Quando sono entrata nella sala del Gran Park Hotel, domenica scorsa, ho notato subito i volti arrabbiati dei giornalisti palestinesi, scrive Amira Hass.
Aspettavano l’inizio della conferenza stampa del primo ministro della Cisgiordania Salam Fayyad con alcuni dei suoi ospiti del Saban forum, l’evento organizzato ogni tre anni dal magnate israelo-americano dei media Haim Saban, che finanzia il Partito democratico statunitense.
C’erano quaranta americani (tra cui cinque deputati e tre senatori) e quaranta israeliani (tra cui il governatore della Banca d’Israele).
Dopo ho capito perché i giornalisti erano arrabbiati: gli era stato chiesto di arrivare a mezzogiorno per i controlli di sicurezza ed erano lì in attesa da un’ora e mezza.
Noi giornalisti israeliani siamo arrivati all’ultimo momento. “Tu non sei un rischio per la sicurezza perché sei ebrea”, mi ha detto un collega palestinese che lavora per la Reuters.
Fayyad ci ha detto in arabo che durante l’incontro al Saban forum aveva illustrato il suo programma: realizzare nei prossimi due anni uno stato palestinese entro i confini del 1967 con Gerusalemme come capitale. Ma nel riassunto del suo discorso in inglese non ha ripetuto tutte queste cose.
Poi il senatore americano Joseph Lieberman ha elogiato Fayyad e l’Autorità Nazionale Palestinese per i progressi fatti nella sicurezza e nell’economia: “In un certo senso noi siamo venuti qui come investitori. A Washington riferiremo che i soldi del Congresso statunitense sono stati spesi bene”. In altre parole: i palestinesi stanno facendo il loro dovere in cambio delle donazioni americane.
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