Gli è schizzato sul colletto della camicia da sera come sangue fresco sulla carta assorbente. Mi si è annebbiata la vista. Andy Goram era zuppo di Chateauneuf-du-Pape. Avevo diciannove anni e in quel momento avevo perso il lavoro di cameriere in un grande ristorante di Glasgow. Goram era il portiere dei Rangers, una delle due squadre di calcio della città. Metà dei camerieri lo adorava. L’altra metà lo odiava.

Mi avevano affidato il suo tavolo perché io, in quanto greco ortodosso, non avevo nessuna preferenza per i Rangers o per i rivali del Celtic. Il tizio che serviva il tavolo accanto al mio invece era un tifoso sfegatato del Celtic. Mi aveva osservato fare il giro dei bicchieri sul tavolo e, quand’ero arrivato a Goram, mi aveva dato una gomitata.

Tutto questo mi è tornato in mente dodici anni dopo, in un ristorante di New York, mentre riflettevo sull’abitudine di assaggiare il vino prima di accettare una bottiglia. Avevo incontrato un paio di amici in un ristorante greco sulla quarantottesima strada. Loro erano in giro da un pezzo e, quando abbiamo ordinato un vino rosé, avevano il sorriso di chi ha già bevuto un bel po’ di mojito.

Il cameriere ci ha portato la bottiglia, l’ha mostrata alla mia amica e ne ha versato un dito nel suo bicchiere. Lei, senza smettere di parlare, l’ha buttato giù tutto d’un fiato e ha fatto cenno di sì al cameriere mentre ci raccontava un aneddoto divertente. Noi abbiamo riso e il cameriere ci ha riempito i bicchieri.

Ho assaggiato un sorso. C’era qualcosa che non andava. Guardavo gli altri che bevevano felici. Avevano già quasi vuotato i bicchieri. Forse era solo una mia impressione. Ho bevuto un altro sorso. C’era decisamente qualcosa che non andava. Quel vino aveva il sapore di una vecchia tenda ammuffita, di funghi e aceto. E di tappo.

I miei amici si sono riempiti di nuovo il bicchiere, troppo ubriachi per farci caso. Mi sentivo malissimo, a disagio, oppresso da quella stupida paura britannica di lamentarsi e di farsi notare. Timidamente ho attirato l’attenzione del cameriere e ho bisbigliato: “È normale che abbia questo sapore?”. Lui non l’ha neanche assaggiato, l’ha semplicemente annusato e, con soave discrezione, ha sostituito la bottiglia andata a male con una nuova. I miei amici non se ne sono accorti.

Mentre lo guardavo scivolare via tra i tavoli, mi sono ricordato di quanto totalmente privo di soave discrezione fossi stato io, rimasto lì come un fesso di fronte a Goram tutto violetto.

Internazionale, numero 613, 20 ottobre 2005

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it