Un cambio di governo sembrava scontato. Il Partito liberale, di destra, e il suo partner di coalizione, il Partito nazionalista, erano al potere da sei tumultuosi anni. Ma ora i sondaggi li mettevano alle spalle del Partito laburista. Anche le inchieste condotte ​​dall’opposizione praticamente davano per certa la vittoria. Ma i risultati delle elezioni del 18 maggio hanno sorpreso tutti: i conservatori sono stati confermati per un terzo mandato.

Secondo gli ultimi dati parziali, la coalizione di destra ha ottenuto 76 dei 151 seggi nella camera dei rappresentanti, contro i 65 dei laburisti. Ora per formare il governo servirà un nuovo accordo di coalizione, come avvenuto finora. “Ho sempre creduto nei miracoli”, ha esclamato il primo ministro uscente Scott Morrison, che è un cristiano evangelico.

Un miracolo possibile nonostante tutto. Durante i sei anni al potere i deputati del Partito liberale hanno esautorato due primi ministri. La rimozione, nove mesi fa, di Malcolm Turnbull, un moderato, sembrava aver messo a repentaglio la posizione già barcollante dei liberali con gli elettori, che nelle recenti elezioni locali e in diverse elezioni suppletive avevano infatti punito il partito per i suoi continui conflitti interni. Ma la rabbia degli australiani è apparentemente diminuita.

Con Morrison il governo ha virato a destra. Ha promesso più posti di lavoro, meno tasse sul reddito e una crescita economica continua. E, forse ancora più importante, ha soffiato sul fuoco della paura parlando delle conseguenze economiche dei progetti laburisti per la riduzione delle emissioni di gas serra e la chiusura delle scappatoie fiscali per i ricchi.

Promesse e paure
Questo discorso sembra aver funzionato nel Queensland, uno stato con una popolazione poco più numerosa di quella di Sydney o Melbourne, ma con un’influenza sproporzionata sulla politica visto che è il principale stato in bilico dell’Australia. Qui si trova la maggior parte delle miniere di carbone del paese: molti abitanti sono quindi diffidenti nei confronti di una regolamentazione ambientale. Qui i laburisti speravano di ottenere alcuni seggi ancora indecisi. Invece gli elettori si sono espressi a favore dei liberali in maniera più netta di quanto non avessero fatto nelle precedenti elezioni amministrative.

Nel Queensland i conservatori hanno strappato ai laburisti diversi seggi in bilico aiutati dai voti dei piccoli partiti, grazie al sistema elettorale australiano. Il ministro dell’immigrazione, Peter Dutton, che ha guidato la mozione contro Turnbull dell’anno scorso, temeva di restare fuori dal parlamento. E invece alla fine ha mantenuto il suo seggio con un margine ancora più ampio.

Forse può aver aiutato i conservatori il loro sostegno a un controverso progetto per una nuova miniera di carbone di proprietà di un conglomerato indiano, Adani. I laburisti avevano mormorato e parlato contro il progetto, impegnandosi a generare più elettricità da fonti rinnovabili. Il partito aveva sperato che queste posizioni ambientaliste avrebbero aiutato a conquistare seggi nello stato di Victoria, molto più progressista. Qui l’anno scorso avevano stravinto le elezioni locali. Ma in questa tornata gli abitanti di Victoria hanno dato solo due punti percentuali di vantaggio ai laburisti. Alla fine, nessun seggio è cambiato di mano.

Non è stato di aiuto il fatto che il leader laburista, Bill Shorten, sia impopolare. Si è immediatamente ritirato, ammettendo in lacrime che stava “facendo dei danni”. Il conservatore Morrison va meglio nei sondaggi. Si era ritratto come un papà imbranato nel calcio, parlando di australianità in ogni occasione. Questo ha fatto rabbrividire alcuni abitanti delle città. Ma il suo personaggio studiato di uomo qualunque potrebbe aver contribuito a ottenere voti dagli operai del Queensland.

I liberali hanno subìto una sola batosta: nel collegio delle ricche spiagge a nord di Sydney, Tony Abbott, ex primo ministro e leader dell’ala destra del Partito liberale, è rimasto fuori dal parlamento dopo 25 anni. Aveva definito “una cazzata” i cambiamenti climatici e ha spinto l’Australia ad abbandonare l’accordo di Parigi, che mira a ridurre le emissioni globali. Questo lo ha lasciato indietro rispetto ai suoi elettori più ambientalisti, che hanno votato un candidato indipendente, Zali Steggall, con uno spostamento monumentale di oltre il 12 per cento dei voti.

Nella politica australiana, ha affermato Abbott, sta avvenendo un cambiamento che sembrerà familiare agli statunitensi. Il Partito liberale rappresenta sempre più le classi operaie, mentre i conservatori ricchi e delle città scelgono politici più progressisti. Anche la politica sembra dipendere più dalle distinzioni ataviche che dalla politica. C’è stato anche un altro cambiamento che gioca a favore di Morrison. Il Partito liberale ha modificato le sue regole per rendere più difficile esautorare un primo ministro. Quindi, a differenza dei suoi predecessori, dovrebbe avere tre anni ininterrotti per convincere gli elettori che hanno preso la decisione giusta quando lo hanno votato.

(Traduzione di Stefania Mascetti)

Questo articolo è stato pubblicato sul settimanale britannico The Economist.

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