Il 21 ottobre a Roma, al termine dello sciopero indetto dal sindacato Unione sindacale di base (Usb), piazza San Giovanni è stata trasformata in “piazza Abd Elsalam. Operaio ucciso mentre lottava per i diritti di tutti”. Così era scritto a stampatello su molti dei cartelli affissi ai lampioni sotto la grande basilica.

La sera, ad ascoltare gli interventi dal palco posto in un angolo della piazza, c’erano anche i familiari dell’operaio egiziano rimasto ucciso a 53 anni, dopo essere stato travolto da un tir durante un picchetto davanti ai cancelli della Gls di Piacenza. È passato più di un mese da quel 14 settembre.

A San Giovanni c’erano la moglie Jiahan e uno dei loro figli. E c’era anche Elsayed Elmongi Ahmed, il fratello più piccolo di Abd Elsalam. Anche lui era a Piacenza, davanti ai cancelli della Gls, la sera del 14 settembre. Anche lui, come Abd, è un dipendente della Seam, la ditta che assume i facchini in subappalto per conto della multinazionale delle spedizioni.

Mancato rispetto dell’accordo
Quella notte, a poche ore dalla morte di Abd, Elsayed fu tra i primi a dire che non si era trattato di un semplice incidente stradale. Al contrario – ha ribadito più volte ai giornalisti – era appena partito un blocco per protestare contro il mancato rispetto di un accordo sindacale.

C’erano almeno 50 persone a partecipare a quel blocco (tutti operai immigrati in Italia negli ultimi quindici anni e iscritti all’Usb), mentre i preposti aziendali della Gls avevano più volte intimato di sospendere la protesta ed esortato i conducenti dei camion a forzare il blocco.

Le dichiarazioni di Elsayed e di altri operai presenti lì quella sera però hanno cozzato da subito con la ricostruzione fornita dal procuratore capo di Piacenza Salvatore Cappelleri, il quale ha detto che “in quel momento non vi era alcuna manifestazione di protesta o alcun blocco da parte degli operai”, per poi aggiungere che “allo stato attuale delle indagini riteniamo che l’autista non si sia accorto di aver investito l’uomo che è stato visto correre da solo incontro al camion che stava facendo manovra”.

Dopo i tre giorni di lutto per Abd Elsalam, la Seam ha deciso di non pagare quelle giornate agli iscritti al sindacato

A più di un mese dalla morte di Abd Elsalam nessun operaio presente quella sera è stato ancora sentito, né dalla polizia né dalla magistratura, che sostanzialmente non ha cambiato la sua versione dei fatti. Nel frattempo, lo scontro sindacale in fabbrica non si è attenuato, e basta un evento solo apparentemente secondario a testimoniarlo.

Dopo i tre giorni di lutto concessi per la morte di Abd Elsalam, la Seam ha deciso di non pagare quelle giornate ai soli dipendenti iscritti al sindacato Usb perché ritenuti – a differenza di tutti gli altri, ai quali le giornate sono state comunque corrisposte – responsabili dello stato di agitazione in cui si trovano i magazzini Gls. Da qui la decisione degli operai di bloccare nuovamente gli ingressi dello stabilimento la sera prima dello sciopero nazionale di venerdì scorso.

A vedere la determinazione di Elsayed e degli altri verrebbe da dire che più l’azienda intende colpire gli iscritti di un solo sindacato, e più quella determinazione si cementa.

Nella parole di Elsayed, i ricordi del 14 ottobre sono ancora vividi. Sul suo cellulare conserva molti video girati in quelle ore. Quello che ritrae il corpo del fratello a terra, immobile e coperto di sangue sul volto e sul busto, dopo che è stato investito dal camion. E quelli che ritraggono il picchetto di un’ora e mezza prima: si vedono decine di operai che fischiano, gridano slogan, agitano bandiere… In un angolo c’è anche Abd: pantaloni e giacca scuri, camicia arancione, ascolta con calma qualcuno che gli parla accanto. “Come fanno a dire che era solo? Che non c’era nessuna manifestazione in corso?”.

