“Vi avevamo detto di non farlo”, dicono con tono stanco, quando è troppo tardi. Quando i giovani coloni estremisti della Cisgiordania hanno già attaccato i soldati israeliani.

Il 12 dicembre più di cento estremisti di destra hanno fatto irruzione in una zona militare nella valle del Giordano, che tra l’altro è un luogo sacro per i cristiani; hanno invaso la città di Nablus, dove sostengono sia seppellito Giuseppe (figlio di Giacobbe); hanno preso a sassate alcune macchine palestinesi; si sono introdotti in una base militare danneggiando l’auto del comandante e ferendo il suo vice. L’obiettivo dell’ultimo attacco era impedire il parziale smantellamento di una colonia illegale. La polizia e l’esercito non hanno reagito e solo una persona è stata arrestata.

Queste violenze arrivano da lontano. Perfino la destra moderata ammette che sono state alimentate da decenni di impunità. Moschee incendiate, terreni espropriati illegalmente, alberi abbattuti, macchine danneggiate, sorgenti contaminate e pastori aggrediti. Per non parlare dei casi di omicidio. Le autorità non hanno mai punito i colpevoli.

D’altronde perché dovrebbero? Sono solo i degni rappresentanti di una filosofia di stato.

Il vero obiettivo dei violenti è chiaro: provocare una reazione palestinese, che consentirebbe allo stato israeliano di opprimere ulteriormente la popolazione. Vogliono la guerra. Hanno fede in Dio e sono convinti che approvi la loro sacra missione di ripulire il paese da tutti gli arabi.

*Traduzione di Andrea Sparacino.

Internazionale, numero 928, 16 dicembre 2011*

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