Tim Duncan dei San Antonio Spurs. (Tony Gutierrez, Ap/Lapresse)

Il 6 giugno alle 3 ora italiana si gioca gara 1 delle finali Nba tra San Antonio Spurs e Miami Heat. È la rivincita della finale dello scorso anno, vinta drammaticamente in gara 7 da LeBron James e compagni. Qualche giorno fa Chris Bosh, il centro di Miami, ha detto ai giornalisti che tornare in campo contro San Antonio sarà un po’ come giocare gara 8, come se fosse l’ennesimo atto di una serie infinita. In realtà rispetto all’anno scorso sono cambiate un po’ di cose. Ecco le chiavi tecniche che potrebbero decidere la serie.

Abbassarsi per vincere Prima di tutto, vince chi in attacco riesce a schierare per più minuti la formazione più pericolosa possibile dal perimetro. Questo significa che per larghi tratti della serie vedremo quintetti molto piccoli. Nel caso di Miami non è una novità: gli Heat hanno trovato questa soluzione quasi per sbaglio nei playoff di due anni fa, e da allora non l’hanno mai abbandonata, anzi è stata la chiave di molte delle vittorie che hanno portato ai due titoli consecutivi. Rispetto all’anno scorso hanno perso un’arma micidiale – Mike Miller – ma hanno trovato quasi a sorpresa (contro Indiana) il contributo utilissimo di Rashard Lewis, che sopperisce al declino fisico di Shane Battier con la stessa sicurezza da tre e anche qualche centimetro in più.

Per Gregg Popovich il quintetto piccolo è un scelta recente e quasi obbligata: nelle finali di conference Oklahoma è tornata in corsa quando il rientro di Serge Ibaka dall’infortunio al polpaccio ha permesso alla squadra di ruotare meglio in difesa e di mettere più pressione sui tiratori dal perimetro di San Antonio. La strategia ha funzionato fino a quando Popovich ha tenuto in campo Thiago Splitter, che in attacco è utile sui blocchi e a rimbalzo ed è anche un ottimo passatore, ma non è certo un’arma offensiva quando ha la palla in mano (è anche un pessimo tiratore di liberi). In pratica i Thunder hanno potuto ignorare un giocatore sotto canestro e stringere sugli esterni.

La situazione è cambiata di nuovo quando gli Spurs hanno abbassato il quintetto, con Matt Bonner e – soprattutto – Boris Diaw al posto di Splitter. Diaw è un giocatore speciale ed è un’arma offensiva versatile che ogni allenatore vorrebbe avere: può andare in post basso contro giocatori più piccoli di lui e può farsi trovare libero sugli scarichi per punire gli aggiustamenti della difesa. In un articolo uscito su Grantland, Zach Lowe ha spiegato che nei playoff dello scorso anno il quintetto con Parker, Ginobili, Leonard, Diaw e Duncan è stato in campo solo per 33 minuti (4 minuti durante le finali). Ma in questi playoff Popovich l’ha già usato per un totale di 81 minuti, e sicuramente lo rivedremo spesso durante le finali. In definitiva, l’abbassamento dei quintetti favorisce gli Heat, che complessivamente sono più a loro agio con questa soluzione. San Antonio ha trovato un buon equilibrio in attacco, ma continua a far vedere il basket migliore quando gioca con due lunghi veri che bloccano per gli esterni. Inoltre è destinata a soffrire in difesa (su questo torneremo più avanti).

