Non sarebbe il fallimento della politica la ragione che ha determinato l’avvento di Mario Draghi. Questo, almeno, è ciò che lo stesso Draghi ha affermato in parlamento chiedendo la fiducia per il suo governo. Tuttavia, mentre lo diceva già spogliava le forze politiche della propria identità, indicando nel “dovere della cittadinanza” una priorità rispetto a “ogni appartenenza”.
In altri tempi, poco male: il suo lo si sarebbe potuto dire un discorso da statista. E quel patto repubblicano che lui adesso presiede, e che si è reso necessario per salvare il paese unendo le forze di tutti, si sarebbe davvero potuto interpretare come una necessità schiettamente politica. Ma oggi davvero non lo si può fare. Il fallimento di un intero sistema politico è troppo evidente perché sia possibile negarlo come ha mostrato di fare Draghi. Ed è così evidente che diventa difficile da negare anche solo come atto di cortesia da servire a un parlamento perfino più inconsapevole del proprio disastro di quello che, nell’aprile 2013, rielesse Giorgio Napolitano al Quirinale per il suo secondo mandato.
Si era anche allora nel mezzo di una crisi politica che si credette di poter risolvere confermando Napolitano. Fu quello “il punto di arrivo di una lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità”, come disse lo stesso presidente della repubblica nel suo discorso di insediamento. E poi aggiunse che “contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi” avevano “condannato alla sterilità” il confronto tra le forze politiche in parlamento. E, però, mentre Napolitano induriva i toni, quello stesso parlamento al quale rivolgeva il suo rimprovero lo applaudiva. Sono passati otto anni da allora. E si direbbe che siano trascorsi invano.
Parità di genere
Draghi tutto questo non può non saperlo. Così come sa bene di essere stato chiamato per fare Mario Draghi, non altro. E dunque il tecnico, almeno per il momento. Poi, come si sa, la politica è l’arte del possibile e nulla toglie che anche l’ex presidente della Banca centrale europea, come altri che l’hanno preceduto, possa restare sulla scena come politico. Di questo, peraltro, molto si discute nei palazzi del potere. Ma tutto ciò ha a che fare con il futuro. E infatti nel suo discorso in parlamento la politica in senso stretto è quasi del tutto mancata.
In quel discorso si è data un’esposizione quasi per titoli delle questioni aperte e che andranno affrontate immediatamente. E lì ci si è fermati. Se qualche indicazione è arrivata sul percorso da compiere, sono state per lo più indicazioni di natura tecnica, anche a proposito delle questioni più delicate e che toccano profondamente la società come ad esempio, tra le tante passate in rassegna da Draghi, la parità di genere.
“Una vera parità di genere”, ha detto, “non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge, richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi”. Per questo, il governo lavorerà “puntando a un riequilibrio del gap salariale e a un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia e lavoro”.
Il fatto che ci sia un problema è stato riconosciuto. Ma la discriminazione che colpisce le donne è determinata da ragioni culturali che risiedono nella natura patriarcale della società, e non da ragioni economiche. La discriminazione salariale è conseguenza della discriminazione culturale, non il contrario. Affermare di voler promuovere l’occupazione femminile potrà eliminare il sintomo ma non tocca la malattia. Per un tecnico va più che bene così. Il resto è – dovrebbe essere – materia politica.
Conflitto e scelte
La politica è il luogo del conflitto e delle composizioni, delle idee e delle scelte. Sulla promozione dell’occupazione femminile tutti al governo possono anche essere d’accordo, e l’esecutivo tecnico potrà limitarsi a quanto annunciato da Draghi, ma sulle cause culturali della discriminazione la società esprime posizioni diverse e quindi sono possibili soluzioni diverse. Le scelte spettano alla politica, ma un’indicazione in questo senso è mancata nel discorso di Draghi, poiché non è questo il terreno sul quale Draghi è chiamato a lavorare. Lo stesso vale per tutti o quasi gli altri temi toccati dal presidente del consiglio. Eppure, dopo il discorso con il quale ha chiesto la fiducia alle camere, Draghi è stato improvvisamente riconosciuto come politico. Non più, quindi, soltanto il tecnico autorevole capace di rimettere in sesto il paese ma un politico a tutto tondo.
Che l’informazione si fosse innamorata di Draghi era del tutto evidente già da tempo. Quanto ai partiti, in queste settimane hanno apertamente rinunciato a ogni aspirazione politica, rinunciando anche al pudore nel proclamarlo al paese. Così, non è più una notizia la disinvoltura con la quale Lega e Movimento 5 stelle cambino idea anche su questioni identitarie. Né c’è chi oramai si stupisca davvero per la spregiudicatezza che appare sempre più scollegata da ragioni ideali del partito di Matteo Renzi. E lo sconcertante intervento del segretario del Partito democratico Nicola Zingaretti pubblicato da Repubblica mercoledì scorso racconta come anche altrove la tattica abbia sostituito le idee.
Ecco allora che, nella rinuncia esplicita delle forze politiche alla differenza tra politica e tattica, e nella contemporanea rinuncia dell’informazione all’analisi separata dei due piani, oltre che alla critica, c’è un’ulteriore conferma del fatto che la politica stia perdendo anche come categoria teorica la propria natura: da che era luogo di elaborazione di idee che dessero risposte alle questioni che via via si aprivano nella società, viene adesso percepita sempre più come mera azione. Ma è proprio in questo che risiede la fine della politica: nell’elusione del conflitto e nell’illusione che ogni domanda abbia una sola risposta possibile o che ne esista una in grado di rispondere, da sola, a tutte le domande.
Questa pare, adesso, l’aspirazione di tutti o, comunque, questo pare il perimetro all’interno del quale tutti sembrano volersi muovere. Ma la competenza da sola non salverà il paese, né senza conflitto è immaginabile una democrazia compiuta. Se è così, il fatto che in molti abbiano percepito quello di Draghi come il discorso di un politico, è qualcosa di più e di più inquietante della semplice infatuazione generale per lo stesso Draghi dei giorni scorsi.
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