“Allah è contro di noi perché il vento soffia nella nostra direzione”. La frase è stata pronunciata da una donna di mezza età, laica fino al midollo, mentre fuggivamo dalle nubi di gas lacrimogeno. “Allah è contro di noi tatticamente, ma con noi strategicamente”, le ha risposto un uomo, non meno laico e appena più anziano di lei. Il fatto che l’uomo prendesse in giro le mummificate formule della sinistra e che noi, tossendo e con gli occhi rossi, trovassimo il suo humour adeguato, testimonia la spensieratezza che c’era a poche decine di metri dall’inquietante barriera di Qalandiya (muro, torretta di guardia e checkpoint). Le ambulanze andavano e venivano, e alcuni uomini correvano portando sulle barelle i giovani che si erano avvicinati troppo al checkpoint.

Alla manifestazione di domenica c’erano poche centinaia di persone: “duri e puri” di sinistra, giovani impegnati e ragazzi arrabbiati del campo profughi di Qalandiya. La protesta ha sfidato la richiesta delle autorità palestinesi di non scontrarsi con l’esercito israeliano. L’Anp ha preferito commemorare la Nakba, l’espulsione del popolo palestinese dalle sue terre nel 1948, con cerimonie, canti e balli nel centro di El Bireh. In alcune città della Cisgiordania la polizia palestinese ha impedito ai manifestanti di venire a contatto con i soldati israeliani. Ma le notizie dalla frontiera libanese e siriana, dove 14 profughi palestinesi sono stati uccisi, hanno fatto passare tutto il resto in secondo piano.

*Traduzione di Andrea Sparacino.

Internazionale, numero 898, 20 maggio 2011*

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