Tiri decisivi La prima conseguenza dei quintetti bassi è che vedremo tantissimi tiri da tre punti. San Antonio e Miami sono le squadre più brave del campionato a far circolare la palla per far scoprire la difesa e per far arrivare il pallone ai tanti tiratori oltre l’arco dei 7 metri e 25. Un indicatore di una buona circolazione di palla è il numero di tiri da tre che arrivano dall’angolo, e queste due squadre sono bravissime a sfruttare quella posizione del campo: secondo Nba.com, Miami è la squadra che ha tentato più triple dall’angolo in questi playoff (115), mentre gli Spurs sono poco indietro con 99. Bisogna dire che le due squadre usano meccanismi diversi per far circolare bene il pallone. Miami, che ha giocatori più forti nell’uno contro uno, lo fa in modo più classico, con penetrazioni che fanno aprire la difesa e scarichi per punire i raddoppi e le rotazioni difensive; San Antonio ha elevato il concetto di circolazione di palla a una forma d’arte: non avendo giocatori capaci di battere l’uomo uno contro uno (a parte Tony Parker), Popovich ha bisogno che tutti i suoi esterni si muovano di continuo con tagli verso il centro e sulla linea di fondo. In sintesi: la squadra che tirerà con le migliori percentuali da tre farà un passo importante verso la vittoria finale.

Due incognite Una per squadra. Per San Antonio i dubbi riguardano Tony Parker. Come nelle finali dello scorso anno, le sue condizioni fisiche non sono delle migliori. A quanto pare in gara 1 partirà titolare ma non sarà in gran forma. La buona notizia per gli Spurs è che rispetto al 2013 i rimpiazzi sono migliorati rispetto a un anno fa: nelle finali dell’anno scorso Patty Mills non ha praticamente mai giocato, oggi invece è un’arma solida e affidabile; e Manu Ginobili, che in assenza di Parker dovrà fare spesso il playmaker, sembra molto più lucido e un po’ più in forma fisicamente rispetto al 2013. Ma gli acciacchi di Parker restano un problema serio per San Antonio, che senza di lui perderebbe il miglior uomo sul pick and roll e l’unico giocatore veramente immarcabile nell’uno contro uno. Di solito, quando la circolazione del pallone non porta a tiri comodi degli esterni o punti facili sotto canestro, gli Spurs tendono a dare la palla a Parker che cerca l’azione personale. Miami, che ha una difesa atletica e aggressiva che sa essere asfissiante quando serve, farà di tutto perché questa situazione si verifichi spesso. È l’unico modo che hanno per mettere in crisi l’attacco di San Antonio, e se non c’è Parker in campo ci sono molte più possibilità che la strategia funzioni.

Per Miami l’incognita riguarda Dwyane Wade. Per lui in un certo senso vale un discorso opposto a quello fatto per Parker. Arriva alle finali molto meglio dell’anno scorso. È un ottima notizia per la difesa di Miami, che ha bisogno del miglior Wade per sfiancare l’attacco degli Spurs. In teoria dovrebbe essere un valore aggiunto decisivo anche in attacco, perché i suoi 15-20 punti a partita possono fare la differenza. In realtà le cose non stanno proprio così: con lui in campo l’attacco di Miami è più statico e meno efficace. Lo dicono i numeri. Lo spiega Zach Lowe nello stesso articolo: “Nelle finali del 2013 San Antonio ha segnato 54 più di Miami quando Wade era in campo. Gli Heat hanno vinto la serie solo perché hanno segnato 49 punti in più degli Spurs negli 86 minuti in cui Wade non è stato in campo. Questi numeri venivano quasi esattamente ribaltati quando in campo c’era Mike Miller”.

Senza contare che il modo di giocare di Wade (uno contro uno da palleggio statico, tiri fuori ritmo, penetrazioni kamikaze) influenza negativamente LeBron James che, a parte le situazioni di post basso, gioca meglio con palla in mano e quattro giocatori dinamici intorno. Wade, insomma, è allo stesso tempo una risorsa (perché è pur sempre il secondo miglior giocatore della squadra) e un potenziale problema. Se lui riuscirà e limare i punti critici del suo gioco, e se Spoelstra saprà usarlo nel momento giusto, Miami avrà un’arma importante in più.

Fattore panchina Il contributo delle riserve sarà determinante. Confrontando il tempo trascorso in campo dai panchinari delle due squadre in questi playoff, si vede che quelli di San Antonio hanno giocato 19,8 minuti a partita, contro 17,2 delle riserve di Miami. Non una grande differenza. Ma in questo caso i numeri sono fuorvianti: i giocatori che escono dalla panchina degli Spurs sono molto più integrati nel gioco rispetto a quelli di Miami, che nella maggior parte dei casi vanno in campo cercando di non fare danni mentre i titolari tirano il fiato.

