattugliano intanto le strade di Limbé, una cittadina del sudovest che martedì 11 gennaio ospiterà Tunisia-Mali e poi altre sette partite della Coppa. È presidiato dai militari anche il capoluogo Buéa, sede di allenamenti, dove a novembre un’esplosione all’università ha ferito undici studenti.

Yaoundé, Camerun, 7 gennaio 2022. Soldati pattugliano l’area intorno all’entrata dello stadio Olembé. (Kenzo Tribouillard, Afp)

Di “situazione grave” ha parlato nei giorni scorsi l’oppositore Maurice Kamto. La sua tesi è che Paul Biya, presidente da 39 anni e al potere già da prima, abbia ereditato “un paese unito e stabile” e che ne lascerà invece “uno diviso dall’odio etnico e lacerato dai conflitti armati”. Della crisi parla anche Ébodé, lo scrittore. Residente in Francia, un passato da portiere nella nazionale giovanile del Camerun e da commentatore sportivo, non entra nel merito delle scelte di Biya. “In un mondo globalizzato dove c’è tanta ricchezza ma la grande maggioranza delle persone è povera è inevitabile che ci siano tensioni e conflitti”, dice. “La miseria colpisce anche il Camerun, che però oggi desidera la pace”. Ecco allora una proposta di Ébodé, partendo dall’idea che il calcio possa svolgere un ruolo contro la violenza: più dei corsi di tattica servirebbero luoghi dove incontrarsi e provare a capirsi. Per un attimo, Ébodé torna a Eto’o. Ricorda un incontro di anni fa, alla vigilia di una finale di Champions’ League, e una sua frase in particolare: “Il Barcellona sogna solo di dare la felicità”. Ora l’ex attaccante dovrebbe agire di conseguenza e immaginare scuole che siano di calcio ma anche, insieme, di pace; o addirittura proporre a sorpresa, durante la Coppa, di creare un’agenzia sportiva delle Nazioni Unite che contribuisca a scongiurare le guerre: “Potrebbe essere composta da campioni che a fine carriera non abbiano ricevuto più di cinque cartellini rossi”.

Al telefono emergono i ricordi di vittorie, sconfitte e pure diserzioni. Spuntano foto, anno 1982: Ébodé si allena con i “leoni indomabili” e para un rigore sotto gli occhi di Thomas N’Kono, il portiere del pareggio in Spagna contro gli azzurri di Enzo Bearzot, poi campioni del mondo. Racconta Ébodé che da bordo campo partì una battuta rivolta al portiere titolare: “Hai visto il piccolino? Questo ti prende il posto: okalga”. In beti, una delle lingue del Camerun_, okalga_ vuol dire stai attento. Ébodé si è però fermato alle giovanili, senza mai conquistare la nazionale maggiore. Colpa anche di quella rabbia da ventenne per l’esclusione dai titolari della Dynamo Douala, la squadra della sua città, in trasferta in Costa d’Avorio per la Coppa delle coppe africana. Al ritorno, in segno di protesta, lui si rifiuta di salire sull’aereo. Il presidente della repubblica non gradisce e lo fa sapere; il ragazzo emigra in Francia e, tra una partita e l’altra, s’iscrive a scienze politiche.

Le ragazze fanno sognare
E Fantamady, la ragazza del gol di petto? Si racconta che il presidente del Camerun ne resti estasiato al punto da firmare un editto composto da due articoli: il primo stabilisce che la nazionale maschile, per i suoi risultati patetici, sia soprannominata “le capre”; il secondo che le calciatrici, grazie alla fantastica centravanti, restino invece “le leonesse indomabili”. Tutto vero, anzi no, forse un po’.

Le ultime dal calcio femminile d’Africa non riguardano il Camerun ma le Mamelodi Sundowns Ladies, vincitrici della prima edizione della Women’s champions league, un torneo continentale per club che si è tenuto in Egitto. Si sono sfidate ragazze di otto paesi e a segnare più gol di tutte è stata Evelyn Badu, centrocampista di 19 anni, già capitana delle “principesse nere” del Ghana. Dopo la finale ha firmato un contratto con una squadra norvegese e ora il nuovo allenatore sta cercando di tenere a freno le aspettative dei tifosi.

Racconta altre storie Jean Sseninde, una giocatrice ugandese impegnata nel sociale. Tra il 2020 e il 2021, come consulente, ha contribuito a far nascere la lega femminile dell’Associazione calcistica del Sud Sudan (Ssfa). “Si è giocato in tutte le regioni e la risposta del pubblico è stata in genere molto positiva”, ricorda del campionato, disputato in un paese grande come la Francia ma con appena 200 chilometri di strade asfaltate, indipendente da dieci anni e già ferito da un conflitto civile.

“Fare una stima precisa è difficile perché a bordo campo invece delle tribune ci sono spazi aperti, ma per alcune partite clou credo ci siano stati fino a diecimila spettatori”. E si capisce: anche il Sud Sudan ha il suo Messi. Anzi la sua Messi, soprannome di Aluel Garang, 20 anni e il fiuto del gol. È stata una delle stelle del campionato, ma di lei si è scritto anche per le violenze domestiche subite e per l’irruzione in campo del marito: l’onorevole Peter Mayen Majongdit, ministro per gli affari umanitari. Il 17 aprile, al quinto minuto della partita, ha aggredito l’allenatore delle Aweil Women sparando in aria (ma forse sono state le guardie del corpo) e trascinando via la moglie: pare che a casa il figlioletto di tre mesi stesse piangendo. Senza Messi, non l’argentino Lionel ma la sudsudanese Aluel, il match contro le Juba Super Stars è finito 0-0.

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