Una giornata di lavoro
Elsayed è nato nel 1980. È molto più giovane di Abd, il fratello morto a 53 anni. “Veniamo da El Dakalhia, una grande area urbana di circa dieci milioni di abitanti. Mio fratello era insegnante. Io invece mi sono diplomato come perito e ho fatto il militare, poi ho deciso di venire in Italia”.

È arrivato tredici anni fa. All’inizio ha raccolto pomodori in Sicilia, spaccandosi la schiena e le mani sotto il sole per pochi euro al giorno. “Non lo farei mai più”, dice. Poi ha deciso di trasferirsi a Piacenza, dove gli egiziani sono diverse migliaia. “Ho conosciuto il sindacato lavorando come facchino. Prima sono stato iscritto alla Cgil, poi sono passato all’Usb. E così ha fatto anche mio fratello Abd Elsalam”.

Con Elsayed a San Giovanni c’è anche un cugino di secondo grado. Anche lui lavora per la Seam, e anche lui ha attraversato più o meno la stessa trafila in Italia, benché sia arrivato solo nel 2008.

La descrizione di una loro giornata di lavoro ordinaria si riduce a poche parole: “Ci sono turni di nove ore. Quello notturno va dalle 9 di sera alle 6 del mattino. Devi prendere e caricare pacchi incellofanati sui camion, senza fermarti”. Un flusso continuo che non può arrestarsi, neanche di notte, neanche con il freddo d’inverno.

La cooperativa per cui lavorano, la Seam, cambia nome più o meno ogni anno. “Prima si chiamava Arma, poi Farina, poi è diventata Seam un anno e mezzo fa. Ogni volta che scadono i contributi, cambiano nome e ci fanno nuovi contratti. I contratti sono sempre a tempo determinato, anche se siamo sempre noi a lavorare”.

Niente condoglianze
È stato Elsayed ad accompagnare la salma del fratello in Egitto per i funerali. È stato lui il primo a dire alla madre e agli altri quattro fratelli cosa era successo. “Dopo i funerali nessuno dell’azienda mi ha fatto le condoglianze. Solo gli altri operai me le hanno fatte. Non solo gli egiziani, ma anche tutti gli altri, gli algerini, i tunisini, gli albanesi, i macedoni… Su 140 dipendenti non c’è neanche un italiano. Siamo tutti stranieri”.

Elsayed continua a far scorrere le immagini e i video sul suo cellulare. Ci sono altre foto del fratello, in particolare quelle usate per i manifesti dopo la morte. E ci sono anche altre foto di manifestazioni e presidi: in una compare anche lui, con una camicia a quadretti e una bandiera in mano. Poi ritorna velocemente sui fotogrammi di un filmato girato la sera del 14 settembre. “Vedi, il camion quella sera è uscito proprio da qua: dall’entrata dello stabilimento, non dall’uscita”.

Dal video girato dalle telecamere aziendali e postato sul sito del Fatto quotidiano non si capisce molto della dinamica degli eventi. Alle 23.40 il camion parte e dopo pochi istanti travolge Abd Elsalam, ma questo lo si capisce dalla brusca frenata e dalla gente che accorre intorno al tir. L’impatto non è ripreso dalle telecamere a circuito chiuso. Pochi minuti prima, però, si vede un preposto aziendale della Gls consegnare al camionista la bolla di accompagnamento e dirgli di partire. Con la mano gli indica anche il punto da cui passare.

Elsayed e il cugino sostengono che quella sera il camion ha percorso lo spiazzo davanti al magazzino per uscire in strada in senso inverso rispetto al consueto senso di marcia che i tir percorrono all’interno dello stabilimento. Lo ha fatto per affrettare l’uscita, evidentemente, e quindi forzare il blocco che si stava costituendo in quei minuti. Casomai la procura di Piacenza si decidesse ad ascoltarli, sono pronti a ribadire ciò che sostengono di aver visto.

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