Contro i Thunder più di una volta i parziali degli Spurs sono arrivati con almeno due riserve in campo. Inoltre, i numeri non rendono onore all’abilità di Popovich di ruotare il roster e inserire l’uomo giusto nel momento giusto. Per riassumere, la panchina di San Antonio è migliore di quella di Miami, non tanto per il livello tecnico ma perché giocatori come Diaw, Mills e Ginobili garantiscono più soluzioni offensive alternative di quanto non facciano Cole, Andersen e Allen.

Il fattore difesa La difesa di Miami è migliore, ha giocatori più atletici in quasi tutte le posizioni. L’unica eccezione favorevole a San Antonio è Kawhi Leonard, che è un atleta fantastico e un difensore eccezionale sia nell’uno contro uno sia nelle rotazioni. Il problema principale della difesa degli Spurs è che è molto vulnerabile alle penetrazioni degli esterni. L’ultima dimostrazione è arrivata nella serie contro i Thunder, quando San Antonio ha sofferto molto più le giocate di Russell Westbrook (un grande penetratore) che quelle di Kevin Durant (un grande attaccante che però tende ad accontentarsi del tiro da fuori). Contro Miami gli Spurs avranno lo stesso problema, ed è ipotizzabile che almeno all’inizio cerchino di sfidare James e Wade a tirare dalla media distanza, come del resto hanno fatto nelle finali del 2013. I problemi di San Antonio con le penetrazioni ovviamente aumenteranno quando Popovich deciderà di mandare in campo il quintetto piccolo, tenendo in panchina un buon intimiditore come Splitter.

Senza considerare che l’attacco degli Heat non è solo James e Wade. Gli Spurs dovranno trovare una risposta anche a Chris Bosh, il tipo di giocatore contro cui il vecchio Tim Duncan va in difficoltà: ottimo tiro dalla media, buona partenza dal palleggio e un buon gioco di post basso, senza contare che ormai Bosh è un tiratore affidabile anche da tre punti. In sostanza, nella metà campo degli Spurs gli accoppiamenti sono favorevoli a LeBron e compagni.

La decisione del re Ecco l’elemento probabilmente più decisivo dell’intera serie. Riguarda LeBron James e come deciderà di attaccare la difesa di San Antonio. L’anno scorso per buona parte della serie se è accontentato del tiro della media che gli Spurs gli hanno lasciato. Di conseguenza ha tirato con percentuali buone ma non eccezionali ed è andato poco in lunetta. È presumibile che quest’anno se la giochi diversamente. Penetrando di più per prendersi il fallo o servire assist per i tiratori sul perimetro. Ma, soprattutto, decidendo di andare con più continuità in post basso, una situazione che per Miami equivale a mettere il pallone in banca: in questi playoff James ha tirato dall’interno dell’area con una percentuale incredibile dell’81 per cento. Kawhi Leonard è un difensore formidabile, abbastanza veloce per tenere le penetrazioni di LeBron. Ma James ha più centimetri e più chili di lui, e sicuramente cercherà di sfruttarli.

Pronostico I numeri e alcune delle considerazioni tecniche fatte finora dicono che San Antonio è una squadra complessivamente migliore. Ma sono abbastanza convinto che alla fine la spunterà Miami, probabilmente in gara 7. In una serie come questa, in cui si affrontano squadre quasi perfette e con valori tecnici molto simili, tutto conduce a quelle due o tre giocate decisive della partita decisiva, quando la palla è nelle mani dei giocatori migliori. E Miami ha la fortuna di avere dalla sua parte il più forte di tutti.

Alessio Marchionna lavora a Internazionale dal 2009. Editor delle pagine delle inchieste, dei ritratti e dell’oroscopo. È su twitter: @alessiomarchio

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