L’esercito israeliano ha liberato un palestinese e lo ha spedito a Gaza, rispettando i suoi desideri. Poco credibile, scrive Amira Hass.
La settimana scorsa ho incontrato un alto ufficiale dell’esercito. Mi ha assicurato che un palestinese scarcerato alcune settimane fa, dopo nove anni di prigione, è stato trasferito a Gaza rispettando la sua volontà.
Non ho potuto fare a meno di ridere a questa palese bugia (raccontata ai militari dalle autorità carcerarie). L’uomo ha una moglie e un figlio in Cisgiordania che non vede da anni. Non ha mai vissuto a Gaza, tranne qualche mese negli anni novanta. È membro di Al Fatah e dell’Olp, due formazioni poco apprezzate a Gaza.
Il 23 maggio alcuni uomini armati hanno dato fuoco a un campo estivo che l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur) gestisce per i bambini della Striscia di Gaza. Il campo era molto apprezzato dalla popolazione, ma i dirigenti di Hamas hanno fatto capire che non gradivano.
Alcuni amici mi hanno raccontato che da qualche settimana in molte moschee viene criticato l’Acnur. Non sorprende che alcuni ignoti “esecutori della volontà di Dio” abbiano fatto irruzione nella struttura. Hamas ha condannato il gesto, ma ha anche criticato l’Acnur.
Il giorno dopo la rete di gruppi non governativi (tradizionalmente vicini alla sinistra palestinese) ha indetto una manifestazione sul luogo dell’incendio, ma la protesta è stata vietata da Hamas.
E adesso le autorità carcerarie israeliane vorrebbero farmi credere che l’uomo, appena uscito di prigione, abbia espresso un unico desiderio: andare a vivere a Gaza.
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